Perché dall’energia rischia di partire un’altra crisi stile Lehman Brothers

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I mercati energetici sono sull'orlo di un collasso finanzario. Intanto l’Ue si muove per mitigare la crisi di liquidità.

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Il paziente rischia seriamente un collasso, anche se non è ancora intubato in sala di rianimazione. E i medici sono al suo capezzale per cercare di mettere a punto il più presto possibile una terapia che scongiuri il peggio.

Il paziente è il mercato energetico europeo, il peggio sarebbe il crollo sistemico di uno o più grandi operatori energetici, alle prese con una crisi di liquidità che minaccia di stravolgere l’ordinato svolgimento delle attività nella rete dei sistemi elettrici e del gas continentali, riversandosi poi sui mercati finanziari. E i medici sono le istituzioni e regolatori dell’Ue.

Tutto ciò potrebbe diventare una Lehman Brothers dei mercati energetici – con un innesco di potenziale devastazione economico-finanziaria simile a quello che fece da detonatore della crisi dei mutui subprime nel 2008.

La questione ha cominciato a stagliarsi all’orizzonte poco più di un anno fa, spiega a QualEnergia.it Stefano Cavriani, esperto del mercato energetico e fondatore della società di trading energetico EGO Energy. Si risale cioè a quando iniziarono i primi forti rincari dell’energia, sulla scia del rimbalzo post-pandemico dell’economia – inaspettatamente intenso, rispetto alle diminuita capacità di offerta.

Ma un campanello di allarme vero e proprio lo ha fatto suonare la settimana scorsa il gigante energetico norvegese Equinor, che per bocca del suo Vicepresidente senior per il gas e l’elettricità, Helge Haugane, ha stimato in 1.500 miliardi di dollari (1,5 trilioni) le coperture finanziarie complessive che le aziende energetiche hanno dovuto fornire per non vedere liquidate le proprie posizioni relative a contratti di acquisto e vendita futuri di elettricità e gas – a fronte dei rincari enormi di quest’ultimi.

“Se le aziende hanno bisogno di mettere così tanto denaro, significa che la liquidità nel mercato si esaurisce e questo non va bene per questa parte dei mercati del gas”, ha detto Haugane.

Una quantità gigantesca di liquidità o comunque di collaterale che, molto banalmente, per una semplice questione fisica, se viene accantonata, congelata a garanzia di operazioni future, non è più disponibile, rimuove di circolazione linfa economica necessaria all’operatività quotidiana, agli investimenti strategici di lungo termine e a tutto quello che sta nel mezzo.

Queste cifre enormi parcheggiate a garanzia di operazioni future rimarranno intoccabili presso le maggiori piazze di contrattazione europee fino a quando i relativi contratti di compravendita non saranno regolati e chiusi.

Le durate di tali contratti possono arrivare facilmente a uno-due anni, ma le aziende energetiche non possono attendere uno o due anni che i contratti si chiudano per rientrare dalle loro posizioni di copertura del rischio, poiché hanno finito tutta la liquidità che avevano e spesso non possono più accedere al credito per far fronte alla normale operatività. Il risultato è che molti operatori rischiano di rimanere presto strangolati dalla carenza di liquidità.

Il meccanismo finanziario

Ma quali sono l’ambito e il meccanismo finanziario che involontariamente stanno creando le condizioni di questa possibile crisi nella crisi – una crisi finanziaria che potrebbe deflagrare nel bel mezzo di una crisi energetica, avvitandosi in un circolo vizioso potenzialmente rovinoso per entrambi i settori?

L’ambito generale è quello finanziario dei cosiddetti contratti future, con cui soggetti finanziari e soggetti operativi di un settore, qualunque settore, si “assicurano” dal rischio – il rischio che i prezzi di una materia prima cambino, il rischio che il meteo rovini i raccolti e qualunque altro tipo di evenienza negativa. Il modo in cui si mettono al riparo da tali rischi è pre-contrattare un prezzo, assicurarsi cioè un prezzo certo a cui si impegnano ad acquistare o vendere una quantità predeterminata di una commodity in un momento futuro.

Si tratta di strumenti rientranti nella categoria dei cosiddetti “derivati” e che erroneamente vengono spesso equiparati ad attività speculative. In realtà, rappresentano una pratica vecchia di secoli, sulla cui base si sono fortemente sviluppati i commerci internazionali e il capitalismo mercantile.

Ma torniamo alle piazze di contrattazione moderne e alle garanzie finanziarie.

Una cosa fondamentale da sapere è che le piazze di contrattazione presso cui è parcheggiato il collaterale a garanzie delle operazioni future “non hanno visibilità alcuna sulla capacità o meno di chi ha sottoscritto un contratto future di rispettare operativamente o finanziariamente il suo impegno”, ci ha detto Michele Governatori, responsabile elettricità e gas del think tank indipendente ECCO.

Semplificando, l’unica cosa che queste piazze vedono, conoscono per certo e che serve a garantire il buon fine dell’operazione, e quindi a tutelare le parti in causa, è appunto la garanzia, la liquidità o altro tipo di collaterale versato presso di loro dalle parti.

Per poter accendere questi contratti future e ripararsi dal rischio è quindi necessario dare delle garanzie finanziarie, sia da parte di operatori finanziari puri che non controllano fisicamente il bene contrattualizzato, sia da parte di operatori di settore che controllano il bene sottostante.

È abbastanza intuitivo che operatori puramente finanziari debbano “certificare” la loro capacità di vendere o acquistare il bene sottostante mettendo sul tavolo dei soldi a garanzia, visto che non hanno un accesso diretto al bene. Meno intuitivo è che anche le aziende che fisicamente estraggono gas o generano elettricità debbano emettere delle garanzie sulla loro capacità di consegnare in futuro quel bene – che generalmente è sotto il loro controllo diretto.

Ed è qui che serve ricordarsi quanto sottolineato sopra – e cioè che le piazze di contrattazione non hanno alcuna visibilità oggettiva sulle capacità operative future di chicchessia e quindi per loro fa testo, vale, solo il collaterale a garanzia, che serve appunto a tutelare dal rischio di una eventuale mancata consegna la piazza stessa e la controparte.

Il meccanismo specifico che sta provocando l’attuale stato di fibrillazione è invece quello delle cosiddette “margin call”, cioè i richiami della piazza di contrattazione all’operatore affinché mantenga una garanzia adeguata all’andamento dei prezzi di mercato, in modo da essere sicuri che l’operatore sia effettivamente in grado di soddisfare i suoi impegni contrattuali alla data prevista. Se gli operatori non si adeguano a tali richiami, la piazza potrà disporre del collaterale già fornito a tutela dell’operazione e invalidare il relativo contratto – con grave perdita per l’operatore.

Questo meccanismo – che ricordiamo è a tutela del mercato e delle parti contrattuali e che poco c’entra con la speculazione – svolge solitamente la sua funzione senza troppi sussulti. Ma, in una situazione in cui i prezzi per una serie di motivi concomitanti sono decuplicati, questo meccanismo fa decuplicare anche l’entità delle garanzie e, da strumento di tutela degli operatori e di riequilibrio nel tempo dei valori contrattualizzati, sta diventando uno strumento di strozzamento immediato delle imprese.

Cosa sta reagendo l’Europa?

Per evitare un possibile collasso “cardio-circolatorio” – cioè della liquidità – del sistema energetico e un possibile contagio del sistema finanziario, la Commissione europea, in collaborazione con l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) e l’Autorità bancaria europea (Eba), sta predisponendo una serie di possibili rimedi.

L’Esma dovrebbe presentare le sue proposte entro oggi, 22 settembre, mentre l’Eba è stata invitata a riferire le sue proposte entro il 29 settembre.

Fra le proposte, ci potrebbero essere l’ampliamento dell’elenco delle garanzie idonee e le condizioni alle quali le garanzie bancarie potrebbero essere accettate come collaterale. La Commissione ha inoltre invitato l’Eba, l’Esma e il meccanismo di vigilanza unico (Mvu), a valutare in che modo le banche attualmente forniscono servizi relativi alle garanzie.

La Commissione ha invitato le autorità di regolazione a esaminare anche dei modi per migliorare la trasparenza e la prevedibilità dei modelli di marginazione nei confronti dei clienti e le modalità in base alle quali una controparte centrale può richiamare i margini infra-giornalieri.

Dovrebbero cioè essere riconosciute e rese più visibili le peculiarità dei diversi tipi di operatori. C’è una grande differenza, infatti, tra i produttori di energia e gli istituti finanziari puri. I primi possiedono per lo più asset di generazione e i loro contratti future dovrebbero poter poggiare anche su tali asset fisici, poiché questi sono capaci di soddisfare i loro impegni, anche senza dover mettere la stessa quantità di collaterale che invece è più opportunamente richiesta ai secondi, che non hanno asset di generazione.

La Commissione ha poi invitato l’Esma a valutare l’adeguatezza della raccomandazione di aumentare a 4 miliardi di euro la soglia di compensazione per le materie prime e altri derivati.

L’esecutivo Ue vuole inoltre che l’Esma indaghi sul motivo per cui non sono stati attivati circuiti di interruzione o interruzioni temporanee delle negoziazioni quando i prezzi dell’energia sono saliti e se le regole di questi mercati debbano essere armonizzate in tutto il blocco.

“Questo per garantire che tutte le borse elettriche adottino una linea coerente di fronte all’eccessiva volatilità dei prezzi del gas”, ha dichiarato la Commissione.

L’organo di vigilanza dei mercati dell’Ue presenterà entro il 17 ottobre delle proposte su un approccio più armonizzato alle borse per gestire i movimenti eccessivi dei prezzi, così da contribuire a smorzare la volatilità e rallentare le richieste di margini infragiornalieri.

Conclusioni

Modificare le regole sul funzionamento dei mercati è verosimilmente una misura necessaria per il futuro, ma probabilmente non sufficiente a dare nuovo respiro nell’immediato a molte aziende energetiche. Servirà presumibilmente mettere a disposizione delle imprese del settore nuove linee di credito agevolato, con garanzia statale, per allentare l’effetto strangolamento delle margin call.

Ci sono poi le questioni collegate della tassa sugli extra-profitti, dei tetti di prezzo sul gas e, in Italia almeno, del blocco delle clausole contrattuali che consentivano alle imprese fornitrici di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione dei prezzi.

Tutte misure in discussione, annunciate o varate a furor di popolo per cercare di lenire gli effetti dolorosi del caro-energia, che in realtà potrebbero peggiorare ancora di più la situazione di molte aziende – e di riflesso di tutti noi. I grossi profitti, infatti, non li hanno realizzati tutte le aziende del settore, ma soprattutto i grandi produttori di fonti fossili, a monte della filiera, non chi fa distribuzione elettrica o del gas a valle. E i price cap, difficili da congegnare, hanno spesso conseguenze inaspettate non necessariamente positive.

Molte aziende rischiano quindi di restare cornute, mazziate e con le mani legate – strangolate dalle margin calls, depauperate di “extra profitti” che molte non hanno realizzato e impossibilitate a proporre modifiche contrattuali ai clienti finali.

Sarà insomma il caso di fare qualche distinizione e molta attenzione, perché ciò che si desidera ardentemente potrebbe avverarsi, e non è detto che ci farà piacere.

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