Diciamo la verità, la natura stavolta ci ha beffati: l’idrogeno è un vero grattacapo.
Con il silicio ci ha fatto il favore di dotare l’elemento solido più comune del pianeta, che è anche quasi inerte e non tossico, di proprietà semiconduttive, così da poterlo usare per convertire in modo pulito la luce solare in elettricità. Più comodo di così…
Ma ora che stiamo affrontando il problema di come stoccare per lunghi periodi quell’elettricità per usarla quando il sole non c’è, o come trasformarla in modo da alimentare fabbriche o trasporti pesanti, ecco che la soluzione più gettonata, l’idrogeno, si sta rivelando molto problematica.
Questo gas, l’elemento più comune dell’Universo, sulla Terra è molto raro in forma pura, perché è talmente leggero da non essere trattenuto dalla gravità del pianeta.
A parte le probabilmente scarse riserve naturali sotterranee, la cui ricerca è adesso di gran moda, l’idrogeno bisogna produrlo e, se si vuole essere sostenibili, usando l’elettrolisi dell’acqua con elettricità da fonti rinnovabili, e poi stoccarlo per gli usi futuri.
Ma la leggerezza estrema dell’idrogeno fa anche sì che in un metro cubo a pressione atmosferica ce ne stiano appena 80 grammi, con un contenuto energetico di soli 4 kWh circa, contro gli 11 kWh di un metro cubo di metano o i 10.000 kWh di un metro cubo di benzina.
Ciò vuol dire che per stoccarlo in quantità utili per la produzione elettrica o i trasporti, o si usano volumi enormi, oppure serbatoi con il gas compresso a centinaia di atmosfere, o addirittura il gas liquefatto a -250 °C.
Aggiungiamo anche che l’H2 corrode i metalli ed è altamente esplosivo, ed ecco che il suo accumulo è uno degli aspetti più difficili da risolvere nella futura economia ad idrogeno: gli speciali serbatoi ad alta pressione rivestiti di polimeri impermeabili a questo gas sono carissimi, dai 400 $ in su per kg di idrogeno accumulato, mentre l’idrogeno liquido va tenuto alle sue temperature bassissime e anche così bolle continuamente, perdendosi nell’aria.
Eppure bisognerà pure trovare una soluzione a questi problemi perché, a meno di sviluppi tecnologici ancora imprevedibili per applicazioni come ad esempio “l’aviazione sostenibile”, l’idrogeno sembra essere indispensabile: gli aerei a batteria ad elica hanno autonomie, velocità e capacità molto limitate, i biocarburanti per i jet non possono essere prodotti nelle quantità necessarie senza pesanti impatti ambientali e sulla produzione di cibo, mentre gli idrocarburi sintetici, ottenuti combinando CO2 e H2, hanno per ora prezzi stratosferici.
Idrogeno per aerei
L’idrogeno pare quindi essere la soluzione a cui puntano molti produttori di aeromobili, come Airbus (per occupare meno spazio, 1 litro di H2 liquido pesa solo 70 gr e anche se un kg di idrogeno ha tre volte l’energia di un kg di cherosene, a parità di energia fornita dal combustibile fossile, serve un volume di idrogeno liquido circa 4 volte superiore, e non richiede serbatoi pressurizzati troppo pesanti).
Anche per loro, quindi, si presenta il problema di come riuscire a stivare abbastanza H2 sull’aereo (insieme all’apparato criogenico necessario a mantenerlo in forma liquida, che consuma non poca energia), così da percorrere le migliaia di miglia dei tipici voli di linea.
Un passo avanti in questa direzione è stato annunciato ora da Tomas Grönstedt, ingegnere della svedese Chalmers University of Technology, che su Applied Thermal Engineering, ha annunciato l’invenzione di un nuovo tipo di scambiatore di calore per uso aeronautico, che dovrebbe rendere possibili entro pochi anni i primi voli di jet a idrogeno.
“Uno scambiatore di calore può sembrare un particolare secondario, ma in un aereo a idrogeno ci troveremo con due estremi di temperatura: l’idrogeno liquido a -250 °C e la turbina del jet a migliaia di gradi”, spiega Grönstedt.
“Ora, il rendimento di un motore termico dipende dalla differenza di temperatura; per cui raffreddare alcune parti del motore usando il gelo proveniente dall’idrogeno quando passa dalla fase liquida a quella gassosa prima di essere usato, aumenterà l’efficienza della combustione. Così come l’aumenterà il preriscaldare l’idrogeno ad alcune centinaia di gradi, usando il calore della turbina, prima di comprimerlo nel motore jet. Il nostro scambiatore permetterà questo movimento bidirezionale del calore con un dispositivo compatto, leggero e innovativo”.
Il risparmio di carburante dovuto all’aumento di efficienza così conseguito, secondo i ricercatori svedesi, consentirà di aumentare l’autonomia dei jet a idrogeno, tanto che un primo esemplare commerciale dotato del dispositivo potrebbe volare già nel 2028, mentre entro il 2045 la maggior parte dei voli di linea all’interno dei 1200 km nel mondo, potrebbero andare ad idrogeno.
Se avessero ragione gli svedesi, almeno in questo settore si preannuncia un superamento dei problemi tecnici legati all’uso di questo gas.
Trasporti pesanti con derivati dell’idrogeno?
Per i trasporti pesanti meno “di lusso” di quelli aerei, e meno sensibili ai problemi di peso, come navi, trattori o autotreni, invece, la soluzione ai problemi di densità energetica dell’idrogeno e del suo stoccaggio, si pensava di risolverli trasformando il gas in un combustibile liquido.
Come detto, farlo tramite la sua combinazione con la CO2, produce carburanti comodi da usare, ma anche molto cari.
C’è però una soluzione ancora più semplice: far reagire l’idrogeno con l’azoto dell’aria, così da ottenere NH3, cioè ammoniaca, che è sì un gas, ma che diventa liquido a pressioni molto basse, ad appena 7 atmosfere, ed è combustibile.
L’ammoniaca liquida ha una densità energetica della metà rispetto a quella della benzina e di appena un sesto rispetto all’idrogeno liquido, ma per trasporti che, a differenza degli aerei, non si preoccupano molto di peso e ingombro, potrebbe essere la soluzione ideale in termini di costo.
L’ammoniaca oggi viene prodotta con il metodo Haber-Bosh che richiede alte temperature; ma si stanno sperimentando nel mondo sistemi elettrochimici molto più efficienti, che potrebbero addirittura consentire a chiunque di autoprodursi la propria ammoniaca partendo dall’idrogeno dell’acqua e l’azoto dell’aria: una prospettiva rivoluzionaria per l’agricoltura sostenibile, che potrebbe così prodursi sia i suoi fertilizzanti azotati, sia il combustibile per trattori e mietitrebbia.
Tutto bene, quindi? Abbiamo trovato un modo per immagazzinare a basso costo l’idrogeno?
Magari fosse così semplice. Innanzitutto, l’ammoniaca è tossica e il fatto che torni istantaneamente gassosa in caso di rottura del serbatoio pressurizzato, non lascia molto tranquilli.
Ma adesso Anthony Wong, dottorando del MIT in chimica ambientale, ha fatto notare su Environmental Research Letters, che in assenza di severe norme sulla combustione di questo combustibile, finiremmo con ottenere un disastro sanitario, ambientale e climatico.
“L’NH3, bruciando produce acqua e tanti ossidi di azoto, che causano piogge acide dannose alle piante, sono irritanti per la respirazione e innescano un boom di alghe nelle acque. Uno di questi ossidi, l’N2O è anche un gas serra 300 volte più potente della CO2”, spiega Wong.
E non basta, anche piccole fuoriuscite di ammoniaca sarebbero inquinanti, perché questo gas in aria produce un particolato fine molto dannoso per l’organismo.
“Secondo i nostri calcoli, se tutte le navi passassero come sono ora all’uso di ammoniaca, si avrebbero 600mila morti l’anno per l’inquinamento causato dalla sua combustione, contro le 100mila che causa oggi l’inquinamento da combustibili navali a fonti fossili”, dice il chimico del MIT.
Allora, non ne usciremo mai? Neanche l’ammoniaca è un buon vettore di idrogeno?
“Non è detto: se con la sua introduzione si stabilissero anche severe norme per abbattere gli ossidi di azoto e limitare al massimo le perdite di ammoniaca, il combustibile risulterebbe più pulito di quello attuale usato per le navi, portando a una riduzione dei decessi ad esso collegati del 65%”, conclude Wong.
Insomma, tutto è complesso, le soluzioni ideali non esistono e ogni problema risolto sembra aprirne uno nuovo. Per la completa transizione energetica servirà tanta ricerca e soprattutto tanta, tanta pazienza…