Il paradosso di Jevons su scala planetaria e come uscirne

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Perché l’efficienza energetica, uno dei pilastri della lotta al cambiamento climatico, si sta rivelando uno dei fattori che più ci allontanano dal risolverlo? Uno studio analizza la situazione e propone le uniche soluzioni capaci di risolvere questo paradosso.

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Nel 2010 un fisico americano, Harry Saunders, analizzò il risparmio di energia, e quindi di risorse o denaro, consentito dalla sempre crescente efficienza nel modo in cui illuminiamo le nostre abitazioni, dalle torce preistoriche fino ai led, e arrivò a una amara conclusione: quei risparmi di energia, e anche l’aumento di produttività consentito da una illuminazione sempre migliore, alla fine hanno prodotto un paradossale aumento di consumi energetici, per l’aver dato più risorse da investire in produzione e acquisti e per aver trasformato sempre di più la notte in un momento in cui si può fabbricare e consumare come in pieno giorno.

È un paradosso noto fin dal 1865, quando l’economista inglese William Stanley Jevons notò che più le macchine a vapore diventavano efficienti, e quindi consumavano meno carbone, e più l’estrazione del combustibile aumentava, invece di calare, perché l’aumento di efficienza ne rendeva conveniente l’uso in sempre nuove applicazioni.

Adesso una sorta di paradosso di Jevons su scala planetaria è stato individuato da uno studio apparso su Plos One (link allegato in basso), condotto dal fisico atmosferico dell’Università dello Utah, Tim Garrett, dal matematico Matheus Grasselli, della McMaster University e dall’economista Stephen Keen dello University College London.

I tre hanno applicato le leggi della termodinamica, che studia i flussi di energia ed entropia (disordine irreversibile) nel mondo fisico, all’economia, per capire perché, nonostante i progressi tecnologici abbiano reso la nostra produzione di beni e servizi sempre più efficiente (si fa sempre di più con sempre meno energia), i consumi energetici totali del pianeta non facciano altro che aumentare, con le disastrose conseguenze su ambiente e clima che ben conosciamo.

«Non siamo i primi ad aver considerato l’approccio termodinamico all’economia, ma finora lo si era fatto considerando l’economia come una macchina, in cui entra una determinata quantità energia termica e se ne estrae movimento, calore e fumi. Ma l’economia, più che una macchina, è un organismo vivente, che non usa l’energia solo per funzionare, ma anche per crescere. Se quindi riesce a usare meglio la sua energia, non la “risparmia”, ma la impiega per espandersi. Ed è proprio questa spinta alla crescita continua, che prima o poi ci porterà a un punto di rottura, attraverso una catastrofe ambientale e climatica», spiega Garrett.

L’efficienza, la demografia, i consumi

I ricercatori hanno considerato i dati sul prodotto globale planetario fra il 1980 e il 2017, e quelli sui consumi energetici.

Il primo è passato da 28.000 miliardi a 80.250 miliardi di dollari (aggiustati per l’inflazione al 2010); il secondo da 83.170 a 153.613 TWh.

«Elaborando questi dati abbiamo concluso che per ogni 1000 miliardi di dollari di Pil globale, si ha un incremento di 5,9 GW di potenza installata, circa 6 grandi centrali elettriche termiche. Ora questo è strano, perche in quei quasi 40 anni la tecnologia, pensiamo solo all’informatica, ha fatto passi da gigante, portando a enormi aumenti di efficienza nel funzionamento del sistema produttivo. Dov’è quindi finita tutta l’energia risparmiata?».

Una sintesi è rappresentata nel grafico in alto, dove a fronte del forte calo di intesità energetica è aumentato del doppio in 40 anni il consumo di energia.

In parte è certamente finita a mantenere la nuova popolazione aggiuntasi dal 1980 ad oggi: ma questa è passata fra 1980 e 2017 da 4,5 miliardi a 7,5, un aumento di “solo” il 60%, quota che già è minore di quelli energetici, e in più, com’è noto, l’aumento demografico è concentrato soprattutto nei paesi poveri, quindi cittadini che consumano in media molta meno energia.

«Il resto è evidentemente andato ad aumentare il tenore di vita della popolazione mondiale: più cibo oltre quello necessario a sopravvivere, più viaggi aerei e stradali, più gadget, più rapide sostituzioni di abiti e oggetti, più spostamento merci, più climatizzazione nelle case, e così via».

In altre parole, l’efficienza energetica, che è considerata uno dei pilastri della lotta al cambiamento climatico, si sta rivelando uno dei fattori che più ci allontanano dal risolverlo.

«Aumentare l’efficienza energetica sembra una cosa buona e ragionevole, ma questa strategia funziona solo se mantenessimo costante popolazione e consumi, cosa che non è. In assenza di ciò più la tecnologia progredisce e ci rende più efficienti, più usiamo quanto risparmiato per estrarre ancora più risorse, costruire e vendere ancora più cose. E alla fine, visto che il sistema energetico è ancora fortemente basato sui combustibili fossili, finiamo per emettere ancora più CO2».

Cosa si dovrebbe fare, allora?

Bloccare l’innovazione tecnologica o addirittura cancellare quella passata, per ridurre l’energia disponibile per l’aumento demografico e dei consumi?

«È vero che l’inerzia delle innovazioni accumulate in passato ci sta spingendo verso il baratro, ma è impossibile cancellarle. L’innovazione è la fiamma che alimenta la civilizzazione umana, fin dai primi attrezzi in pietra, milioni di anni fa, ed è rarissimo nella storia che ci si sia “dimenticati” di qualche innovazione; in genere è accaduto solo dopo catastrofi immani, e non mi sembra una soluzione auspicabile».

Piuttosto Garrett suggerisce di operare in due direzioni: il primo passo è concentrare tutta l’innovazione verso la produzione energetica da rinnovabile e nucleare, abbandonando ogni innovazione riguardante quella fossile.

«In questo modo, almeno, si accelererà la transizione e l’energia prodotta sarà via via più sostenibile e priva di CO2».

Ma già questo lato della soluzione è terribilmente complesso: prima di tutto bisogna evitare che nella stessa implementazione delle energie rinnovabili si usino troppi combustibili fossili, altrimenti l’aumento di sostenibilità sarà molto più lento, forse troppo per salvare clima e ambiente. In altre parole, i prossimi impianti a rinnovabili dovremmo costruirli usando le energie rinnovabili stesse e il più possibile di materie prime riciclate.

«E anche così, c’è un problema di scala spaventoso: anche installando 1 GW di potenza da rinnovabili al giorno, visto il parallelo aumento dei consumi energetici, riusciremmo solo a mantenere ai livelli attuali le emissioni di CO2».

Il secondo lato della soluzione è creare uno “stato stazionario” dell’economia, redistribuendo energia e risorse mantenute ai livelli attuali o poco superiori, in modo che tutti vivano una vita decente, ma senza far crescere ancora popolazione e consumo di risorse ed energia.

«Sostituire i fossili con le rinnovabili senza stabilizzare l’economia, servirebbe a poco, in quanto continuerebbero ad aumentare popolazione, produzione e consumi, richiedendo sempre più risorse, impossibili da trovare in un pianeta finito. Stabilizzare l’economia, ma mantenendo il sistema energetico a fossili, porterebbe comunque a un disastro climatico, perché già ora le emissioni sono insostenibili. Per salvare la civilizzazione bisognerà quindi intraprendere una complessa danza globale fra transizione energetica e progressivo arresto della crescita economica, evitando che l’una strategia comprometta l’altra».

È forse la “danza” più difficile e importante in cui l’umanità abbia mai dovuto impegnarsi.

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