Meyer Burger, cambio al vertice e licenziamenti in vista

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Lasciano l'ad Gunter Erfurt e il direttore finanziario Markus Nikles. Intanto l'azienda annuncia il taglio di circa 200 posti di lavoro in Europa, da compensare con future assunzioni negli Usa.

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Ennesimo scossone all’interno di Meyer Burger, l’azienda svizzera produttrice di pannelli fotovoltaici.

Dopo la retromarcia sul sito produttivo da 2 GW di Colorado Springs, sono adesso arrivate le dimissioni dell’amministratore delegato Gunter Erfurt e il direttore finanziario Markus Nikles.

Il primo, si apprende da una nota diffusa ieri dall’azienda, verrà sostituito da Franz Richter, attuale presidente del Consiglio di Sorveglianza, mentre le responsabilità per finanza e controllo saranno assunte da Ralf Hermkens (per gli Stati Uniti) e Frank Zimmermann (per l’Europa), entrambi già vicepresidenti esecutivi.

In un post su LinkedIn, Erfurt ha attribuito i problemi dell’azienda alla mancanza di sostegno politico in Europa e alla dipendenza dalla Cina per quanto riguarda la componentistica FV. I due principali temi che mettono in difficoltà la manifattura solare comunitaria. “Purtroppo, i politici europei hanno avuto troppa paura della Cina e non sono preparati a proteggere l’industria solare europea dalla concorrenza sleale”, ha scritto.

“Un’industria del futuro è stata sacrificata alla Cina, in maniera diametralmente opposta alle dichiarazioni d’intenti politiche espresse dopo la pandemia di coronavirus. La dipendenza al 100% dell’Europa dalla Cina nel settore solare, una delle più importanti fonti energetiche del futuro, un giorno sarà un rimpianto”, ha aggiunto.

Va detto che questo abbandono del settore FV europeo risale ormai a quasi dieci anni fa, nel completo disinteresse della politica industriale degli Stati membri e dell’Ue.

Ancora Erfurt afferma: “Resto fermo sulla mia convinzione: l’Europa ha sia la tecnologia, sia le persone qualificate, sia la creatività imprenditoriale per avere successo, ha solo bisogno di una politica industriale che non solo riconosca i segni del tempo nei suoi discorsi, ma li traduca coraggiosamente in azioni”.

A gennaio l’azienda aveva annunciato di voler chiudere la produzione di moduli in Germania e aveva poi fatto sapere di voler avviare un nuovo impianto di assemblaggio di moduli a eterogiunzione nella città di Goodyear, in Arizona.

Sui motivi di questo spostamento verso gli Usa, Alexandre Müller, Investor Relations Responsible dell’azienda, ha spiegato a QualEnergia.it che l’Europa non fa abbastanza per proteggere le sue aziende del comparto fotovoltaico: “Vogliono la transizione il più velocemente possibile, e i costi bassi della Cina accelerano il processo” (si veda: Crisi della manifattura solare europea. Perché gli Usa sono più attrattivi?).

La denuncia si può riassumere così: se il gigante asiatico vende i suoi prodotti in Europa non deve affrontare dazi extra, cosa che accade invece se un’azienda europea acquista componenti fuori dall’Europa. “È un mercato ingiusto, all’interno del quale i produttori europei non riescono a resistere”, le parole di Müller.

Ricordiamo che il 3 aprile l’esecutivo comunitario ha aperto due indagini su altrettanti produttori cinesi ai sensi della sua regolamentazione sui sussidi esteri.

Va comunque specificato che l’intera manifattura del fotovoltaico globale sta attraversando un periodo di crisi, causato principalmente dalla sovraccapacità produttiva, con il crollo dei prezzi e dei margini operativi, destinata a estendersi fino al 2026.

Insieme al cambio ai vertici, Meyer Burger ha inoltre comunicato il taglio di quasi 200 posti di lavoro entro la fine del 2025.

L’organico globale passerà dagli attuali 1.050 dipendenti a circa 850. “Questa riduzione sproporzionata in Europa sarà compensata da un aumento di forza lavoro negli Stati Uniti per raggiungere la piena capacità produttiva dello stabilimento di Goodyear”, prosegue la nota.

Il focus, spiega la società, sarà adesso concentrato sugli stabilimenti di produzione di Thalheim, in Germania (per quanto riguarda le celle) e appunto quello statunitense di Goodyear (per i moduli), oltre che sul sito di Hohenstein-Ernstthal, in Germania, per lo sviluppo della tecnologia.

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