L’acciaio verde in Italia è già una realtà: il settore siderurgico del nostro Paese è tra i meno impattanti al mondo, con 20 dei 23 milioni di tonnellate prodotte in forni elettrici.
Per continuare su questo trend è necessario che si sviluppi al più presto una domanda strutturata, che abbassi gli extra-costi del prodotto e dia maggiori sicurezze ai produttori per sbloccare finanziamenti in tecnologie sempre più efficienti.
La strada tracciata da Eurofer, associazione che raggruppa i siderurgici europei, va in questa direzione. In una lettera inviata lo scorso luglio alla rieletta presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il settore ha chiesto che non si insista ulteriormente con la politica di incentivi, passando invece a uno stimolo dal lato della domanda.
Subito è emerso però il primo problema. “È chiaro che utilizzare idrogeno o elettricità da fonti rinnovabili è più costoso che utilizzare carbone nel processo di produzione dell’acciaio”, ha spiegato Axel Eggert, direttore generale Eurofer.
“In normali condizioni di mercato – ha aggiunto – non saremmo in grado di trasferire quei costi. Ciò significa che non troveremmo clienti che acquistino massicciamente questo acciaio verde”. Ecco perché, secondo i siderurgici europei, c’è bisogno che la domanda venga in qualche modo stimolata.
Acciaio “verde”?
Una definizione univoca di “acciaio verde”, è bene precisarlo, non c’è.
Si considera tale, pur con le differenziazioni del caso in base ai processi produttivi e al tipo di prodotto finito, quello che viene generato da rottami in forni elettrici, a differenza di quello che parte dai minerali ed esce dagli altoforni alimentati a carbone.
In Italia “non siamo ancora all’esistenza di un mercato per l’acciaio green”, spiega a QualEnergia.it Antonio Gozzi, presidente di Federacciai. “I clienti iniziano a chiedercelo, ma al momento la domanda è più avanti dell’offerta”.
Secondo il numero uno dei siderurgici italiani, l’approccio portato avanti da Eurofer di fronte alle istituzioni europee non potrebbe applicarsi nel nostro Paese. E il motivo risiede nel fatto che l’acciaio europeo non è decarbonizzato quanto il nostro.
L’Italia è infatti arrivata a produrre produce acciaio con bassissime emissioni di CO2 per tonnellata. Per quanto riguarda le emissioni Scope 1, cioè quelle dirette, l’industria italiana è “vicina alla neutralità carbonica”, ha spiegato Gozzi in una relazione presentata all’Assemblea annuale di Federacciai dello scorso 26 settembre. “Siamo impegnati a risolvere i problemi residui legati a piccole emissioni presenti anche nei forni elettrici e alle emissioni, sia pure contenute, derivanti dall’utilizzo di gas naturale nei forni di riscaldo dei nostri laminatoi”.
Sullo Scope 2, cioè le emissioni indirette derivanti dall’energia acquistata dai siderurgici, “almeno un terzo dell’elettricità da noi consumata è da fonte rinnovabile”. Un altro terzo di energia rinnovabile arriverà a partire dal 2025 dall’Energy Release.
Per il restante terzo, Federacciai punta a un PPA nucleare dopo aver già sottoscritto con Edison-Edf e Ansaldo Nucleare un memorandum d’intesa. Una soluzione che lascia più di una perplessità visti i tempi e i costi di realizzazione (ne abbiamo scritto in maniera più approfondita in: L’acciaio italiano sceglie il nucleare per decarbonizzarsi).
Domanda e offerta di acciaio green
Eurofer auspica uno stimolo della domanda “anche per una questione di quote gratuite per l’emissione di CO2”, spiega Gozzi.
“Se non si cambiano le regole europee vigenti – prosegue – dal 2030 non ce ne saranno più per gli altiforni. Produrre una tonnellata di acciaio costa 300 euro e causa l’emissione di 2 tonnellate di CO2, che ha un extra costo di quasi 100 euro a tonnellata”.
Va da sé che i prodotti rischierebbero di finire fuori mercato e non essere più competitivi se ogni tonnellata arrivasse a costare quasi il doppio per compensare le emissioni.
La richiesta dell’associazione europea è quindi che la nuova Commissione spinga sui “Lead Markets” (“mercati guidati”).
Lo scorso luglio in un discorso elettorale von der Leyen aveva annunciato che avrebbe presentato un “Clean Industrial Deal” entro i primi 100 giorni del suo nuovo mandato, segnalando anche un piano di “Lead Markets” per materiali sostenibili che potrebbe richiedere alle autorità pubbliche e ai settori che utilizzano acciaio di acquistare prodotti a ridotto impatto ambientale.
Mentre finora gli sforzi dell’Ue si sono concentrati sul sovvenzionare metodi di produzione più sostenibili e sull’aumento dei prezzi del carbonio (ad esempio attraverso il sistema di scambio di quote di emissione Ets), i “mercati guidati” sposterebbero l’attenzione verso la creazione di una domanda di questi prodotti.
Una richiesta simile è stata presentata anche dai produttori di acciaio tedeschi, che hanno presentato al governo federale il “National Steel Action Plan“, un piano d’azione per rilanciare il settore che prevede l’introduzione di misure per prezzi competitivi agli energivori, un’accelerazione sulla produzione di idrogeno e la creazione, appunto di “Lead Markets” guidati dagli appalti pubblici.
Scenario non replicabile in Italia per Federacciai. “Non tutto è sovvenzionabile”, precisa Gozzi, ma “con la perdita di competitività e gli extra costi sulla manifattura europea, non si può imporre un obbligo del green. È un processo che avverrà coi tempi necessari, quando domanda e offerta si allineeranno”.
Un meccanismo destinato quindi a crescere in futuro: “Se la domanda fosse già forte l’offerta potrebbe accelerare. Potrebbe accadere ad esempio nell’acciaio per il cemento armato, lo useremmo come strumento di marketing, oppure nell’automotive, visto che le case automobilistiche sono molto attente e chiedono di vedere il footprint carbonico dell’acciaio”.
Guidare i mercati
Un input dall’alto è però auspicabile secondo il think tank climatico italiano ECCO. “Bisogna tenere conto dello scenario mondiale, soprattutto in merito a materiali particolarmente esposti al mercato”, ci spiega Chiara Di Mambro, Director Italy & EU Strategy di ECCO. “Prima si crea domanda domestica, poi occorre far sì che si creino alleanze internazionali con Paesi commercialmente vicini. È un processo che non si sviluppa da solo, le policy sono necessarie, servono mercati guidati”.
Le politiche devono però essere integrate. Da un lato occorre decarbonizzare il processo produttivo (con incentivi Capex e Opex, ad esempio), “ma se in parallelo non si crea un mercato di prodotti verdi, gli incentivi diventano sussidi, non si creano i presupposti per un business case, ovvero per una fattibilità e sostenibilità degli investimenti sul medio e lungo periodo”.
Diventa quindi necessario agire sulla domanda. “Soprattutto alla luce del fatto che il mondo è in over capacity di acciaio: nel 2023 l’utilizzo era al 76% della capacità di produzione installata”.
“Non puoi obbligare nessuno, ma puoi indirizzare il mercato”, è la sintesi di ECCO. Un esempio per lo stimolo della domanda è contenuto nel nuovo codice degli appalti, che incorpora i criteri del Green Public Procurement, uno strumento di politica ambientale che intende favorire lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale sfruttando appunto la leva della domanda pubblica.
L’esperimento di Dalmine
Sull’innovazione tecnologica qualcosa intanto si muove. Il 3 luglio ha preso ufficialmente il via a Dalmine (Bergamo) la prima sperimentazione condotta in Italia presso un impianto siderurgico che prevede l’impiego di idrogeno nella lavorazione di prodotti in acciaio. L’iniziativa è di Snam, TenarisDalmine e Tenova.
Il processo prevede di usare L’H2 in un nuovo bruciatore recentemente sviluppato da Tenova e installato in un forno di riscaldo per la laminazione a caldo di tubi senza saldatura.
A produrre il carburante pulito sarà, direttamente in situ, un sistema per l’elettrolisi alcalina messo a disposizione da Snam in leasing. TenarisDalmine metterà a disposizione il sito e il forno di riscaldo.
Una tecnologia ancora agli albori e che richiederà tempo prima che possa diventare matura ed economicamente competitiva.