La carbon tax che scatterà in Germania il prossimo anno avrà un valore più che raddoppiato rispetto alla proposta iniziale: 25 euro per tonnellata di CO2, mentre Berlino nei mesi scorsi aveva parlato di 10 euro per tonnellata di anidride carbonica.
L’annuncio è arrivato dal ministro dell’Ambiente, Svenja Schulze, dopo l’accordo politico raggiunto dal gabinetto federale su pressione dei Verdi, che hanno sempre spinto per alzare il costo di partenza della carbon tax e così rendere più efficace il nuovo meccanismo fiscale.
A dicembre 2019, il Consiglio federale tedesco (Bundesrat) aveva dato via libera alla carbon tax tedesca, dopo il precedente voto favorevole del Bundestag; il mercato nazionale della CO2 è previsto dal piano per l’azione climatica al 2030, lanciato da Angela Merkel lo scorso autunno.
L’obiettivo è far pagare le emissioni inquinanti a chi utilizza carburanti fossili nei trasporti e nel riscaldamento, riducendo di pari passo gli oneri sulle bollette elettriche.
Vediamo meglio come funzionerà il sistema tedesco.
Come detto, si partirà nel 2021 con 25 euro per tonnellata di CO2, un valore che nella versione originaria della carbon tax si sarebbe visto solo due anni più tardi, nel 2023. Di conseguenza, spiega una nota del ministero dell’Ambiente, il prezzo di un litro di benzina aumenterà di 7 centesimi lordi il prossimo anno, mentre olio combustibile e gasolio avranno aumenti pari a 8 centesimi lordi/litro.
Per il gas naturale, l’aumento previsto è di 0,5 centesimi per kWh.
La carbon tax salirà negli anni successivi, portandosi a 55 € ton/CO2 entro il 2025; dal 2026, invece, il prezzo finale di ogni certificato di emissione sarà determinato tramite aste, in un corridoio compreso tra 55-65 € ton/CO2.
E con i soldi della carbon tax, spiega il governo, si andrà a diminuire la sovrattassa EEG che pesa sulle bollette elettriche e serve a finanziare lo sviluppo delle energie rinnovabili.
Berlino punta così a penalizzare l’uso di carburanti fossili in due settori – trasporti e riscaldamento domestico – che ancora dipendono in massima parte dal gas e dai prodotti petroliferi.
Intanto anche l’Europa si sta interrogando sull’opportunità di varare qualche meccanismo di carbon pricing, cioè di leve fiscali con cui colpire le emissioni di CO2 e incoraggiare il passaggio verso tecnologie più efficienti e pulite.
Vedremo se e come il Green Deal tradurrà l’idea di “far pagare chi inquina”, magari con un allargamento dell’ETS (Emissions Trading Scheme, il mercato europeo del carbonio) ai trasporti e agli edifici, oppure con una tassa sulla CO2 alla frontiera (carbon border tax) per colpire le importazioni di prodotti con un elevato contenuto di CO2, oppure con una revisione della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici, oppure con un mix di queste e-o altre misure.
Ricordiamo che a fine aprile la Francia ha riproposto l’idea di un prezzo minimo della CO2 per disincentivare l’utilizzo di carburanti fossili (carbon price floor).
Proprio la Francia, dal 2014, ha lanciato una politica di graduale penalizzazione dei combustibili tradizionali, attraverso la CCE (contribution climat énergie) direttamente proporzionale alle emissioni di CO2 associate alla combustione delle energie fossili e applicata al prezzo finale di combustibili e carburanti.
Parigi avrebbe voluto aumentare ancora la CCE, che nel 2018 era salita a 44,6 € ton/CO2, ma il governo francese ha dovuto fare marcia indietro e congelarla a quel valore, a causa delle rivolte dei gilet gialli.
Il principale limite delle politiche volte a tassare le emissioni di anidride carbonica, finora, è stato il loro procedere in ordine sparso, senza un coordinamento a livello europeo.
La mossa tedesca cambierà le carte in tavola?