L’emergenza coronavirus potrebbe avere delle conseguenze negative anche per la lotta contro il cambiamento climatico: questo il campanello d’allarme appena lanciato dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA, International Energy Agency) con un commento del suo direttore, Fatih Birol.
Il rischio, si legge nell’intervento, è che i governi di tutto il mondo, schiacciati dalla necessità di varare provvedimenti economici urgenti per sostenere le famiglie, le imprese e i lavoratori durante la crisi sanitaria in corso (vedi qui il decreto “Cura Italia” approvato dal governo italiano), perdano di vista l’obiettivo prioritario di combattere la crisi climatica.
Il punto, infatti, è che l’emergenza coronavirus potrebbe affossare anche gli investimenti nelle fonti rinnovabili, nell’efficienza energetica, più in generale in tutte le tecnologie pulite che dovrebbero accelerare il passaggio da un’economia incentrata sui combustibili fossili a un’economia a basso impatto ambientale, come previsto dal Green Deal europeo.
Il rischio quindi è che la combinazione del coronavirus e di condizioni di mercato molto volatili distoglierà l’attenzione di politici e investitori dalla transizione energetica.
Tra l’altro, osserva la IEA, il calo delle emissioni imputabile al rallentamento economico (chiusura di fabbriche e limitazioni nei trasporti, vedi qui i primi dati sulla Cina) non è una notizia da accogliere positivamente, perché le emissioni torneranno a salire appena sarà passato il “ciclone” del coronavirus sulle borse di tutto il mondo e la produzione industriale riprenderà a salire.
Al contrario, scrive Birol, è necessario che la riduzione della CO2 avvenga grazie alle nuove politiche adottate da governi e aziende sul medio-lungo termine; quindi, secondo il direttore della IEA (traduzioni nostre dall’inglese, con neretti), “i governi possono sfruttare la situazione per aumentare le loro ambizioni sul clima e lanciare politiche sostenibili per stimolare l’economia, incentrate sulle energie pulite”.
In sostanza, afferma Birol, l’emergenza coronavirus è un test per verificare l’impegno di governi e aziende per la transizione verso le energie rinnovabili; ad esempio, si legge nel commento, il crollo dei prezzi del petrolio potrebbe diminuire gli sforzi a investire in efficienza energetica, perché i carburanti a basso costo non sono mai stati uno stimolo a utilizzare l’energia in modo più efficiente.
Anzi i governi, sostiene la IEA, hanno l’opportunità di abbassare o rimuovere i sussidi per il consumo di fonti fossili (carbone, gas, petrolio), che valgono circa 400 miliardi di dollari su scala globale. Oltre il 40% di tali sussidi serve ad abbassare i prezzi finali dei prodotti petroliferi, ad esempio tramite la riduzione delle accise sui carburanti per certe categorie di consumatori.
Investimenti per sviluppare le energie rinnovabili su vasta scala come l’eolico, il solare, le batterie, l’idrogeno, evidenzia Birol, “dovrebbero essere al centro dei piani governativi perché porteranno il duplice beneficio di stimolare le economie e accelerare la transizione energetica pulita”.
Tra l’altro, aggiunge il direttore dell’agenzia, i costi delle rinnovabili sono molto diminuiti in confronto ad altri periodi in cui i governi avevano lanciato “pacchetti” di stimolo per l’economia; invece l’idrogeno e la cattura della CO2 (CCS: carbon capture and storage) sono tecnologie che richiedono maggiore supporto per diffondersi con i primi grandi impianti a livello commerciale.