L’Italia è una delle nazioni al mondo che più dipende gas estero: circa 72 miliardi di metri cubi importati nel 2021, contro appena 3,3 autoprodotti.
Ai bei tempi, quando nella prima metà del 2021 il gas naturale in Europa costava circa 20 €/MWh, questa dipendenza dal metano già ci costava intorno ai 14 miliardi di euro l’anno, ma ora che siamo sugli 80 €/MWh subiremo una mazzata micidiale da 70 mld l’anno, come un paio di pesanti manovre statali di fine anno.
Le ragioni dietro questo forte rialzo dei prezzi le abbiamo affrontate su QualEnergia.it più volte, ma il punto interessante è che davanti ad una simile situazione, ragione vorrebbe che chi si trova a dipendere da una risorsa tanto pericolosamente volubile, architettasse in tutta fretta piani e strategie per staccarsene.
In Italia, invece, il gas viene difeso a spada tratta, come fanno gli sceicchi con il petrolio (solo che loro greggio ce l’hanno, noi il metano no), e le conseguenze delle bizze del suo prezzo cerchiamo di farle pagare alle rinnovabili, cioè alle uniche fonti che potrebbero tirarci fuori da questo pasticcio.
Roberto Cingolani, il ministro della Transizione ai Fossili, pardon della Transizione Ecologica, vagheggia di immense riserve di gas autoctono che dovrebbero salvarci, preparandosi a semplificare le autorizzazioni per bucherellare ancora l’Adriatico, per spremerne un po’ del metano rimasto e affondare definitivamente Venezia, peraltro dopo non essere riuscito a sbloccare e semplificare quelle che tengono al palo le rinnovabili.
Il “Governo dei Migliori” elabora piani per mettere in comune in tutta Europa gli stoccaggi di metano, forse non avendo afferrato che di gas naturale non ce n’è più abbastanza per l’Europa e l’Asia, e ormai, lo si compri d’estate o d’inverno, costerà sempre caro.
La Commissione Europea dal canto suo ha decretato che il metano (gas serra 80 volte più potente della CO2) è fonte buona e giusta per la transizione ecologica, mettendo le basi per costruire con prestiti agevolati ulteriori centrali e gasdotti, che ci legheranno ancora di più a un mercato impazzito e a leader autoritari con l’arma del ricatto.
Intanto, mentre l’Europa canta le lodi del metano, Putin è volato a Pechino a firmare il contratto per un nuovo gasdotto, il Power of Siberia 2, che congiungerà la Cina (che ogni anno aumenta i suoi consumi di gas di un volume pari a quelli francesi) alla penisola di Yamal, cioè alla sorgente del metano con cui oggi inonda l’Europa (quando non lo facciamo irritare), e che domani potrebbe prendere la via dell’est.
In questo quadro viene da chiedersi se la Brexit, in fondo, non sia stata una buona idea per gli inglesi. Che c’entra la Brexit?
C’entra, perché alcuni giorni fa il Comitato Business, Energy and Industrial Strategy (BEIS) del governo britannico, ha proposto che la messa al bando dell’installazione di nuove caldaie a metano in Inghilterra e Galles, sia anticipato dal 2025 al 2023. E poi dal 2035 sarà vietata del tutto la vendita di caldaie a gas in Gran Bretagna.
In altre parole, se la loro proposta sarà accettata, fra un anno in UK non si potranno più installare caldaie a gas naturale nelle nuove case, ma si dovranno usare caldaie a biomasse, teleriscaldamento oppure pompe di calore o, in futuro, caldaie a idrogeno.
Le ragioni? A parte quelle climatiche, la spinta all’anticipo è arrivata da stime degli economisti governativi che prevedono che d’ora in poi le bollette del gas degli inglesi raddoppieranno, arrivando a circa 1.900 sterline l’anno di media, e che dunque è necessario cominciare a forzare le persone a usare sistemi alternativi… “per il loro bene”.
L’impresa si annuncia titanica, visto che il 78% dei riscaldamenti britannici va a gas, che nel 2020 sono state installati 2 milioni di nuove caldaie a metano contro appena 36mila pompe di calore, e che i soldi per ora messi in campo dal governo Johnson per favorire il cambio, cioè 450 milioni di sterline per coprire con un prestito a interessi zero il 50% del costo di una pompa di calore aria-acqua, sono decisamente insufficienti per la valanga di richieste che si prevedono dal 2023 in poi.
Ma imboccare questa strada è inevitabile, visto che i piani climatici governativi prevedevano che dal 2028 in poi si installassero 800mila pompe di calore all’anno, indispensabili per raggiungere l’obbiettivo emissioni nette zero al 2050. Anticipando al 2023 l’inizio della conversione, il processo di decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento britannici potrebbe essere più agevole.
Ma, come detto, la questione climatica non è l’unica motivazione.
Il deputato Darren Jones, presidente del comitato BEIS, ha così giustificato la proposta: “avere case ben isolate e con sistemi di riscaldamento che non dipendano più dai volatili prezzi del gas, sarà un bene per il clima, ma anche per le nostre bollette”.
Tutto giusto, però Jones e i suoi colleghi di Westminster, dovrebbero anche proporre qualcosa per la prima parte della frase, cioè la necessità di isolare bene le abitazioni, visto che al momento gli incentivi statali in merito sono troppo scarsi e riservati solo agli indigenti: se gli inglesi installeranno in massa pompe di calore in case mal coibentate, le bollette elettriche faranno rimpiangere quelle del metano (vedi articoli sulle soluzioni per la casa senza gas). Servirà allora un programma di lungo periodo molto più articolato e profondo.
Comunque, colpisce che una grande nazione, che produce 10 volte più gas naturale dell’Italia, e che ha due grandi compagnie oil&gas in casa, come BP e Shell, che sicuramente non faranno mancare opera di lobby in favore dei loro prodotti, “osi” prendere decisioni così drastiche per l’uscita dalla dipendenza dai fossili. Evidentemente il bene comune, da loro, prevale sugli interessi economici particolari.
Da noi, che dalla dipendenza dal metano abbiamo da rimetterci anche più dei britannici, e che abbiamo una sola grande compagnia di oil&gas (amatissima da politici e media), la decisione di abbandonare il riscaldamento a gas sarebbe vista più o meno come un’eresia.
In Italia il metano comanda incontrastato, anche quando manda a picco i bilanci di cittadini e imprese, tanto che nel bonus 110% l’installazione di nuove caldaie a gas, sia pure a condensazione, viene pagata con i soldi pubblici. Insomma, ben altro che mollarle!