Naturalmente cool: la rivoluzione Fgas è cruciale per il clima e il mercato delle pompe di calore

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La spinta Ue sul regolamento dei gas refrigeranti potrebbe segnare la vittoria climatica più significativa del decennio e aiuterebbe a tutelare il mercato europeo delle pompe di calore dai prodotti Extra-Ue.

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In Europa in questi mesi si sta combattendo una battaglia per il clima cruciale e sconosciuta.

Si tratta della revisione di un’oscura norma tecnica, di cui nessuno ha mai sentito parlare, ma che vale molti miliardi di euro: il regolamento sui gas fluorurati, meglio conosciuto come regolamento Fgas.

Anche se il nome non dice nulla ai più, i gas fluorurati sono onnipresenti in diversi aspetti chiave della nostra vita quotidiana.

Sono gas che vengono utilizzati per produrre, importare e conservare il nostro cibo, riscaldare e raffreddare le nostre case e i nostri uffici, trasportare l’energia che consumiamo, isolare i nostri edifici con schiume e preservare le nostre medicine e i vaccini. Questi gas sono chiamati anche con la loro formula chimica, HFC, per distinguerli dalla famiglia chimica che li ha preceduti, i CHFC.

Quando gli HFC sono entrati nel mercato, infatti, lo hanno fatto per sostituire proprio i CHFC, che sono sostanze che riducono lo strato di ozono e che sono state bandite, grazie al Protocollo di Montreal, negli ultimi decenni del secolo scorso.

Ma mentre gli HFC non sono ozono lesivi, si è purtroppo scoperto in seguito che hanno un potente effetto climatico.

Come potenti gas serra alcuni HFC possono avere un potenziale di riscaldamento globale 25.000 volte maggiore della CO2. Una bomba climatica che è esplosa ormai da tempo e che rischia di contribuire a portare il pianeta oltre il punto di non ritorno.

Per continuare a proteggere lo strato di ozono senza aggravare la crisi climatica, i leader mondiali hanno modificato il Protocollo di Montreal nel 2016 per includere una riduzione graduale dei gas fluorurati.

L’accordo prende il nome dalla città in cui è stato firmato, Kigali (Ruanda), e il nuovo trattato ha concordato una riduzione dell’80% degli HFC in 30 anni.

Raggiungere questo obiettivo farà evitare un aumento di 0,5 °C della temperatura globale entro la fine del secolo. Quasi nessun’altra singola azione per il clima può fornire risultati così netti.

Per decenni, l’Unione Europea ha vantato la politica sui gas fluorurati più ambiziosa del mondo. Grazie al Regolamento dei gas fluorurati, le emissioni degli HFC sono state scese stabilmente a partire dal 2015. Tuttavia, il cambiamento climatico ha accelerato per effetto di molti altri fattori e l’ambizione della norma è ora insufficiente.

Per questo la scienza esorta i responsabili politici ad andare ancora oltre e più velocemente.

In questa corsa contro il tempo, la revisione del regolamento potrebbe rivelarsi una mossa chiave. Questo settore, infatti, conta per quasi il 2,5% delle emissioni Ue, secondo lo studio preparatorio della Commissione Europea, che ha preparato una revisione ambiziosa del regolamento per allinearlo all’accordo di Kigali e andare oltre.

Il Parlamento Europeo, che ha affidato il dossier al verde Bas Eikout, ha raccolto la sfida e ha proposto la messa al bando totale degli HFC da qui a pochi anni. In queste settimane le istituzioni dell’Ue sono entrate nel round finale dei negoziati e la battaglia infuria, nei corridoi della capitale belga.

Da una parte, il Parlamento punta ad accelerare l’eliminazione graduale dei gas fluorurati con tagli più incisivi delle quote disponibili dal 2024 in poi, al fine di allineare l’Ue ai suoi obiettivi climatici per il 2030. Dall’altra parte, un pezzo del mondo industriale è fortemente contrario a questa rapida dismissione degli HFC.

È soprattutto il mondo della chimica che si oppone al cambiamento: l’Europa è un grosso mercato per chi è abituato a vendere le proprie miscele chimiche, in regime di semi-oligopolio e queste grandi aziende, potentissime con le loro lobby a Bruxelles, vorrebbero sostituire gli HFC con i loro nuovi brevetti, gli HFO, che sono però sospettati di produrre i PFAS, famigerati inquinanti ambientali.

Non ci sono solo loro a protestare. Anche la European Heat Pump Association si è aggiunta alla fronda degli scontenti, alimentando la paura che questo possa rallentare la diffusione delle pompe di calore e quindi l’eliminazione delle caldaie fossili.

È un ragionamento, quest’ultimo, che fa presa su molti: le pompe di calore, apparecchi ad alta efficienza energetica in grado sia di riscaldare che di raffrescare le nostre case senza ricorrere a combustibili fossili, sono ottimi alleati della transizione verde.

La loro eccessiva dipendenza dai gas HFC o dagli HFO è il loro unico grande problema. Un problema che il regolamento Ue potrebbe risolvere spingendo il mercato verso alternative più rispettose del clima già prodotte in Europa, come il propano, la CO2 ol’isobutano, che hanno il merito di essere, tra l’altro, privi di brevetti e molto poco costosi.

Indipendenza strategica

I gas fluorurati sono prodotti da una manciata di società multinazionali, la maggior parte delle quali con sede al di fuori dell’Ue. Non a caso, i produttori esteri di pompe di calore sono stati in prima linea nel tentativo di indebolire la posizione del Parlamento europeo sul dossier F-gas.

Ma anche se gli HFC fossero fabbricati in Europa, gli stati dell’Ue dovrebbero comunque fare affidamento sulle importazioni: questi gas dipendono da una materia prima chiave, il fluorspar, da cui si ricava la fluorite, la cui produzione è nelle mani della Cina e di pochi altri fornitori stranieri.

È chiaro, quindi, che l’uso di gas fluorurati nel crescente mercato delle pompe di calore si scontra con la strategia dell’Ue di aumentare la propria indipendenza nel settore delle materie prime strategiche e attirare l’industria verde in Europa.

In realtà favorirne la permanenza sul mercato consegnerebbe una delle “industrie pulite” più promettenti d’Europa nelle grinfie commerciali della Cina.

Se l’Europa ha imparato qualcosa dalle tragiche esperienze della pandemia e dell’invasione dell’Ucraina, è la necessità di accorciare le filiere produttive e aumentare la propria autosufficienza. Con la rapida eliminazione dei gas fluorurati proposta dal Parlamento europeo, l’industria europea delle pompe di calore si trova di fronte a un’opportunità d’oro per diventare completamente indipendente tramite il passaggio ai refrigeranti naturali, che hanno un bassissimo potenziale di riscaldamento globale e possono essere prodotti interamente nell’Ue.

Momento giusto, ritmo giusto

Alcuni sostengono che il passaggio ai refrigeranti naturali sarebbe troppo rapido. Ma questo cambiamento in realtà arriva al momento e alla velocità giusti, sia per il clima che per gli interessi strategici dell’Ue.

Bruxelles prevede di installare 30 milioni di pompe di calore in questo decennio per ridurre il consumo di gas fossile: possono essere un’arma a doppio taglio se alimentate dai gas fluorurati.

Quindi, la rapida crescita delle pompe di calore deve essere accompagnata da una forte diminuzione degli HFC se vogliamo evitare di mettere a repentaglio i nostri sforzi per il clima o di incatenarci ulteriormente alla Cina.

Giova ricordare poi che i refrigeranti naturali sono in realtà alleati naturali delle pompe di calore, perché hanno delle ottime performance di efficienza energetica, soprattutto nelle pompe di calore ad alta temperatura.

Proprio queste saranno una delle soluzioni di decarbonizzazione che presto saranno popolari in Europa, e in particolare in Italia, grazie alla loro capacità di fornire efficienza e comfort anche senza richiedere importanti lavori di ristrutturazione.

Con l’appello dell’Europa contro la dipendenza dai combustibili fossili contenuto nella revisione della Direttiva sulla performance energetica degli edifici, questa tipologia di pompe di calore, liberate dal loro problema climatico, è destinata a svolgere un ruolo centrale.

Per quanto riguarda la fattibilità del cambiamento, i principali attori industriali hanno già dimostrato che la direzione è segnata. Ariston, per fare un nome italiano, sta iniziando a inserire i gas naturali nei suoi prodotti e recentemente ha comperato proprio un’azienda tedesca che fa pompe di calore con gas naturali, la Wolf.

E in Germania diverse aziende hanno già investito in nuovi stabilimenti basati sul refrigerante propano. “Per il mercato residenziale è assolutamente chiaro che non abbiamo più bisogno di gas fluorurati”, ha affermato Ingo Seliger, rappresentante del produttore tedesco di pompe di calore Viessmann, già lo scorso gennaio.

La spinta all’innovazione promossa già dal primo regolamento Fgas ha inoltre consentito all’Europa di consolidare la propria leadership nella produzione di soluzioni a base naturale in tutto il mondo.

Grazie ai divieti sugli HFC più climalteranti introdotti nel primo regolamento, infatti, le alternative naturali (come CO2 e HC) sono oggi i refrigeranti principali utilizzati nella refrigerazione commerciale, ad esempio nei supermercati, in tutta l’Ue. A quel tempo, anche alcuni attori del settore avevano sollevato gli stessi timori agitati oggi per le pompe di calore.

Nel mezzo della corsa globale verso economie e industrie a zero emissioni, l’Ue deve consolidare la sua attuale leadership con politiche coraggiose e soluzioni climatiche all’avanguardia.

L’Europa potrà avere perso altri treni importanti nella transizione in corso, come la produzione di pannelli solari FV, ma detiene ancora il know how strategico nel settore delle pompe di calore green: non può e non deve inciampare proprio ora.

L’autore, Davide Sabbadin, è Senior Policy Officer for Climate presso l’Ufficio europeo dell’ambiente (EEB).

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