Mentre mezza Europa, Germania in testa, sta insorgendo contro la proposta della Commissione europea di includere l’atomo nella lista delle tecnologie sostenibili, proprio dal fronte nuclearista arriva un invito a rivedere il testo involontariamente significativo per capire quanto questa tecnologia sia una soluzione inadeguata per affrontare la transizione energetica.
In sintesi, ha spiegato l’associazione europea dell’industria nucleare Foratom, i requisiti che la bozza in circolazione richiederebbe per definire sostenibile e dunque finanziabile con fondi Ue l’atomo, escluderebbero di fatto tutti gli investimenti in nuovo nucleare attualmente possibili.
Secondo la bozza della tassonomia, infatti, le nuove centrali nucleari, per poter essere definite una tecnologia “transitoria” che fornisce un “contributo sostanziale alla mitigazione del cambiamento climatico”, devono essere costruite prima del 2045 e dimostrare di poter avere un impianto di smaltimento delle scorie operativo entro il 2050.
Inoltre, sempre secondo il testo in discussione, i nuovi reattori dovrebbero applicare pienamente “la migliore tecnologia disponibile e combustibile resistente agli incidenti“.
Peccato che, come spiega Foratom, queste tecnologie a prova di incidente siano lontane dallo stadio commerciale, perché ancora oggetto di ricerca.
“Per questo motivo, allo stato attuale, nessun progetto nucleare rientrerebbe nella tassonomia. Se il testo non cambia, allora abbiamo problemi, in particolare in relazione ai carburanti resistenti agli incidenti: oggi non esistono sul mercato”, spiega Jessica Johnson, direttrice comunicazione di Foratom sentita dall’agenzia Euractiv.
Per Foratom, che la Commissione richieda l’uso di combustibili nucleari a prova di incidente “non è accettabile”, ha affermato Johnson, aggiungendo tuttavia che questo potrebbe semplicemente essere “un malinteso” da parte dell’esecutivo comunitario.
Una posizione che l’associazione dell’industria nucleare ha espresso anche in una lettera inviata a Bruxelles (link in basso), in cui si legge che “dato che i combustibili resistenti agli incidenti sono ancora in fase di ricerca, riteniamo che questo requisito debba essere rimosso e invece limitato alla legislazione esistente e alle migliori tecnologie disponibili”.
Come detto, Foratom è preoccupata anche sulla formulazione della bozza per quanto riguarda i tipi di centrali nucleari che potrebbero qualificarsi, e per i requisiti sulla gestione delle scorie.
Secondo la lobby, probabilmente per “una svista” e “una questione di formulazione”, la proposta sembra riguardare solo i progetti di nuova costruzione o quelli che subiscono una estensione della vita utile, escludendo potenzialmente la manutenzione degli impianti esistenti.
Significativa poi la posizione di Foratom sullo stoccaggio delle scorie, che come sappiamo mantengono livelli pericolosi di radioattività per migliaia di anni e per il quale al momento non si è ancora trovata una soluzione definitiva.
Secondo la bozza di tassonomia, infatti, le centrali nucleari potranno rivendicare l’etichetta di investimento verde solo se possono mostrare “un piano con passaggi dettagliati” per avere stoccaggi definitivi dei rifiuti più pericolosi “in funzione entro il 2050“.
Come spiega a Euractiv la portavoce dell’associazione Johnson, l’attuale formulazione potrebbe significare che un impianto costruito nel decennio 2040 avrebbe bisogno di un repository definitivo entro il 2050, nonostante non sarà necessario per decenni. “Non vediamo la necessità di avere un repository finale inattivo per 20-30 anni. Non ha molto senso per noi”, ha spiegato.
Per noi, invece, non ha tanto senso che soldi pubblici vadano a sostenere una tecnologia che, lungi dal contribuire in tempi utili alla transizione energetica, crea un problema, quello delle scorie, che ancora non si sa come gestire.