Nuovi rigassificatori e infrastrutture gas, soluzioni che non convincono

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Perché realizzare infrastrutture per il gas in una fase di emergenza, ma anche in futuro, è una scelta sbagliata ambientalmente ed economicamente.

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A chi non piacciono le infrastrutture? Simbolo di progresso, di nuove opportunità, nuove interconnessioni.

In più, non c’è bisogno della teoria economica della valutazione delle opzioni per intuire che un corridoio aggiuntivo o un’opportunità in più di diversificazione sono qualcosa di desiderabile.

Anzi no: citiamola la teoria delle opzioni: un’opzione non può che avere un valore positivo, perché è qualcosa che possiamo usare, ma che non siamo obbligati a usare se non ci servirà.

La brutta notizia è che le opzioni costano. Come le infrastrutture. Costano in soldi, ma anche in diverse opportunità perse. Rispetto al mare delle esecrazioni mainstream al “nimby” dei piombinesi che si oppongono alle infrastrutture per l’attracco del rigassificatore galleggiante comprato da Snam (a quali prezzi non è dato sapere) ammetto di sentirmi una minoranza: penso che gli scettici al progetto non abbiano tutti i torti.

Forse è vero che se a Piombino non attracca alcuna nave l’economia locale si perderà un’opportunità di breve termine, ma credo anche che il progetto non sia un buon affare per il nostro sistema energetico.

Un recente lavoro di IISD su dati IPCC indica che se vogliamo avere discrete probabilità di rispettare il budget di emissioni degli accordi di Glasgow (e Parigi) l’uso di combustibili fossili (che secondo la stessa IPCC sono responsabili del 65% delle emissioni antropogeniche di gas-serra) deve ridursi di un terzo al 2030.

Il Governo italiano si è già impegnato a un recente G7 a una sostanziale decarbonizzazione del settore elettrico al 2035, ma già prima il Piano di Transizione Ecologica indicava in circa il 70% la quota di fonti rinnovabili per la produzione elettrica nel 2030.

In tutto questo, la crisi energetica ha fatto scattare una corsa quasi apotropaica a qualunque cosa ci possa dare la sicurezza di non subire razionamenti.

Eppure, secondo scenari come quello di Artelys di pochi mesi fa questi razionamenti sarebbero limitati a poche regioni in Europa e al prossimo inverno, e avverrebbero solo in caso di una chiusura dei rubinetti russi che per ora non è avvenuta (quel che sta avvenendo è una modulazione delle esportazioni per sostenere i prezzi: una cosa un po’diversa).

E non solo: si sta dando apoditticamente per scontato che i consumi di gas non saranno influenzati dai prezzi elevati che stiamo sperimentando, ipotesi evidentemente inverosimile (quale sistema economico non modifica i consumi di un bene il cui prezzo quintuplica?).

E ancora: il “whatever it takes” infrastrutturale è anche viziato in termini temporali. Se il problema principale è il prossimo inverno, perché pensiamo a infrastrutture che arriveranno più tardi e che resteranno potenzialmente operative (o comunque da remunerare) per molti anni?

Una comune contro deduzione è che una nave galleggiante ha il pregio che quando non serve più la si può dismettere e vendere. Vero.

Ma quanto varrà sul mercato la nave una volta che i prezzi siano tornati a livelli pre-crisi? Quanto sarà la perdita in conto capitale, pagata in tariffa o con le tasse, tra il prezzo di acquisto sull’onda dell’emergenza e quello di rivendita?

Le opzioni hanno sempre un valore, vero. La diversificazione delle fonti è un bene. Ma il costo per diversificare quelle di gas anziché accelerare la nostra emancipazione dal gas stesso rischia di restarci pesantemente sul groppone. Vuoi vedere che i nimby boys di Piombino hanno la dote della lungimiranza?

Di questo tema, con qualche riferimento in più: https://eccoclimate.org/it/le-risposte-a-molte-delle-domande-sul-gas-fossile/

L’articolo è stato pubblicato sul n. 3/2022 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Navi di gas”. 

Lunedì 29 agosto pubblicheremo una breve inchiesta video sulle opinioni di amministratori, imprenditori e cittadini di Piombino sul rigassificatore.

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