Dal 2017 la Banca mondiale dice no al petrolio, ma lo sta ancora finanziando

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Il caso dei maxi giacimenti petroliferi in Guyana riporta in primo piano le contraddizioni delle politiche d’investimento su scala globale.

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Non più tardi di due anni fa, precisamente a dicembre 2017, la Banca mondiale aveva annunciato che avrebbe smesso di supportare gli investimenti in combustibili fossili.

In una nota diffusa al One Planet Summit in Francia, la World Bank aveva affermato che dal 2019 non avrebbe più finanziato l’estrazione di petrolio e gas (upstream oil and gas); peccato che la realtà dica il contrario, visto che ancora a marzo 2019 l’istituto ha approvato un finanziamento da 20 milioni di dollari per aiutare la Guyana a gestire e sviluppare le sue risorse petrolifere.

In totale, la Banca mondiale ha approvato finanziamenti per 55 milioni di dollari tra 2018 e 2019 con cui sostenere il programma oil&gas del piccolo paese sudamericano, in particolare il Guyana Petroleum Resources Governance and Management Project.

E questi finanziamenti sembrano esulare da quelle “circostanze eccezionali” ammesse nell’annuncio del 2017, cioè che l’istituto avrebbe considerato progetti nel settore gas nelle economie più arretrate, se avesse riscontrato un chiaro vantaggio per quanto riguarda l’accesso all’energia delle popolazioni più povere e se quei progetti fossero stati in linea con gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi sul clima.

Perché la Guyana è così importante?

Le contraddizioni della politica finanziaria della Banca mondiale sono state rilanciate in questi giorni da un paio di organizzazioni non governative.

La tedesca Urgewald in una nota parla di una “bomba del carbonio” pronta a esplodere con i progetti di trivellazione in corso in Guyana (carbon bomb drilling project) da parte di ExxonMobil, Hess e CNOOC.

Nella nota si spiega che dai nuovi giacimenti petroliferi al largo delle coste guianesi si potrebbero ricavare fino a 13,6 miliardi di barili di oro nero oltre a una quantità enorme di gas naturale, con emissioni inquinanti che potrebbero superare 2,5 miliardi di tonnellate di CO2 in totale.

I campi petroliferi offshore della Guyana, chiarisce la nota, rappresentano una delle maggiori scoperte di greggio negli ultimi anni. E il loro sfruttamento potrebbe portare il paese ad avere le emissioni di CO2 pro-capite tra le più alte del mondo (la popolazione complessiva è di circa 780.000 abitanti).

Tra l’altro, osserva l’organizzazione no-profit tedesca, ExxonMobil ha potuto iniziare a estrarre il petrolio dai giacimenti grazie anche all’assistenza tecnica-finanziaria fornita dalla Banca mondiale al governo locale.

Il sostegno pubblico della Banca mondiale allo sviluppo dei giacimenti petroliferi in Guyana, evidenzia Urgewald (traduzione nostra dall’inglese, con neretti) “è una lampante contraddizione delle priorità della Guyana per il cambiamento climatico e dell’impegno della banca verso l’accordo di Parigi”.

Un’altra organizzazione non governativa, Global Witness, invece punta il dito contro l’accordo siglato dalla Guyana con ExxonMobil per concedere lo sfruttamento del maxi-blocco petrolifero offshore Stabroek.

Nel 2016 ExxonMobil aveva scoperto nuovi giacimenti in quel blocco ma le sue licenze sarebbero scadute entro un paio d’anni; in sostanza, sostiene Global Witness, il colosso petrolifero ha condotto dei negoziati molto aggressivi con gli inesperti e impreparati dirigenti della Guyana, facendo loro accettare un accordo tutto sbilanciato a favore di ExxonMobil che farà perdere al paese 55 miliardi di dollari di potenziali ricavi dallo sfruttamento delle nuove risorse energetiche.

Così la vicenda non fa altro che confermare quanto sia difficile tenere un percorso trasparente e lineare nella lotta al cambiamento climatico, anche da parte di quelle istituzioni finanziarie, come la Banca mondiale, che dovrebbero dare l’esempio e fare da precursori nel bloccare i finanziamenti alle fonti fossili.

Per non parlare poi delle scorrettezze di cui è accusata ExxonMobil a livello globale: la società, infatti, secondo la procura generale dello Stato di New York che ha aperto un procedimento legale contro ExxonMobil nel 2018, avrebbe ordito uno “schema fraudolento” per mentire agli azionisti sui veri rischi economici, ambientali e sociali correlati agli investimenti in petrolio e gas.

Secondo i dati diffusi alla fine del 2019 dal Climate Accountability Institute, le venti compagnie più inquinanti del Pianeta sono responsabili di aver emesso in totale 480 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, pari al 35% delle emissioni globali di gas-serra dal 1965 a oggi, con ExxonMobil al quarto posto della lista (42 miliardi di tonnellate).

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