Alle industrie “pesanti”, come quelle dell’acciaio e del vetro, non servirebbero grandi quantità di idrogeno per eliminare l’uso di combustibili fossili.
Potrebbero invece puntare sulle tecnologie che consentono di elettrificare in modo diretto il consumo energetico, come le pompe di calore ad alta temperatura e le grandi caldaie elettriche.
Queste e altre tecnologie, entro il 2035, potrebbero teoricamente generare fino al 90% del calore di processo per gli usi industriali in Europa, necessario ad esempio per fondere il vetro e forgiare l’acciaio.
In sostanza, in una decina d’anni, l’uso di energia elettrica potrebbe rivoluzionare i processi produttivi cosiddetti “hard-to-abate”, dove è considerato più difficile abbattere le emissioni di gas serra, rinunciando gradualmente alle fonti fossili (carbone, gas, petrolio).
Sono queste le principali considerazioni di un nuovo studio del Fraunhofer Institute per conto del think tank tedesco Agora Industry, intitolato “Direct electrification of industrial process heat” (link in basso).
Secondo Frank Peter, direttore di Agora Industry, “garantire la competitività industriale dell’Europa, rispettando al contempo gli obiettivi climatici, deve essere una priorità assoluta per il prossimo ciclo politico”. La raccomandazione, pertanto, è di promuovere l’elettrificazione diretta dei consumi energetici industriali con incentivi e misure specifiche.
Dallo studio emerge che le grandi pompe di calore e le caldaie elettriche siano già in grado di fornire calore di processo su scala industriale alle temperature necessarie (fino a 200-500 °C) per l’industria alimentare, la produzione di carta e altri processi chimici.
Il riscaldamento a resistenza e i forni elettrici ad arco, si spiega, possono produrre temperature fino a circa 1.800 °C necessari per fondere metalli e plastica, mentre la tecnologia a induzione può persino raggiungere temperature più elevate, fino a 3.000 °C.
Tra le iniziative più recenti, segnaliamo quella di Swiss Steel per la produzione del cosiddetto “acciaio verde” tramite i forni elettrici ad arco, oltre al protocollo siglato in Italia tra Federacciai e Gse volto a promuovere la decarbonizzazione della filiera produttiva.
La combustione del clinker e il riscaldamento dell’acciaio, invece, richiederanno probabilmente metodi ancora in fase di perfezionamento, come le torce al plasma e il riscaldamento con onde d’urto.
Tutte queste soluzioni, si legge nella sintesi della ricerca, “hanno chiari percorsi di sviluppo che rendono la loro adozione diffusa entro il 2035 fattibile sia dal punto di vista tecnologico che economico, date le giuste condizioni”, leggasi incentivi e obiettivi vincolanti da raggiungere.
Dei circa 2mila TWh impiegati per il calore di processo nell’Ue nel 2019, oltre 1.800 TWh potrebbero essere elettrificati entro il 2035, il 90% circa come detto.
Tuttavia, è necessario rimuovere una serie di ostacoli, tra cui il maggiore costo delle tecnologie elettriche rispetto al gas fossile, oltre ai limiti alla capacità di generazione e trasporto esistente di elettricità rinnovabile.
Ci sono anche barriere di altro tipo: ad esempio, molte imprese potrebbero essere riluttanti a investire in nuove tecnologie non ancora applicate con successo su vasta scala, preferendo lo status quo ritenuto più affidabile.
Quel che serve allora è un “piano d’azione Ue per l’elettrificazione industriale”, sottolinea Peter.
Questo piano “dovrebbe aiutare le aziende a dare priorità alla generazione di calore da processi elettrici e quindi contribuire ad aumentarne la diffusione”, tramite un’alleanza industriale e target quantitativi per le diverse tecnologie, supportati da adeguati incentivi.
Il piano d’azione, inoltre, dovrebbe garantire che i programmi di finanziamento, come Horizon Europe e il Fondo per l’innovazione ETS dell’Ue, diano priorità ai progetti di elettrificazione diretta e garantiscano che l’elettrificazione del calore industriale sia integrata nella pianificazione della rete.
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