Micromobilità e adeguamento infrastrutturale: continua la sperimentazione in Italia

Le città non sono ancora organizzate per le nuove opzioni di micromobilità, soprattutto per gli aspetti infrastrutturali. Tre misure da fare. Alcune iniziative in Italia.

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Il “buono mobilità” del Decreto Rilancio riguarda prevalentemente i mezzi a favore della micromobilità individuale anche a propulsione prevalentemente elettrica, come biciclette (anche a pedalata assistita) e veicoli per la mobilità personale a quali segway, monopattini, hoverboard e mono-ruota.

Quindi, il numero dei mezzi elettrici in circolazione in molte aree urbane sarà destinato a salire nei prossimi mesi. Anche di questi temi si parlerà, domani 28 maggio, nel corso della presentazione in diretta streaming del Rapporto “MobilitAria 2020”.

Secondo la Ernst & Young, però, le città non sono ancora organizzate per le nuove opzioni di micromobilità, soprattutto per gli aspetti infrastrutturali (report allegato in basso), necessari per garantire il decoro urbano sia se si parla di veicoli personali che condivisi.

A tal riguardo, la Rete di città e regioni europee per lo sviluppo di tecnologie e politiche innovative per il trasporto locale (POLIS) considera il miglioramento dell’infrastruttura come uno degli otto strumenti che le città hanno a disposizione per regolamentare e garantire un buon servizio di micromobilità, in particolare quella condivisa (report allegato in basso).

Nello specifico, le tre misure possibili per l’adeguamento del sistema infrastrutturale urbano alla micromobilità sono:

  1. Riduzione del traffico in aree specifiche

Con l’individuazione di aree nelle quali abbassare il limite di velocità (da 50 km/h a 30 o 20 km/h) e il volume delle automobili, si consente agli utenti di biciclette e scooter elettrici di guidare in sicurezza negli stessi spazi delle automobili. Infatti, il campo visivo migliora notevolmente con la riduzione della velocità di spostamento.

Questa misura si potrebbe applicare a strade e incroci specifici e alle zone soggette al “through-traffic” (attraversate solo per raggiungere un’altra parte della città). Generalmente questo tipo di traffico è più veloce e meno attento e perciò andrebbe ridotto.

  1. Percorsi riservati alla micromobilità

Attraverso la realizzazione di percorsi riservati alla circolazione di biciclette e altri veicoli di micromobilità (a condizione che non superino i limiti di velocità adeguati). Tali percorsi dovrebbero facilitare i movimenti pendolari verso il centro città e agevolare le distanze più lunghe nell’intero ambito cittadino.

L’ideale sarebbe ricavare questi percorsi tramite la conversione di corsie automobilistiche esistenti.

  1. Parcheggi riservati alla micromobilità

La creazione di micro mobility corrals e hot-spots (recinti e punti per la sosta della micromobilità) sarebbe un’occasione per ridurre il disordine generato dai veicoli lasciati ovunque e per riattribuire pesi differenti alle diverse destinazioni d’uso dei parcheggi.

Infatti, la virtuosità di questa misura sta nel convertire i posti auto, soprattutto pubblici, in spazi riservati alla micromobilità anche attraverso interventi non strutturali ed economici, per esempio con l’uso di vernice, segnaletica e rastrelliere.

Attualmente a livello mondiale, si sta ancora sperimentando l’aspetto regolativo del settore della micromobilità, infatti, in molte città si stanno implementando progetti pilota per integrare questi mezzi alternativi nel contesto urbano e nel traffico “tradizionale”. Una volta conclusi tali progetti, in fase di valutazione, saranno disponibili dati e risultati che permetteranno alle amministrazioni di individuare buone pratiche da replicare e situazioni critiche da evitare e conseguentemente adeguare il proprio sistema infrastrutturale.

In Italia, nell’ambito della sperimentazione annuale promossa nel 2019 dal Ministero dei Trasporti per regolamentare la circolazione dei dispositivi di micromobilità, le città di Bari, Rimini, Torino e Verona stanno attuando approcci differenti per il proprio adeguamento infrastrutturale. Nello specifico:

  • Bari: ha ridotto lo spazio di circolazione delle automobili istituendo nuove zone 20 e 30 e concedendo alle quattro ruote la possibilità di attraversare tali aree soltanto tramite assi trasversali;
  • Rimini: assegna un peso rilevante all’aspetto infrastrutturale della micromobilità già in fase sperimentale. Infatti, l’assessore alla mobilità Frisoni, ha affermato che oltre ai servizi servono evidentemente anche le infrastrutture per accompagnare il cambiamento, ed è per questo che i nuovi lungomari del Parco del Mare sono stati già progettati per accogliere tutte le forme nuove di mobilità sostenibile;
  • Torino e Verona: consentono il parcheggio di monopattini e segway negli stalli destinati alle bici e ai motoveicoli, lasciando apparentemente inalterata la quantità di spazio della sosta destinato alle automobili.

Quindi, affinché la fase di sperimentazione si concluda con informazioni e dati sufficienti tali da poter pianificare una micromobilità integrata e funzionale, il principio da seguire dovrà essere inevitabilmente: togliere spazio all’automobile per offrirlo alla micromobilità elettrica.

Documenti sulla micromobilità e infrastrutture:

Report Ernst & Young (pdf)

Report Polis (pdf)

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