Idrogeno, in Italia grandi potenzialità ma piccoli obiettivi

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I target italiani per il 2030 sono molto inferiori al potenziale teorico del fabbisogno complessivo. Dati e analisi dell'Energy & Strategy del Politecnico milanese sul mercato dell'H2 nelle industrie e nei trasporti.

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L’idrogeno “sostenibile” – definizione ampia che include sia l’H2 prodotto con fonti rinnovabili sia quello da fonti fossili con sistemi di cattura della CO2 – è una componente “cruciale” nella transizione energetica, offrendo “straordinarie potenzialità” per decarbonizzare industria e trasporti, anche in Italia dove però gli obiettivi del Pniec sono molto inferiori a queste potenzialità.

Parte da tali premesse il nuovo studio dedicato all’idrogeno dall’Energy & Strategy del Politecnico di Milano, che sarà presentato domani (11 luglio).

Nella sintesi dell’Hydrogen Innovation Report 2024, vista da Qualenergia.it, si spiega che i settori industriali che attualmente consumano le maggiori quantità di idrogeno (raffinazione e industria chimica) stanno convertendo i loro criteri di approvvigionamento.

La richiesta di idrogeno da combustibili fossili risulta in calo a favore di una crescente domanda di H2 cosiddetto “low carbon”, a basse emissioni, nonostante la sua attuale scarsa convenienza economica.

Il quadro europeo, tra stimoli e incertezze

L’Europa ha tracciato la via: il 2023 è stato un anno di svolta per il supporto all’intera filiera dell’idrogeno, si osserva, grazie a una serie di normative che intervengono sia sul lato della domanda sia su quello dell’offerta, tra cui la direttiva Red 3 sulle rinnovabili (con target per l’uso di idrogeno verde nelle industrie e nei trasporti) e il regolamento Afir sulle infrastrutture di rifornimento dei combustibili alternativi (con obiettivi specifici per le stazioni a idrogeno).

Inoltre, sono state riviste le norme che regolano l’infrastruttura e il mercato del gas, in modo da renderle compatibili con i gas rinnovabili.

Nel 2023 è anche partito il nuovo schema incentivante della European Hydrogen Bank, attraverso cui Bruxelles concede un sostegno finanziario ai progetti di produzione di H2 da elettrolisi più competitivi.

I risultati della prima asta pilota, che ha assegnato 720 milioni di euro, mostrano che già oggi per molti progetti il gap competitivo con le soluzioni fossili (metano, idrogeno grigio) è estremamente basso.

Analizzando la “geografia” della prima asta, è evidente che la competitività dei progetti è tanto più alta, quanto più abbondanti sono le risorse rinnovabili a disposizione.

Pertanto, per molti Paesi “risulta difficile immaginare, almeno nel breve termine, una produzione di idrogeno rinnovabile che riesca a insidiare il massiccio utilizzo di fonti fossili”, affermano gli autori.

Il Paese più ambizioso è la Germania, che intende realizzare anche diverse centrali a gas “pronte per l’idrogeno” e punta a massicce importazioni di H2 per soddisfare i consumi industriali.

Altro esempio citato è quello spagnolo: il Paese punta a installare 11 GW di elettrolizzatori entro fine decennio, sfruttando il suo vasto potenziale eolico e fotovoltaico per alimentare i processi elettrolitici e diventando un esportatore di H2.

A livello europeo, stando ai progetti annunciati finora, nel 2030 si raggiungerà una capacità produttiva pari a 8,9 milioni di tonnellate annue di H2 (tra H2 verde e idrogeno da fossili con sistemi CCS), un numero che si avvicina parecchio all’obiettivo prefissato dall’Unione europea di 10 Mt.

Tuttavia, precisano gli autori, “sul raggiungimento effettivo di tale capacità produttiva permangono molte incertezze, legate alle difficoltà che molti progetti riscontreranno a entrare in esercizio entro le tempistiche annunciate e all’effettiva implementazione di questi progetti”.

Il potenziale italiano e la realtà del Pniec

Il rapporto poi sottolinea che in Italia manca una strategia nazionale per l’idrogeno: ci sono misure di sostegno (gli investimenti del Pnrr), “ma resta ancora sconosciuta la direzione di medio-lungo periodo che si intende percorrere, un elemento di primaria importanza affinché gli operatori riescano a elaborare strategie di azione e per dare il via allo sviluppo di una filiera nazionale per l’idrogeno”.

In linea generale, si parla di un ampio mercato potenziale di idrogeno a basse emissioni, da confrontare però con obiettivi poco ambiziosi.

La stima del potenziale teorico di mercato per l’idrogeno nel nostro Paese, considerando tutti gli usi (industriali, civili e nei trasporti), ammonterebbe a 15,3 Mt.

Va ricordato però che impiegare l’idrogeno nel settore civile – con 7,7 Mt identificati come potenziale – è un’opzione poco efficiente se paragonata con le tecnologie di elettrificazione diretta dei consumi finali, come le pompe di calore. Tanto che lo stesso Pniec non prevede obiettivi specifici per questo settore.

Conviene quindi focalizzarsi sul settore industriale: qui il potenziale ammonta a 5,4 Mt di cui ben il 77% (4,2 Mt) nei settori “pesanti”, cosiddetti hard-to-abate, come la produzione di acciaio, cemento e vetro.

Da ricordare però che secondo un recente studio del Fraunhofer tedesco, entro il 2035 ben il 90% del calore per i processi industriali in Europa potrebbe essere prodotto con tecnologie elettriche (Alle industrie serve tanto idrogeno? No, serve più elettrificazione).

Nei trasporti, invece, il potenziale individuato dall’Energy & Strategy è pari a 2,1 Mt.

In entrambi i casi (industrie e trasporti), i target fissati dal Pniec al 2030 sono assai inferiori, rispettivamente 0,115-0,136 Mt, per un fabbisogno totale di 0,251 Mt.

Quanto alla capacità di elettrolisi, il Pniec punta a 3 GW nel 2030 e finora sono stati annunciati progetti per la metà di questo numero (1,5 GW). Anche in questo frangente, il potenziale stimato dal Polimi è ben più alto: 35 GW per coprire il fabbisogno delle industrie e 15 GW per i trasporti, cui andrebbero associati 180 + 70 GW di capacità da fonti rinnovabili.

Si parla poi in particolare delle acciaierie, al fine di individuare la configurazione di filiera più appropriata.

In Italia, al 2022 sono presenti 35 siti che producono acciaio, per un totale di 21,6 Mt di acciaio prodotto e 0,68 Mt di fabbisogno potenziale di idrogeno.

Dall’esame delle caratteristiche di tali siti, quali posizione geografica e vicinanza ad altri impianti, “le configurazioni di filiera che emergono come maggiormente applicabili non prevedono rinnovabili in loco, adottando piuttosto la fornitura diretta di idrogeno o la sua produzione tramite contratti PPA, soluzioni utili per il mantenimento di una fornitura stabile di idrogeno e quindi garantire la continuità della produzione dell’acciaio”.

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