Un piano con luci e ombre, perché alla spinta su rinnovabili ed efficienza energetica si contrappongono altri investimenti nei combustibili fossili (gas in particolare).
Questa la super sintesi dei primi commenti dal fronte ambientalista a REPowerEU, il piano energetico presentato ieri mercoledì 18 maggio dalla Commissione europea, per eliminare entro pochi anni le importazioni di carbone, gas e petrolio dalla Russia e potenziare gli obiettivi climatici Ue al 2030.
La strada scelta da Bruxelles, coem sappiamo, è accelerare la transizione verde definita dal Green Deal e aumentare le importazioni di gas non russo nel breve termine.
Legambiente, in una nota, evidenzia che REPowerEU va in parte nella giusta direzione per superare la dipendenza energetica da Mosca e per accelerare la transizione energetica investendo sulle fonti rinnovabili (innalzamento del target Fer al 45% nel 2030, semplificazioni autorizzative, proposta di installare pannelli FV su tutti i nuovi edifici), anche se ci sono aspetti da bocciare, come la previsione di nuovi investimenti per rigassificatori e gasdotti.
Secondo Stefano Ciafani, presidente nazionale dell’associazione, “è importante che ogni Paese dia il suo contributo con misure concrete, perché per superare l’attuale crisi energetica e il ricatto del gas russo in corso serve un cambio di passo decisivo che porti alla messa al bando delle fonti fossili e al completo sblocco delle rinnovabili e degli impianti da fonti pulite, oggi in parte frenate dalla burocrazia, dal no delle amministrazioni locali, dai pareri negativi delle Sovrintendenze, dalle moratorie delle Regioni e dalle proteste dei comitati locali”.
Legambiente si aspetta ora un passo indietro di Bruxelles sulla proposta di tassonomia verde, che prevede di inserire gas e nucleare (a determinate condizioni) tra gli investimenti sostenibili e quindi meritevoli di fondi Ue.
Pure il Wwf è critico sulle proposte di sostituire il petrolio e gas russo investendo in ulteriori infrastrutture per il gas, contando su livelli irrealistici di idrogeno o aumentando l’uso della bioenergia senza restrizioni sull’approvvigionamento; tutto ciò rischia, sottolinea una nota, di prolungare la dipendenza Ue dai combustibili fossili e di mettere a repentaglio gli obiettivi climatici e di protezione della natura.
Non mancano delle critiche alla proposta di dichiarare tutti i progetti di energia rinnovabile, di rete e di stoccaggio come di “interesse pubblico prevalente” ovunque, e che nelle aree idonee “di destinazione” i progetti siano esentati dall’obbligo di effettuare una valutazione di impatto ambientale specifica e una valutazione appropriata, come previsto dalla Direttiva Habitat.
Per il Wwf, accelerare le autorizzazioni è giusto e darà nuovo impulso all’espansione dell’energia eolica e solare, ma per farlo è necessario risolvere le inefficienti procedure burocratiche, non indebolire la legislazione ambientale.
Per Eleonora Evi ed Angelo Bonelli, co-portavoce nazionali di Europa Verde, “il pacchetto REPowerEU presenta senza dubbio alcune luci, ad esempio l’obbligo legale di installare l’energia solare su tutti i nuovi edifici pubblici e commerciali di dimensioni superiori a 250 mq entro il 2026 e su tutti i nuovi edifici residenziali entro il 2029. Positiva anche la proposta di raddoppiare il tasso di diffusione delle pompe di calore, con un obiettivo di 10 milioni di unità nei prossimi 5 anni. Ma ci sono diverse ombre, come la possibilità per gli Stati Membri di derogare al principio del non arrecare danno significativo all’ambiente per investimenti in petrolio e gas“.
Se tale aumento delle forniture gas attraverso lo sfruttamento delle infrastrutture esistenti e la riorganizzazione dei flussi commerciali è necessario nel breve periodo – osserva il think tank italiano pro-decarbonizzazione Ecco – la criticità principale al pacchetto è legata al supporto di nuove infrastrutture, come rigassificatori e gasdotti, e di nuova produzione con contratti di lungo periodo.
Questi, infatti, risultano incompatibili con i traguardi climatici e rischiano di diventare rapidamente obsoleti e sempre più costosi via via che i Paesi Ue avanzano nella decarbonizzazione.
Secondo Luca Bergamaschi, direttore esecutivo di Ecco, “nuove infrastrutture gas, legate a profitti regolati e garanzie pubbliche, con lunghi periodi di ammortamento contrastano con il rapido calo della domanda gas, stimata in meno 40% al 2030 rispetto al 2021. Così, insieme a contratti fortemente esposti al rischio di prezzi elevati, rimarranno a carico di cittadini e imprese ben oltre i tempi della crisi, imprigionando l’Italia in una costosa dipendenza da fonti fossili e non facendo nulla per abbassare l’altissimo costo del gas in modo strutturale”.
Inoltre, Annalisa Perteghella, analista dello stesso think tank, fa notare che ridurre la dipendenza dalla Russia senza ridurre più in generale la dipendenza dal gas, rischia semplicemente di spostare altrove il problema senza mai raggiungerne la soluzione.
“Non dobbiamo illuderci che la sola diversificazione dei fornitori sia una soluzione vincente sul lungo periodo – ha spiegato – Considerando che la maggior parte dei paesi esportatori è collocata in regioni dalla stabilità solo apparente, come il Mediterraneo o l’Africa subsahariana, non sono da escludere nuovi rischi di interruzione delle forniture in futuro”.
Ricordiamo che di recente sono uscite diverse analisi che spiegano come il nostro Paese potrebbe rinunciare in tempi relativamente rapidi al gas russo con una transizione green accelerata e senza costruire nuovi impianti fossili: lo studio Accenture-Agici e lo studio Ecco.