Idee per un agrovoltaico a misura di impresa agricola

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Uscire dalla logica della mera quota di occupazione di suolo agricolo per realizzare progetti che diano risultati quantificabili per il settore FV e per l'imprenditore agricolo. Ne abbiamo parlato con Giovanni Simoni del Gruppo Kenergia, che sarà tra i relatori di un webinar di Fieragricola il 16 settembre.

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“Il settore degli operatori elettrici e del fotovoltaico ritengono che senza l’utilizzo dei terreni agricoli non si possano raggiungere gli obiettivi del PNIEC al 2030. Però questo approccio non può passare così nel mondo agricolo, perché significa tenere in scarso conto gli interessi dell’agricoltura e delle imprese agricole. E questo ha portato, con alcune eccezioni, ad una contrapposizione che ha bloccato finora lo sviluppo dell’agrovoltaico”.

È quanto ci spiega Giovanni Simoni, Ceo del Gruppo Kenergia, che abbiamo intervistato sul tema del solare fotovoltaico in agricoltura e che sarà tra i relatori del webinar “L’agrovoltaico in Italia: cos’è e quali opportunità offre al settore agricolo” organizzato per giovedì 16 settembre da Fieragricola insieme a QualEnergia.it.

Sebbene sul fotovoltaico a terra ci siano dati fuorvianti, come quelli riportati da un recente articolo apparso su L’Espresso in cui si paventa un rischio esagerato di una perdita di produzione agricola importante e uno stravolgimento del paesaggio a causa di queste installazioni, l’ingegner Simoni, che sta lavorando da tempo in questo settore, ritiene essenziale parlare con il settore dell’agricoltura italiana.

Il dibattito in corso in campo energetico è molto concentrato sul fatto che per gli obiettivi del fotovoltaico previsti dal PNIEC al 2030 vadano presi in considerazione i terreni agricoli.

“Secondo me – dice Simoni – un argomento che potrebbe essere confutabile è quello che stima ad esempio nello 0,7% l’uso dei terreni agricoli per fare nuovi 30-40 GW di solare. È vero che si tratta di una quota del tutto marginale, ma alla fine è un mero calcolo che guarda solo le cose dal punto di vista degli operatori elettrici”.

Allora, se vogliamo fare agrovoltaico e puntiamo a realizzare impianti evitando eccessi speculativi e con un adeguato rapporto tra agricoltura, paesaggio e produzione elettrica quale approccio va tenuto?

Se facciamo un vero agrovoltaico dobbiamo permettere non solo il mantenimento delle attività agricole, ma anche il loro sviluppo. Quindi alla fine quella percentuale potrebbe rivelarsi del tutto irrilevante. Potremmo allora perfino parlare del 10%.

Ma come?

Sto considerando un fotovoltaico molto più soft, meno invadente, con prezzi e contratti tra le parti che vanno totalmente modificati a beneficio anche degli interessi del settore agricolo, sempre in un’ottica di collaborazione. Un progetto di agrovoltaico deve essere un’iniziativa di corresponsabilizzazione tra l’operatore energetico e quello agricolo.

Quale dovrebbe essere allora la giusta sinergia tra fotovoltaico e agricoltura?

Va intanto detto che oggi manca del tutto una normativa in questo campo. Un progetto di agrovoltaico deve prevedere il coinvolgimento degli agronomi e della stessa azienda agricola che contrattualmente deve poter garantire di non sparire in pochi anni, considerando anche che la vita operativa di un impianto FV è stimabile in 30-35 anni. Infatti, il pericolo per un progetto agrovoltaico è che l’agricoltore, una volta incassati un po’ di soldi dal progetto, possa decidere di uscire dal mercato. Si apre così una criticità importante: cosa succede se l’agricoltore se ne va? L’autorizzazione dovrà essere revocata e quindi l’investimento è in forte rischio.

Si parlava di normativa che non c’è…

Facciamo un esempio dei tanti modelli agrovoltaici che vengono proposti: la coltura è realizzata tra le stringhe, tra i moduli, ma quel terreno è da considerarsi dal punto di vista normativo nella grande categoria di ‘consumo di suolo’. Quel tipo di attività agricola non è al momento normata, ma anzi porta a fare un’attività che ad esempio non consente, o rende molto complesso, accedere ai contributi europei.

Allora proviamo a ragionare in termini di salvaguardia dell’agricoltura e anche del paesaggio. Cosa si dovrebbe proporre?

Faccio un esempio. Pensiamo che insieme ad un’impresa agricola e un agronomo riusciamo a studiare una configurazione che possa evitare di realizzare un fotovoltaico che sia di intralcio e che consenta alcune funzioni utili. Molto potrebbe cambiare. Una di queste funzioni, che ritengo fondamentali, è la raccolta dell’acqua piovana grazie anche a specifici moduli, poterla conservare e utilizzare per un’irrigazione profonda con un forte risparmio idrico. Su questo abbiamo realizzato un brevetto, ma è solo un esempio delle diverse funzioni che possono assolvere gli impianti solari in agricoltura.

Quindi stiamo parlando non di puro business elettrico. Si dovrà comunque investire un po’ di più e poi come orientarsi visto che non può esistere un unico modello di riferimento per fare solare sui terreni agricoli?

Va trovato uno standard in accordo con le imprese agricole. Valutiamo che i costi di investimenti per un agrovoltaico possono essere più elevati rispetto al normale, ma di appena del 3-5%. Se si punta su un agrovoltaico più leggero in cui si permette ad esempio di far muovere i macchinari, associarlo a colture nuove e puntando sul risparmio di acqua, si può tornare a rendere conveniente economicamente una determinata attività agricola che magari prima aveva delle difficoltà. Non c’è una regola generale, ma ci sono dei principi che si possono introdurre per disciplinare queste iniziative e sollecitare l’interesse degli agricoltori.

Non servirebbero anche esempi concreti di progetti replicabili o, comunque, capaci di stimolare maggiormente questo interesse da parte del mondo agricolo?

Mancano purtroppo ancora esempi concreti di agrovoltaico in Italia. Siamo agli inizi. Ed è per questo che ritengo necessario che si facciano sperimentazioni di alcuni megawatt di fotovoltaico, abbinati a certe tipologie di colture, con particolari modelli di moduli fotovoltaici e valutando differenti posizionamenti. C’è una cultura da costruire e per questo motivo va favorito un dialogo serrato e costruttivo con il mondo agricolo.

Ma come ha detto, siamo proprio all’inizio…

Come gruppo stiamo realizzando un impianto FV di 30 MW in Puglia, che per 25 MW è un agrovoltaico con una serie di misure di mitigazione, mentre due megawatt di potenza sono dedicati ad un’area sperimentale in cui raccogliamo l’acqua e la conserviamo; misuriamo l’umidità delle radici delle nuove piante e irrighiamo quando serve. Insomma, riteniamo importante fare del monitoraggio di queste attività, aspetto che è stato considerato anche nel decreto semplificazioni. Dobbiamo raccogliere dati che poi dobbiamo far conoscere. È un campo vastissimo e dal grande potenziale.

Quindi lei che approccio ritiene più corretto adottare?

Come spiegavo, l’occupazione del suolo agricolo su scala nazionale, cioè quel numeretto dello 0,7%, lascia indifferente l’agricoltore. Quello che importa alla fine è se il prodotto lordo vendibile dopo l’intervento energetico sarà o meno superiore a quello precedente l’intervento. Questo risultato sarà il più interessante, anche con diritti di superfici più bassi rispetto ad oggi, perché questa sarà la motivazione per l’imprenditore agricolo a restare nell’attività.

Parliamo dei diritti di superficie che potrebbero essere un punto di partenza per ragionare su un accordo con l’impresa agricola.

I diritti di superficie al momento vanno dai 2.200 ai 3.000 euro per ettaro l’anno per contratti di 30-35 anni. Al contempo i contributi europei all’agricoltura non superano quasi mai i 300 €/ha/anno, e con un terreno a riposo sono anche inferiore. C’è dunque un differenziale importante e credo che questi due valori debbano avvicinarsi, così come gli interessi delle parti. Qui servirà una normativa nazionale e regionale chiara sugli iter autorizzativi, che adesso ancora non si vede.

Cosa possiamo dire a proposito di terreni agricoli abbandonati?

Dobbiamo avere, insieme a quanto spiegato finora per le imprese agricole attive, anche un piano di recupero dell’incolto. Qualcosa che possa favorire la nascita di nuove aziende, in grado di richiamare giovani imprenditori che hanno voglia di fare imprese innovative, puntando ad esempio su prodotti biologici. Mi piacerebbe vedere dei giovani che ad esempio su un terreno di 10 ettari possano fare un’agricoltura innovativa e redditizia, con un abbinamento con il fotovoltaico ben fatto. In questo ambito i giovani potrebbero anche essere formati per la manutenzione degli impianti, cosa che potrebbe far emergere una nuova figura, quella dell’operatore agrovoltaico. Perché non prevedere dei contributi a questo fine?

Se volessimo fare un agrovoltaico economicamente sostenibile, quali sono le superfici minime da tenere in considerazione?

Per un ritorno dell’investimento soddisfacente dobbiamo poter installare almeno 2 o 3 MW fotovoltaici; quindi, dovremmo avere a disposizione 5-6 ettari fuori dai vincoli. Per dare un dato generale possiamo dire che rispetto alla superficie utile dell’impresa agricola potremmo pensare un rapporto di uno a tre: quindi al netto del filtro dei vincoli presenti, un impianto FV sostenibile potrebbe occupare all’interno dell’intera azienda agricola da un quinto a un decimo. Sono numeri che anche dal punto di vista paesaggistico consentono di applicare misure di mitigazione importanti, ma dietro ci deve essere una architettura del territorio che va studiata con cura, e che non può prescindere dall’impegno professionale di più figure, cosa che al momento manca. Dico di non esagerare con grandi progetti: restiamo sempre sotto i 10 MW, con impianti collegati in media tensione, e che possono dare dei buoni economics. Poi è importante valutare le condizioni della rete elettriche e se è in grado di ospitare le connessioni di questi impianti.

Facciamo un esempio basico: ho un terreno di pochi ettari, già coltivato o abbandonato. Come affrontare l’investimento e quali sono i primi passi da fare?

L’investimento iniziale lo deve fare l’operatore FV ed elettrico, recuperando una serie di dati e facendo un serio sopralluogo. Una prima analisi si può fare insieme ad un agronomo, meglio se legato a quel territorio. Successivamente parlerei in maniera approfondita con l’imprenditore agricolo. Il denaro deve poter venire dai diritti di superficie che riceve l’agricoltore: un’entrata che potrà in parte essere indirizzata per i nuovi investimenti in agricoltura che richiede il progetto. Come dicevo si tratta di una sorta di corresponsabilizzazione.

Le associazioni agricole sono ancora divise su questi progetti.

Mi auguro che le associazioni, come Coldiretti, Confagricoltura e CIA, possano invece accompagnare questo processo per aiutare l’impresa agricola nella scelta. L’imprenditore agricolo potrebbe non dare ascolto all’operatore fotovoltaico, che alcuni vedono come un mero speculatore, ma se riesce a valutare insieme alle organizzazioni di settore la bontà di queste iniziative, magari le cose possono cambiare, per tutti.

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