Per le Pmi italiane il rating Esg vuol dire energia

Secondo le aziende adottare criteri di sostenibilità fa bene prima di tutto ai consumi. Tra i progetti realizzati anche riciclo e rinnovabili ma per fare meglio serve un nuovo approccio alla finanza. Il workshop dell’Università di Padova.

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Quando si parla di criteri Esg le Pmi italiane vedono prima di tutto un’opportunità di efficientamento energetico. È quanto emerge da un’indagine condotta dal Forum per la finanza sostenibile su un campione di 513 micro, piccole e medie imprese italiane.

I criteri in questione riguardano gli ambiti “Environmental, Social e Governance” e costituiscono uno schema con cui valutare le prestazioni delle aziende.

Secondo il 39% degli intervistati realizzare progetti che vadano in questa direzione è prima di tutto una scelta che favorisce efficienza e riduzione dei consumi. Aspetto che precede il miglioramento della reputazione, preso in considerazione dal 29% del campione, e l’acquisizione di nuovi clienti o mercati (27%).

I criteri Esg racchiudono in sé molti aspetti ma l’energia resta una priorità anche tra chi ha effettivamente realizzato progetti in chiave sostenibile, cioè il 96% del campione: se in cima alla classifica ci sono azioni di riduzione dei rifiuti e riciclo dei materiali (47%), staccate di poco troviamo proprio le iniziative di efficientamento e riduzione dei consumi (41%), seguite dall’utilizzo di energia generata con fonti rinnovabili (34%).

Da non sottovalutare anche le risposte su eventuali coperture assicurative non obbligatorie che comprendano “requisiti premiali per determinati comportamenti e obiettivi sostenibili”.

Il dato più alto riguarda assicurazioni “per l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili” (38%), poi “per la produzione di energia da fonti rinnovabili” (37%) e “prevenzione e sicurezza” (23%). In fondo alla classifica, con il 14% delle risposte, le polizze legate alle flotte aziendali elettriche.

Le Pmi conoscono poco la finanza sostenibile

L’indagine è stata presentata da Arianna Lovera, research manager del Forum per la Finanza Sostenibile, nel corso del convegno “Le Pmi nella transizione energetica: il finanziamento dei progetti sostenibili”.

Nel corso dell’evento, organizzato dall’Università di Padova il 21 novembre, è emerso come un modo per avvicinare più e meglio le imprese ai progetti in chiave Esg sia la finanza sostenibile; un mondo non ancora compreso abbastanza dalle Pmi italiane.

Il 48% del campione intervistato, infatti, è ricorso ad “autofinanziamento” per realizzare progetti di sostenibilità, il 25% ha avuto accesso a fondi statali o regionali, il 21% a quelli europei.

Dati che scendono al 13% per crediti con condizioni agevolate per progetti di sostenibilità e 11% per le obbligazioni Esg. Questo perché il 70% del campione ritiene che l’attuale offerta finanziaria non sia adeguata o solo parzialmente adeguata alle proprie esigenze. In primis per la complessità della materia (34%), poi per gli stringenti criteri di accesso (31%) e i tempi di attivazione più lunghi (26%).

“Per finanziare la transizione sostenibile le Pmi fanno ancora molto ricorso ai capitali propri, oppure ai fondi pubblici”, commenta Arianna Lovera. “Tuttavia, si stanno avvicinando agli strumenti finanziari sostenibili, prediligendo il credito. Occorre adattare l’offerta di strumenti finanziari sostenibili alle loro esigenze, ad esempio semplificando le procedure, riducendo i costi e migliorando la comunicazione alle imprese”.

Un altro scoglio da superare è la mancanza di informazioni con cui banche e istituti possano creare prodotti più performanti e calati sulle Pmi.

L’indagine del Forum ha previsto un colloquio qualitativo e di analisi con sette istituti finanziari. Nel complesso è emerso “come la rendicontazione di sostenibilità, di qualunque genere, sia percepita dalle Pmi come un costo, un aggravio, non come opportunità per valorizzare l’azienda”. Inoltre, queste società, anche per mancanza di competenze adeguate, a volte “sottovalutano” il valore di alcune iniziative realizzate e non le comunicano.

Altra tendenza osservata tra le piccole e medie imprese italiane è il “green hushing”: mantenere il riserbo sui propri obiettivi e risultati di sostenibilità per timore di dover assolvere a un eccessivo onere di controlli. Tale pratica può incorrere anche per evitare di essere accusati di “greenwashing”, per non rischiare di diffondere informazioni sensibili che potrebbero penalizzare il proprio business e per l’incertezza sulla propria azione nei confronti della sostenibilità.

Questa mancanza di informazioni, secondo il Forum per la Finanza sostenibile, “è un problema che limita l’accesso delle Pmi al sistema finanziario”.

Opportunità di “Impact Investing” e comunità energetiche

Il tema della mancanza o dell’omissione di dati rischia di creare un cortocircuito o, più semplicemente, di far perdere delle opportunità.

“Il sistema finanziario è stato fortemente chiamato in causa negli ultimi anni sul tema Esg”, secondo Simone Grillo di Banca Etica, tra i relatori dell’evento UniPadova. “Le norme chiedono alle banche che finanziano un’impresa di verificare se i loro clienti siano attenti e preparati alla transizione ecologica”.

Da qui la costruzione di prodotti finanziari tarati sul concetto di sostenibilità, come nel caso dell’impact investing: “Investimento finanziario legato a obiettivi sociali e ambientali misurabili, intenzionali e che puntano a realizzare un rendimento”. Più si è aderenti ai risultati attesi in termini di sostenibilità più il finanziamento avrà condizioni vantaggiose. Va da sé che la trasparenza delle informazioni è un elemento imprescindibile e fenomeni come il green hushing rappresentano un forte ostacolo.

Un aiuto in questa direzione arriva da progetti come “up2you” con cui Banca Etica, insieme a una serie di partner tecnici, ha previsto agevolazioni nell’accesso ai servizi di consulenza per la decarbonizzazione delle imprese.

Non molto diversa è l’iniziativa Respira con cui è stata attivata una piattaforma che favorisce la creazione di comunità energetiche in forma cooperativa. Il progetto è portato avanti da Banca Etica con Lega Coop, Coopfond ed Ecomill per fornire supporto a cittadini, imprese e P.A. sulla costituzione delle Cer. Un percorso di accompagnamento che riguarda sia gli aspetti di finanziamento sia quelli tecnici e burocratici.

“Per la transizione energetica servono molti investimenti ma la quantificazione è complicata”, secondo Marina Bertolini, docente dell’Università degli Studi di Padova, che ha fatto da moderatrice durante il workshop del 21 novembre.

Nel corso dell’evento “è emerso come la misurazione di determinati aspetti aziendali sia fondamentale” ma “bisogna incrementare le competenze Esg nelle Pmi, dove non sempre c’è la possibilità di farlo”. Di contro, per banche e istituti “c’è il tema del rischio” delle operazioni di finanziamento che è “difficilmente quantificabile” in assenza di dati certi.

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