Il 40% circa della capacità produttiva di idrogeno nei Paesi dell’Unione europea è sottoutilizzato, rimanendo distante dal suo potenziale massimo.
È quanto emerge da un recente studio di tre ricercatori italiani, secondo cui molti Paesi non sfruttano a pieno le proprie capacità produttive a causa di problemi infrastrutturali e operativi.
“Affrontare questi problemi potrebbe aumentare la produzione, sostenendo gli obiettivi di transizione energetica dell’Europa”, hanno scritto i tre ricercatori, affiliati a Università Roma Tre, Università Niccolò Cusano e Libera Università Mediterranea (LUM).
Lo studio ha esaminato la produzione di idrogeno in tutti e 27 i Paesi dell’Ue, evidenziando le disparità dovute alle diverse politiche energetiche e capacità industriali.
Dall’analisi, “la Germania è in testa con 109 impianti, seguita da Polonia, Francia, Italia e Regno Unito. Anche i Paesi Bassi, la Spagna, la Svezia e il Belgio, che contribuiscono in misura media, mostrano investimenti sostanziali. Paesi come Finlandia, Norvegia, Austria e Danimarca, noti per le loro politiche in materia di energie rinnovabili, hanno meno impianti, mentre Estonia, Islanda, Irlanda, Lituania e Slovenia stanno appena iniziando a sviluppare capacità di produzione di idrogeno”, hanno indicato i ricercatori.
Dalla lettura dello studio, emerge però una visione di base non accurata sull’idrogeno da parte dei tre autori, che appartengono a facoltà di scienze politiche, di sociologia e di management delle tre università, non quindi a dipartimenti specificatamente focalizzati su temi ingegneristici, infrastrutturali, tecnici o operativi legati al settore energetico.
Ciò nonostante, i dati nudi e crudi sul tasso di impiego della capacità produttiva di idrogeno in Europa e sui motivi del suo sottoutilizzo possono tornare comunque utili a altri ricercatori, decisori politici, operatori, ecc.
Vizio di base
“Lo studio sottolinea il potenziale dell’idrogeno come fonte [sic] energetica sostenibile in Europa e la necessità di continui investimenti, progressi tecnologici, politiche di sostegno e collaborazione internazionale per realizzare questo potenziale”, si legge nell’abstract della ricerca.
L’idrogeno non è però una “fonte” energetica, a differenza per esempio del petrolio, del sole o del vento, ma un “vettore” energetico, similmente all’elettricità. Come l’elettricità può essere “generato” in modi diversi, alcuni dei quali a bassa intensità di CO2 e altri ad alta intensità di anidride carbonica.
Si tratta di un errore di concetto e di visione fondamentale che gli autori fanno più volte nello studio, dove non compare mai la parola “vettore”. I ricercatori poi si contraddicono, implicitamente e indirettamente ristabilendo l’accuratezza dell’informazione quando spiegano tutti i modi diversi di produrre l’idrogeno.
Di per sé, l’idrogeno è un gas, sostanzialmente non è presente in natura come elemento puro, bensì solo come componente degli idrocarburi, dell’acqua o di altri elementi naturali ed è prodotto attualmente per il 99% estraendolo da fonti fossili. Non è al momento una “fonte energetica sostenibile” bensì un contributore al surriscaldamento dell’atmosfera e lungi dall’essere una soluzione alla crisi del clima è un enorme problema ancora tutto da risolvere per l’utilizzo che se ne fa nell’industria chimica e petrolchimica, per esempio.
Il vizio di approccio degli autori dello studio si estende ad un’accettazione acritica della vulgata attuale di quasi tutta la politica e degli investitori che seguono gli indirizzi politici, secondo cui l’idrogeno sarebbe un coltellino svizzero buono per una miriade di usi.
Al contrario, sintetizzando al massimo, vale la pena ed è sensato cercare di dedicare un’ingente capacità rinnovabile addizionale per produrre idrogeno verde solo se si utilizza l’idrogeno principalmente come agente chimico, ad esempio per produrre fertilizzanti, e non come combustibile da bruciare in sostituzione del gas metano per generare elettricità e per il riscaldamento degli edifici o come carburante in sostituzione di benzina e diesel per l’autotrazione.
Di questo si stanno fortunatamente cominciando ad accorgere un numero maggiore di persone e decisori (si veda la sezione di QualEnergia.it dedicata all’idrogeno per altri articoli sul tema, fra cui: Le centrali a gas “hydrogen ready” sono solo marketing?, Idrogeno verde, la Corte dei Conti Ue boccia la strategia di Bruxelles, Alle industrie serve tanto idrogeno? No, serve più elettrificazione, Gli obiettivi europei per l’idrogeno non sono realistici, Idrogeno: storia di un innamoramento, illusione e disincanto).
I dati dello studio
Le capacità produttive variano notevolmente in Europa, dalle modeste 24,79 tonnellate annue dell’Estonia alle ragguardevoli 2,14 milioni di tonnellate annue della Germania, come mostra l’illustrazione tratta dallo studio, con dati aggiornati al 2022 ed espressi in tonnellate/anno, che mostrano la capacità di produzione di H2 da tutte le fonti, cioè sia da fossili che il poco che a oggi si ottiene dalle rinnovabili.
Questa ampia fascia illustra i diversi livelli di sviluppo industriale, di disponibilità delle risorse e di investimenti nella tecnologia dell’idrogeno dell’Europa a 27, secondo la ricerca, consultabile dal link in fondo a questo articolo, intitolata “Regional Disparities and Strategic Implications of Hydrogen Production in 27 European Countries” e pubblicata in Regional Science and Environmental Economics.
Per quanto riguarda la produzione effettiva di idrogeno, questa è altamente correlata con la capacità di produzione di ciascun Paese; maggiore la capacità, quindi, maggiore tende ad essere l’output di idrogeno, in cui primeggia ancora una volta la Germania, con una produzione di 1,74 milioni di tonnellate all’anno, come mostra il grafico.
Nel complesso, i dati indicano che la maggior parte dei Paesi europei sta sottoutilizzando in modo significativo le proprie capacità di produzione di idrogeno, come mostra la seguente illustrazione, raffigurante la differenza percentuale tra capacità produttiva e produzione per Paese.
“Sono necessarie urgenti modifiche normative per affrontare i fattori che portano a queste disparità, come le strozzature infrastrutturali, le inefficienze operative e gli ostacoli normativi, che potrebbero aumentare in modo sostanziale la produzione effettiva di idrogeno, allineando maggiormente la produzione alla capacità e sostenendo gli obiettivi di transizione energetica dell’Europa”, scrivono gli autori dello studio.
Implicazioni politiche
Dati i vizi di base e l’approccio distorto o comunque acritico dello studio circa la natura e l’utilità dell’idrogeno, le implicazioni politiche che i ricercatori derivano dai risultati della loro analisi rischiano di essere altrettanto viziate e distorte. Volendo restare nell’ambito della logica adottata nello studio, gli autori indicano che “lo sviluppo strategico della produzione di idrogeno in Europa ha profonde implicazioni per i quadri politici nazionali e regionali”.
Poiché l’idrogeno è una pietra angolare della strategia energetica dell’Ue, “i responsabili politici devono navigare in un panorama complesso per massimizzare i benefici dell’idrogeno e mitigare le sfide associate. Queste implicazioni politiche riguardano la regolamentazione ambientale, la sicurezza energetica, la crescita economica, l’innovazione tecnologica e la cooperazione internazionale”, secondo i ricercatori.
Riferendosi al presunto ruolo dell’idrogeno per “decarbonizzare diversi settori, tra cui l’industria, i trasporti e l’energia”, lo studio sprona i politici a “creare quadri normativi solidi che incentivino la produzione e l’uso dell’idrogeno verde. Ciò include la definizione di obiettivi chiari per la produzione di idrogeno, l’implementazione di meccanismi di tariffazione del carbonio e la fornitura di sussidi o incentivi fiscali per i progetti di energia rinnovabile”, oltre allo “sviluppo di una rete transeuropea dell’idrogeno, che comprenda siti di produzione, impianti di stoccaggio e reti di distribuzione” e alla “creazione di un mercato competitivo dell’idrogeno”.
I ricercatori concludono la loro analisi affermando che “la produzione di idrogeno in Europa si trova in un momento cruciale, con livelli di sviluppo diversi nei vari Paesi”.
“I risultati sottolineano diverse intuizioni critiche e implicazioni politiche essenziali per far progredire l’economia dell’idrogeno. Paesi come Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Spagna e Regno Unito sono all’avanguardia nella produzione di idrogeno. Queste nazioni beneficiano di forti politiche governative, di strutture di ricerca e sviluppo avanzate e di ingenti investimenti finanziari nelle tecnologie verdi”, hanno continuato gli autori.
“Tuttavia, nonostante le loro elevate capacità produttive, questi Paesi devono affrontare delle sfide per utilizzare appieno il loro potenziale a causa di vincoli infrastrutturali e tecnologici. Affrontare queste inefficienze attraverso investimenti mirati e aggiornamenti tecnologici potrebbe aumentare significativamente la produzione di idrogeno, allineando maggiormente la produzione alla capacità e sostenendo gli ambiziosi obiettivi di transizione energetica”, hanno concluso i ricercatori.
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