Gli accumuli residenziali in Italia

Quali prospettive di mercato per gli accumuli residenziali nel nostro paese? Un'intervista a Luigi Mazzocchi di RSE.

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Dallo Speciale QualEnergia.it-Key Energy

Quando si parla di accumulo energetico si pensa subito ai grandi impianti per la rete, come quelli da 100 MW o ancora più potenti che si stanno progettando negli Stati Uniti, per sostituire una parte della produzione elettrica finora garantita dalle unità a gas “di picco”.

Ma uno dei filoni più promettenti per il mercato dello storage elettrochimico, in Europa e in Italia, è nel settore residenziale: parliamo di piccoli impianti da pochi kW che iniziano a comporre un sistema di generazione distribuita destinato a cambiare profondamente il modo di produrre e utilizzare l’energia.

Tra le tendenze che stanno emergendo, c’è la possibilità di creare nuove forme di autoconsumo collettivo negli edifici condominiali e nei quartieri urbani, oltre alla possibilità di partecipare con raggruppamenti di batterie ai servizi di rete gestiti da Terna.

L’Italia su questi temi è un cantiere aperto, in rapida evoluzione. Basti ricordare che nel giro di due-tre anni il numero dei piccoli sistemi di accumulo (SdA) presenti nel nostro paese è cresciuto notevolmente, tanto da superare 18.000 installazioni a marzo 2019 secondo le elaborazioni – riassunte nel grafico sotto – di Anie Rinnovabili su dati della piattaforma Gaudì di Terna.

Si tratta per la quasi totalità di sistemi con capacità inferiori a 20 kWh sempre abbinati a impianti fotovoltaici residenziali. Solo nel mese dia marzo si sono installati 923 SdA, il 10% in più rispetto al mese precedente.

Ma quali sono nel breve termine le prospettive dello storage residenziale per il mercato italiano?

 

…ne parliamo con Luigi Mazzocchi (RSE – Ricerca sul Sistema Energetico)

Gli ultimi dati diffusi da Anie Rinnovabili fanno ben sperare per la crescita dello storage residenziale in Italia. Di che numeri parliamo?

Per i piccoli impianti sotto 20 kW parliamo di una potenza totale connessa di circa 80 MW con una capacità di accumulo sui 170 MWh. Sono migliaia di unità, con una concentrazione particolarmente elevata in Lombardia, che conta quasi 6.500 sistemi di accumulo installati alla fine dello scorso marzo per 25 MW/50 MWh. Lo stimolo è arrivato soprattutto dai bandi regionali, che hanno messo in campo 9 milioni di euro in contributi a fondo perduto con cui coprire fino al 50% delle spese sostenute per acquistare batterie per il fotovoltaico residenziale, con un massimale di 3.000 euro.

Intanto anche i costi degli accumuli sono diminuiti. Fino a che punto?

Una stima del costo medio “finito” per un cliente domestico può essere sui 700-800 euro per kWh considerando sia il costo della batteria sia quello per l’installazione. E un paio di anni fa si stava ampiamente sopra mille euro.

Qual è la dimensione “giusta” per una batteria da abbinare al fotovoltaico di casa?

Di solito l’impianto va dimensionato con un rapporto, tra potenza di picco del fotovoltaico e capacità della batteria, di uno a tre per ottimizzare l’autoconsumo. Ad esempio un fotovoltaico da 3 kW con un accumulo da 8-9 kWh può essere la soluzione più adeguata alle esigenze del residenziale. Così l’autoconsumo può salire al 50-60% in media del fabbisogno energetico complessivo di un’abitazione.

Investire nell’accumulo è già una scelta conveniente sotto il profilo economico?

Si fa ancora fatica a ripagare un sistema di accumulo esclusivamente con il vantaggio economico dell’autoconsumo. In Lombardia, in base alle nostre simulazioni, contando anche il sostegno delle detrazioni fiscali e dei contributi regionali a fondo perduto, come RSE abbiamo stimato che l’investimento nel fotovoltaico con batterie si ripaga in circa 5-6 anni in media.

Cosa si può fare per rendere più appetibile l’acquisto di batterie?

Una strada molto interessante è la possibilità di partecipare al mercato per i servizi di dispacciamento con aggregati di piccoli impianti residenziali, tramite le UVAM, Unità Virtuali Abilitate Miste, in modo da utilizzare la capacità eccedente delle batterie, non sfruttata nell’autoconsumo individuale, per fornire determinati servizi alla rete. In Lombardia qualche centinaio di utenti è pronto a entrare nei primi progetti sperimentali di partecipazione alle UVAM con batterie residenziali aggregate. E con la remunerazione di questi servizi è possibile migliorare il ritorno economico dell’investimento.

Anche in Italia si parla sempre più spesso di autoconsumo collettivo e comunità energetiche, ma questa tendenza fa fatica a decollare. Come mai?

Finora in Italia è stato possibile fare autoconsumo solo in modalità autoproduzione o al massimo one-to-one, “da uno a uno”, ma la recente direttiva Ue indirizza gli Stati membri verso nuovi schemi di autoconsumo collettivo “da uno a molti” con la possibilità, ad esempio, di realizzare un impianto fotovoltaico sul tetto di un condominio, per poi sfruttare l’energia prodotta per i fabbisogni dei singoli appartamenti. Qui abbiamo stimato un tempo medio di ritorno abbastanza buono, circa 7-8 anni nell’ipotesi del solo autoconsumo senza alcun incentivo.

 

Gli appuntamenti di Key Energy 2019 sullo storage

5 novembre – ore 14 / 18

Digital energy with case histories on smart grids, renewables, storage systems, electric charging, smart building

6 novembre – ore 14 / 17

Le novità del Libro Bianco 3.0 sugli accumuli elettrochimici

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