L’inganno della decarbonizzazione basata su cattura, stoccaggio e uso della CO2: lettera aperta a Mattarella e Draghi

  • 13 Dicembre 2021

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Cinquantatre personalità della scienza e dell'energia hanno scritto al Presidente della Repubblica e al Primo Ministro contro i progetti di Eni di "Carbon Capture Use and Storage". Le argomentazioni spiegano la non accettabilità socio-economica e industriale di questa progetti pro-fossili.

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Cinquantatre personalità della scienza e dell’energia hanno scritto al Presidente della Repubblica e al Primo Ministro contro i progetti di Eni di Carbon Capture Use and Storage. Le argomentazioni spiegano nel dettaglio la non accettabilità socio-economica e industriale di questa progetti pro-fossili. Riportiamo per esteso la lettera e, in calce, i firmatari.

 

Egregio Signor Presidente della Repubblica

Egregio Signor Presidente del Consiglio dei Ministri,

di recente alcuni organi di stampa hanno ipotizzato che i 150 mln di euro indicati all’art. 153 della legge di Bilancio 2022 possano essere destinati al finanziamento del maxi deposito di CO2 che Eni intende realizzare nell’Alto Adriatico. Il MiSE, interrogato, non ha né smentito né confermato.

L’uso e lo stoccaggio della CO2 (il cosiddetto CCUS, Carbon Capture Use and Storage) è realmente una tecnologia socialmente accettabile? Proviamo a rispondere.

Se vogliamo proteggere e salvare l’umanità e il pianeta e invertire decisamente la rotta dell’attuale surriscaldamento globale provocato dai gas climalteranti c’è una sola strada percorribile: diminuire drasticamente e con urgenzal’uso dei combustibili fossili. Gli obiettivi dell’Europa sono chiari: ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra (principalmente CO2 e metano) di almeno il 55% entro il 2030 ediventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050.

Il CCUS per produrre idrogeno da metano è una tecnologia che anziché contribuire a risolvere il problema lo rende più grave e lo prolunga nel tempo. Come dire, un doloroso e insensato accanimento terapeutico.

Il proporre lo stoccaggio e l’uso della CO2 rappresenta un alibi straordinario per continuare a produrre anidride carbonica contribuendo all’attuale trend di crescita esponenziale del disastro ambientale. E perseverando scelleratamente a privatizzare utili e socializzare i costi.

Tornando alla domanda posta, vale la pena ripetere le parole della Presidente Von der Leyen alla presentazione del New Green Deal europeo: “L’economia basata sui combustibili fossili ha raggiunto i suoi limiti. Vogliamo lasciare alla prossima generazione un pianeta sano, nonché buoni posti di lavoro e una crescita che non danneggi la nostra natura. La nostra strategia di crescita si sta muovendo verso un’economia decarbonizzata”.

Qui di seguito le argomentazioni a supporto della nostra tesi.

Della vicenda del progetto di Eni e di come questo abbia incrociato il PNRR nella sua lunga fase di gestazione molto è stato scritto: dal Next Generation di Conte, che prevedeva una posta da 1,35 miliardi di euro per lo “sviluppo del primo hub di decarbonizzazione nell’Europa meridionale costruendo a Ravenna un sistema di cattura, trasporto e iniezione del carbonio, prodotto dal distretto industriale di Ravenna-Ferrara-Porto Marghera, nonché dalla produzione di idrogeno decarbonizzato e di energia elettrica, negli esistenti giacimenti esauriti nel mare Adriatico”, fino al niet della Commissione Europea e, in ultimo, ai 150 milioni di euro del Fondo per il sostegno alla transizione industriale che, salvo improbabili stravolgimenti, verrà confermato se non, viste le pressioni di Confindustria, rimpinguato.

Di certo c’è la richiesta avanzata da Eni al MiTE di autorizzare il programma sperimentale di stoccaggio geologico di anidride carbonica nella concessione di coltivazione «A.C 26.EA», a Porto Corsini, pubblicata sul BUIG del giugno scorso.

La tesi di chi, come la IEA, sostiene che la cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) e il suo eventuale utilizzo (CCUS) è un’importante tecnologia di riduzione delle emissioni che può essere applicata a tutto il sistema energetico, è riassumibile nei termini che seguono: la tecnologia è matura e costituisce un’utile “soluzione ponte” in grado di contribuire alla riduzione delle emissioni, affiancando le rinnovabili nel difficile percorso della transizione. Uno dei fattori chiave che può influenzare l’adozione del CCUS su larga scala – sostengono alcuni studiosi – è l’accettabilità sociale della tecnologia, che dovrebbe essere facilitata dagli sforzi concertati e concentrati di ricercatori, università, ONG e decisori politici.

Al contrario, il Dipartimento per le politiche economiche, scientifiche e di qualità della vita della Direzione generale Politiche interne della Commissione, nel suo studio confezionato qualche giorno fa per la Commissione Parlamentare Industria, ricerca ed energia, sostiene che per avere un’Unione Europea ad emissioni zero nel 2050 si possa e si debba fare a meno della cattura e dello stoccaggio della CO2: “Nei paesi che producono ed esportano gas naturale (tra cui Norvegia, Australia, Stati Uniti, Regno Unito e Russia), la CCS è vista come una tecnologia che può aiutare a mantenere lo status quo di utilizzo del gas naturale”.

Il CCUS è realmente una tecnologia socialmente accettabile? La risposta può essere trovata andando a fondo di questioni in parte note.

Primo. Le compagnie petrolifere sono tra le principali responsabili delle emissioni di gas climalteranti di cui abbiamo imparato a riconoscere e misurare gli effetti – disastrosi – su scala planetaria.

Le attività di produzione di energia sono responsabilidel 75% delle emissioni di gas serradell’U.E. (EEA, 2021) e oggi il sistema energetico dell’UE si basa per tre quarti sui combustibili fossili. Su altro fronte, la TransitionPathwayInitiative (TPI) nel suo “Carbon Performance of European Integrated Oil and Gas Companies: Briefing paper” afferma che nessuna big del petrolio – Eni un po’ meno delle altre – ha strategie e piani coerenti con il raggiungimento del fatidico obiettivo dei +1,5 °C entro fine secolo rispetto ai livelli preindustriali.

È irragionevole chiedere che l’industria del petrolio debba innanzitutto rimettere ordine in casa propria, attingendo a risorse proprie senza scaricare sulla fiscalità generale l’onere degli investimenti necessari per la decarbonizzazione?

I costi “esterni” delle attività petrolifere (sia upstream sia downstream) sono ampiamente pagati dalla collettività in termini di decessi, maggiore spesa sanitaria, perdite di raccolti e di giornate di lavoro, perdita di PIL, eccetera, causati dal cambiamento climatico.

È socialmente accettabile, dunque, che siano proprio le vittime delle emissioni di gas climalteranti a dover risarcire i “carnefici”, già abbondantemente assistiti con 19 miliardi di euro l’anno di Sussidi Ambientalmente Dannosi, sopportando per una seconda volta il costo dell’abbattimento della CO2?

Secondo. L’iniezione e lo stoccaggio della CO2 nei pozzi in via di esaurimento o già esauriti daranno nuova linfa alle attività estrattive di gas e petrolio. Non è casuale che lo stoccaggio del carbonio sotterraneo su scala commerciale sia stato finora effettuato solo in giacimenti di petrolio o gas operativi (recupero avanzato di petrolio/gas) e non in altre formazioni geologiche.

Per l’Europa, l’associazione Oil& Gas Europe ha fornito un elenco di progetti aggiornato a luglio 2021: solo tre progetti tra quelli in elenco sono operativi e tutti sono associati al recupero di petrolio e/o gas naturale. Si tratta di una semplice coincidenza?

La CO2 può essere iniettata in giacimenti di petrolio/gas esauriti (o quasi esauriti) per aumentare la loro pressione e fornire la forza trainante per estrarre petrolio e gas residui, mentre la CO2 iniettata rimane lì immagazzinata.

Così facendo può essere estratto fino al 40% dell’olio residuo rimasto in un giacimento dopo la produzione primaria. Gli studi CO2-EOR (Carbon Dioxide Enhanced Oil Recovery) del Massachusetts Institute Technology basati sui casi Weyburne Apache Midale (Canada) hanno dimostrato che l’EOR ha aumentato la produzione dal giacimento Weyburn di Cenovus di 16.000-28.000 barili al giorno e da 2.300 a 5.800 barili al giorno per il giacimento di Apache Midale, e che L’EOR dovrebbe consentire la produzione di ulteriori 130 milioni di barili di petrolio, prolungando la vita del giacimento di Weyburn di 25 anni.

Un dubbio e una domanda sorgono spontanei:

  • Eni intende forse incrementare i quantitativi estratti e prolungare il ciclo di vita dei giacimenti nell’Alto Adriatico iniettando e stoccando CO2 nei suoi pozzi più longevi?
  • È socialmente accettabile continuare ad estrarre quantità aggiuntive di gas e nuovo petrolio per altri 25 anni grazie alla tecnologia del CCUS?

Terzo. La cattura, il trasporto e lo stoccaggio della CO2 sono parte di un processo circolare che vede al suo centro la produzione di idrogeno da fonti fossili (idrogeno blu).

Nel suo recente paper “Analysing future demand, supply, and transport of hydrogen”, European Hydrogen Blackbone conclude che l’idrogeno è fondamentale per la trasformazione dell’Europa in un continente neutro dal punto di vista climatico e che nell’UE e nel Regno Unito al 2050 potrebbe registrarsi una domanda di idrogeno di 2.300 TWh, pari al 20-25% dei consumi finali di energia. In questa partita l’idrogeno blu, i cui progetti hanno una durata pari ad almeno 25 anni, potrebbe giocare un ruolo importante.

Finanziare il CCUS significherebbedunque dare la stura alla produzione di idrogeno blu e, di conseguenza, all’estrazione e al consumo di gas in un orizzonte temporale che si spinge fino al 2050, ben oltre, quindi, il punto di non ritorno. Sono questi i tempi di una transizione sostenibile? Anche questo è socialmente accettabile?

Quarto. Lo stoccaggio di CO2 in pozzi in via di esaurimento o già esauriti esime i concessionari di coltivazione dall’effettuare costosissime attività di ripristino ambientale: dai 15 ai 30 milioni di euro per singola piattaforma, secondo il Roca di Ravenna.

Considerato che le piattaforme di Eni in mare sono 138 (fonte: Progetto Poseidon, Eni), riconvertire le stesse piuttosto che smantellarle eviterebbe costi stimabili mediamente in oltre 3,15 miliardi di euro. Perché polverizzare gli investimenti già fatti in opere per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi – si chiedono gli iscritti al partito fossile – quando quelle stesse infrastrutture potrebbero essere riutilizzate per stoccare la CO2?

Per quale ragione – si interrogano invece altri – per evitare di appesantire i bilanci delle compagnie Oil&Gas, la collettività dovrebbe contribuire al finanziamento di costosissimi progetti privati di cattura, trasporto, iniezione e stoccaggio di CO2?

Siamo alle solite: si privatizzano i profitti e si socializza tutto il resto, esternalità negative comprese. Quale straordinaria concentrazione di intelligenze sarebbe in grado di farlo digerire all’opinione pubblica?

Quinto. Eni sa perfettamente, e non da ieri, che il CCUS costituisce un’arma formidabile per sviluppare un nuovo mercato, con potenzialità e profittabilità come pochi altri.

Eni ed Enel ci avevano già lavorato sopra, giungendo a perfezionare nel 2008 un accordo strategico di cooperazione per lo sviluppo delle tecnologie di cattura, trasporto e stoccaggio dell’anidride carbonica. La CO2 estratta dalla centrale Enel a carbone di Brindisi, una volta liquefatta, avrebbe dovuto essere un giorno stoccata da Eni nel giacimento esaurito di Stogit a Cortemaggiore.

Due anni prima, nel 2006, al termine degli studi condotti sui possibili depositi sotterranei della CO2 nel quadro del progetto Confitanet, a cui prese parte anche l’Eni, l’INGV era giunto ad affermare che:

I potenziali di stoccaggio nel nostro paese ci permetterebbero tranquillamente di mandare avanti le nostre centrali a carbone ed a gas naturale con criteri ZEFFPP (Zero Emissions Fossil Fuel Power Plant) e di ripulire i cieli dalle ingenti emissioni delle nostre raffinerie”.

Mentre nell’ottobre del 2007 Il Sole 24 ORE si era spinto fino a prefigurare la nascita di un mercato della CO2 di dimensioni planetarie “fatto di impianti innovativi per la cattura e il trattamento delle emissioni di centrali a carbone di nuova generazione, di gasdotti per la CO2, pompaggio negli strati geologici profondi (acquiferi salini sotto i 1500 metri, a prova anche di rischio sismico), di unità di controllo e monitoraggio dei depositi, non molto diversi da quelli oggi utilizzati per il metano dalla Stogit” in cui … “…  i gestori elettrici che l’adotteranno non dovranno più acquistare i certificati verdi, ma anzi ne riceveranno gratuitamente perché dotati di impianti che vanno ben oltre i limiti di emissioni prefissati nel trattato (di Kyoto)”.

Se questo un giorno dovesse accadere, sarebbe da biasimare? Tutto sommato la nostra è un’economia di mercato …

Le cose non stanno esattamente così.

In un Paese in cui la partita energetica la giocano in pochi (Eni, Snam, Terna ed Enel), con il placet di Governo, Parlamento, ARERA, Autorità per la concorrenza e Cassa Depositi e Prestiti; in cui il mancato insediamento della Commissione Pniec-Pnrr sta causando gravi ritardi nel processo di autorizzazione di centrali solari con potenza maggiore di 10 MW; in cui Stato e Regioni non riescono a trovare la quadra sul permitting di impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile; in cui appare sempre più inverosimile raggiungere l’obiettivo, tanto caro al Ministro Cingolani, di 114 gigawatt rinnovabili al 2030, il CCUS si candida ad essere una comoda scorciatoia (in attesa del nucleare, ovviamente!) e rischia di compromettere seriamente un serio percorso di decarbonizzazione del sistema di produzione e consumo che dovrebbe avere invece nella razionalizzazione/taglio selettivo dei consumi energetici, nella ricerca dell’efficienza e nella crescita della generazione distribuita i pilastri di un modello energetico realmente sostenibile.

Roma, 12 dicembre 2021

I firmatari:

  1. Vincenzo Balzani, Professore Emerito, Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università di Bologna
  2. Alessandra Bonoli, Docente di Ingegneria delle Materie Prime e in Resources and Recycling, Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e Materiali, Università di Bologna
  3. Enrico Gagliano, Docente a Contratto in Diritto dell’Energia e dell’Ambiente, Università di Teramo
  4. Alessandro Abbotto, Docente di Materiali Organici per Energie Rinnovabili, Università di Milano-Bicocca
  5. Raffaele Giuseppe Agostino, Docente di Fisica Sperimentale, Dipartimento di Fisica, Università della Calabria
  6. Nicola Armaroli, Chimico, Dirigente di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Bologna
  7. Ugo Bardi, Docente di Chimica Fisica, Dipartimento di Chimica, Università di Firenze
  8. Alberto Bellini, Docente di convertitori, macchine e azionamenti elettrici, Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi”, Università di Bologna
  9. Enrico Bonatti, Senior Scientist, Lamont Doherty Earth Observatory, Università della Columbia, CNR ISMAR, Bologna
  10. Enrico Brugnoli, CNR Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri, in atto Addetto Scientifico presso l’Ambasciata d’Italia a Mosca
  11. Federico Butera, Professore Emerito, Politecnico di Milano
  12. Carlo Cacciamani, Fisico, Responsabile della Struttura IdroMeteoClima, Arpa Emilia Romagna
  13. Romano Camassi, Ricercatore, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Sezione di Bologna
  14. Sebastiano Campagna, Direttore del Dipartimento di Scienze Chimiche, Biologiche, Farmaceutiche ed Ambientali, Università di Messina
  15. Luigi Campanella, già presidente della Società Chimica Italiana, Docente di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali, Università “La Sapienza”, Roma
  16. Francesco Domenico Capizzi, Chirurgo, Presidente SMIPS (Scienza Medicina Istituzioni Politica Società), Bologna
  17. Ingrid Carbone, Ricercatore presso il Dipartimento di Matematica e Informatica, Università della Calabria
  18. Daniela Cavalcoli, Docente di Fisica della Materia, Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi”, Università di Bologna
  19. Paola Ceroni, Docente di Chimica Generale e Inorganica, Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università di Bologna
  20. Marco Cervino, Ricercatore pubblico all’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC-CNR), Bologna
  21. Donata Chiricò, Ricercatore Dipartimento di Culture, Educazione e Società, Università della Calabria
  22. Salvatore Coluccia, Professore Emerito, Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Torino
  23. Giuliana Commisso, Ricercatore in Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università della Calabria
  24. Giuseppe De Natale, Dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e già Direttore dell’Osservatorio Vesuviano
  25. Elisabetta Della Corte, Ricercatore in Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università della Calabria
  26. Claudio Della Volpe, Docente di Chimica Fisica Applicata, Università di Trento
  27. Gianfranco Denti, Docente di Chimica Generale ed Inorganica, Università di Pisa
  28. Enzo Di Salvatore, Docente di Diritto Costituzionale e Comparato Facoltà di Giurisprudenza, Università di Teramo
  29. Walter Ganapini,Membro Onorario, Comitato Scientifico, Agenzia Europea dell’Ambiente
  30. Alessandro Gaudio, Ricercatore in Scienze letterarie presso il Dipartimento di Culture, Educazione e Società, Università della Calabria
  31. Domenico Giordano, Docente di Diritto Commerciale Facoltà di Giurisprudenza, Università di Teramo
  32. Daniela Imbardelli, Ricercatore di Chimica Fisica del Dipartimento di Chimica presso la Facoltà di S.M.F.N., Università della Calabria
  33. Massimo La Deda, Docente di Chimica Generale e Inorganica presso il Dipartimento di Chimica e Tecnologie Chimiche, Università della Calabria
  34. Pierandrea Lo Nostro, Docente di Chimica Fisica, Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff”, Università di Firenze
  35. Giulio Marchesini Reggiani, Docente di Scienze Dietetiche, Dipartimento di Medicina e Chirurgia (DIMEC), Università di Bologna
  36. Nadia Marchettini, Docente di Scienze Chimiche presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente, Universitàdi Siena
  37. Giuseppe Marino, Docente di Analisi Matematica presso il Dipartimento di Matematica e Informatica, Università della Calabria
  38. Vittorio Marletto, Dirigente dell’Osservatorio Clima Arpae Emilia Romagna, Bologna
  39. Silvia Mazzuca, Docente di Biologia e Botanica presso il Dipartimento di Chimica e Tecnologie Chimiche, Università della Calabria
  40. Isabella Nicotera, Docente di Chimica Fisica presso il Dipartimento di Chimica e Tecnologie Chimiche, Università della Calabria
  41. Libero Nigro, Docente di Ingegneria Informatica presso il Dipartimento di Ingegneria Informatica, Modellistica, Elettronica e Sistemistica, Università della Calabria
  42. Giuseppe Antonio Nisticò, Docente di Fisica Matematica presso il Dipartimento di Fisica, Università della Calabria
  43. Maurizio Prato, Docente di Chimica Organica presso il Dipartimento di Scienze Chimiche e Farmaceutiche, Università di Trieste
  44. Giuseppe Ranieri, Docente di Chimica Fisica Ambientale presso il Dipartimento di Chimica e Tecnologie Chimiche, Università della Calabria
  45. Massimo Scalia, Docente di Fisica Matematica presso il Dipartimento di Matematica, Università “La Sapienza”, Roma
  46. Leonardo Setti, Docente del Dipartimento di Chimica Industriale, Università di Bologna
  47. Gianni Silvestrini, Direttore scientifico Kyoto Club, Master Ridef Politecnico Milano
  48. Francesco Stoppa, Docente di Petrologia e Petografia, Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio, Università di Chieti- Pescara
  49. Micol Todesco, Geologa presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Bologna
  50. Sandro Tripepi, Docente di Zoologia presso il Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra, Università della Calabria
  51. Sergio Ulgiati, Docente di Chimica Ambientale e Analisi del Ciclo di Vita presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie, Università degli Studi di Napoli Parthenope
  52. Margherita Venturi, Docente di Chimica all’Università di Bologna
  53. Annamaria Vitale, Docente di Sociologia dell’Ambiente, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università della Calabria
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