Idrogeno, un mercato globale che fatica a decollare

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Soltanto un quarto dei progetti di produzione di H2 è in fase avanzata di realizzazione, mentre in Italia nessuna delle iniziative finanziate con il Pnrr ha ancora visto la luce. Uno studio di Agici.

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Ovunque i progetti per la produzione di idrogeno faticano a decollare: a livello globale circa un quarto di quelli annunciati è in fase avanzata, addirittura in Italia nessuna delle 143 iniziative finanziate con il Pnrr è entrata in funzione.

È la fotografia sullo sviluppo di questo vettore energetico che emerge dall’ultimo report dell’Osservatorio sul Mercato Internazionale dell’Idrogeno di Agici (executive summary), presentato il 24 ottobre a Milano nel corso del convengo ‘Il futuro dell’idrogeno: dalle strategie nazionali al mercato globale’.

Guardando all’Ue, i primi sette Paesi per capacità produttiva prevista (Germania, Paesi Bassi, Francia, Spagna, Portogallo, Danimarca e Svezia) non raggiungeranno nemmeno il 50% del target previsto da REPowerEU al 2030, pari a 10 Mton di produzione.

Un dato che appare ancora più evidente considerando che i progetti di produzione ad uno stato avanzato (cioè operativi, in costruzione o con decisione finale di investimento ottenuta), al momento pari a 2,8 GW di elettrolisi, rappresentano appena il 6% del target aggregato previsto dalle relative strategie nazionali, pari a circa 47 GW.

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Agici ha censito 1.908 progetti annunciati in tutto il mondo, di cui però soltanto 510 (il 27%) si possono qualificare come in “fase avanzata”.

Specifichiamo che nello studio viene fatto ricadere nella definizione di idrogeno “sostenibile” quello prodotto con fonti rinnovabili, quello generato da fonti fossili con sistemi di cattura della CO2 e quello prodotto con il nucleare.

Guardando soltanto alle iniziative che prevedono la produzione di idrogeno tramite elettrolisi, i progetti in fase avanzata ammontano a 15,1 GW, per una produzione potenziale di H2 pari a 2,7 milioni di tonnellate (con usi finali previsti soprattutto nei settori dell’industria chimica e dei trasporti), ma soltanto il 7% è già in attività.

L’Italia si distingue in negativo. Tramite il Pnrr sono stati assegnati 2 miliardi di euro (su 2,9 miliardi in totale) a 143 progetti di idrogeno verde, ma ad oggi neanche uno è entrato in funzione.

La parte più ingente delle risorse è destinata al Nord Italia, con 693 milioni di euro stanziati e 68 progetti avviati. Seguono il Sud, con 506 milioni di euro e 56 progetti e il Centro, che racchiude 20 progetti per una cifra di 118 milioni di euro.

La mappa in basso mostra la ripartizione geografica degli investimenti Pnrr concessi o approvati aggiornati a luglio 2024, esclusi i 550 milioni per i settori hard to abate e i 110 milioni dell’accordo di programma per attività di ricerca e sviluppo firmato da Mase ed Enea.

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Le ragioni per cui il mercato italiano dell’H2 stenta a decollare sono diverse. Secondo Agici “gli incentivi sono insufficienti”, visto che si arriva al massimo a 5 euro/kg di idrogeno rinnovabile prodotto, che però ha costi che raggiungono i 15-18 euro/kg e quindi restano molto più elevati rispetto a quelli dei competitor fossili anche al netto dei sussidi.

Inoltre, manca ancora una strategia nazionale in grado di stimolare gli investimenti, e anche il Pnrr “ha i suoi limiti”, come scadenze giudicate troppo stringenti al 2026 per iniziative ad oggi non ancora in costruzione e l’isolamento territoriale degli impianti di produzione aggiudicatari dei fondi rispetto agli attuali centri di consumo regionali.

In teoria una bozza di strategia nazionale ci sarebbe (Idrogeno, cosa c’è nella bozza della strategia italiana). Lo scenario più ambizioso stima una produzione nazionale al 2050 pari a 2,27 milioni di tonnellate di idrogeno tra i suoi differenti tipi (sia da rinnovabili che da fonti fossili con cattura della CO2), più 0,97 Mton di importazioni per soddisfare un consumo lordo di 3,24 Mton (pari a 9,30 Mtep, cioè milioni di tonnellate equivalenti di petrolio).

Nel complesso, l’idrogeno riuscirebbe a coprire quasi il 40% dei consumi attuali dei settori industriali coinvolti. Nella bozza vengono anche citati alcuni possibili usi dell’H2 nel settore civile e nei trasporti che, come sappiamo, sono meno efficienti e più costosi se paragonati alle alternative elettriche come pompe di calore e veicoli a batteria.

L’idrogeno non trova alleati neanche tra i siderurgici italiani. Il presidente di Federacciai Antonio Gozzi ha sempre ribadito che questa soluzione non è sostenibile in termini economici. La strada scelta, anche’essa molto in salita, sarebbe quella del nucleare, che comporta tutta una serie di altri problemi di cui abbiamo scritto (L’acciaio italiano sceglie il nucleare per decarbonizzarsi).

Ma c’è comunque qualcuno che decide di scommetterci. Ad esempio Iris Ceramica Group, col suo progetto H2 Factory che prevede l’impiego di idrogeno verde al posto del gas metano per decarbonizzare la produzione al 100% nei propri forni di cottura entro il 2030.

Attualmente l’azienda utilizza un mix di metano e idrogeno al 7%, autoprodotto grazie a due elettrolizzatori da 120 kW ciascuno, alimentati con energia solare.

“Già durante il prossimo anno, Edison Next installerà presso il nostro stabilimento di Castellarano un elettrolizzatore da 1 MW, che ci consentirà di aumentare la quota di H2 prima al 25% e poi fino al 50%, che è il limite massimo consentito dai nostri attuali bruciatori”, ha spiegato al convegno milanese Federica Minozzi, amministratore delegato di Iris.

Dalle sue stesse parole emerge però uno dei limiti tecnologici (oltre alle già citate criticità legate ai costi e all’efficienza) che rendono l’idrogeno poco affidabile per la completa e rapida decarbonizzazione dell’industria pesante.

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