Quante batterie al litio si riciclano davvero nel mondo?

Un recente studio inglese mette ordine nei numeri, spesso inesatti, che riguardano il trattamento e recupero degli accumulatori a fine vita.

ADV
image_pdfimage_print

Si sente dire che nel mondo si ricicla meno del 5% delle batterie al litio, perché i processi industriali per “trattare” gli accumulatori usati sono inefficienti e costosi: sono in molti a credere che la maggior parte dei materiali in essi contenuti finisca nelle discariche. Ma non è così.

Uno studio della società di consulenza londinese Circular Energy Storage, commissionato dall’agenzia svedese per l’energia (uscito lo scorso aprile e ora pubblicato in inglese: State-of-the-art in reuse and recycling of lithium-ion batteries – A research review) smaschera alcune fake news che riguardano le tecnologie di recupero e riutilizzo delle batterie.

Il problema, spiega l’autore della ricerca, Hans Eric Melin, è che la letteratura scientifica in tema di riciclo del litio è parecchio frammentata e più di una volta ha continuato a citare dati vecchi senza verificarli accuratamente, come nel caso del “5%”, mentre la percentuale effettiva è ben più elevata.

Lo chiarisce il grafico seguente, tratto dal documento di Circular Energy Storage.

Nel 2018 si sono riciclate quasi 100.000 tonnellate di accumulatori al litio su scala globale, circa il 50% di quelli che hanno raggiunto il “fine vita” (EOL: end-of-life) nei diversi campi di utilizzo, dai dispositivi portatili (cellulari, computer eccetera) ai veicoli elettrici e così via.

La fetta più consistente dell’attività di smaltimento/recupero è avvenuta in Cina, con oltre 60.000 tonnellate, davanti alla Corea del Sud con circa 18.000 tonnellate.

In totale, precisa lo studio, ci sono più di 50 compagnie, tra piccoli laboratori e stabilimenti di grandi dimensioni, capaci di riciclare le batterie al litio, soprattutto in Asia (Cina, Corea del Sud, Giappone) e poi nell’Unione europea, in Canada e negli Stati Uniti.

Il quadro è molto vario: differenti sono le tecnologie impiegate per la lavorazione degli accumulatori esausti (processi idro-metallurgici o piro-metallurgici, vedi qui le sperimentazioni del CNR) così come sono differenti i prodotti chimici che si possono ricavare, in termini di purezza.

In generale, evidenzia la ricerca inglese, l’industria del riciclo ha una capacità di trattamento maggiore rispetto ai volumi di batterie effettivamente trattati; si parla, infatti, di “overcapacity” determinata da una serie di fattori, tra cui la mancanza di sistemi efficienti per la raccolta degli accumulatori, anche perché spesso i prodotti non sono stati progettati in modo da facilitare il recupero delle batterie.

Inoltre, si legge nella ricerca, molti centri di riciclo, soprattutto in Europa, subiscono la concorrenza delle industrie cinesi e coreane, perché in Asia ci sono condizioni di mercato più favorevoli.

Senza dimenticare che in alcuni settori le batterie a fine vita possono essere impiegate in nuove applicazioni di “second-life”: pensiamo, ad esempio, agli accumulatori al litio dei veicoli elettrici poi installati in sistemi stazionari di energy storage.

Ricordiamo, infine, che recentemente due aziende finlandesi, Crisolteq e Fortum, hanno sviluppato un metodo di “precipitazione chimica” che consente di raggiungere un tasso di riciclo dei componenti delle batterie molto più elevato in confronto ai processi attuali (80% circa vs 50%); di conseguenza, è possibile rimettere nel processo produttivo delle batterie diversi elementi preziosi, non solo il litio ma anche il cobalto, il nickel, il manganese e così via.

Il seguente documento è riservato agli abbonati a QualEnergia.it PRO:

Prova gratis il servizio per 10 giorni o abbonati subito a QualEnergia.it PRO

ADV
×