Fotovoltaico e agricoltura: la fantasia al potere non funziona, meglio fatti e dati

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Le dichiarazioni sul FV del ministro dell'Agricoltura Patuanelli sono scoraggianti. Solare e coltivazioni devono e possono convivere, come mostrano vari esempi.

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Nel 1968 molti auspicavano che la fantasia andasse al potere. Fra gli slogan di maggiore successo ce n’era uno che diceva: “La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà!”.

A mezzo secolo di distanza, la fantasia di populismi vari non ha distrutto il potere, lo ha anzi rivestito, sotto diversi colori e in diversi paesi, e a seppellirci rischia di essere non una risata, ma le fantasie stesse di chi fa scarso ricorso ai fatti, alla scienza e ai dati, da cui devono scaturire le azioni necessarie per attenuare i mutamenti climatici.

È un po’ questa la situazione in cui si trova l’Italia in questa fase, con un neo-ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, ex ministro dello Sviluppo economico, apparentemente incline a dare più peso alle suggestioni ideologiche che non alle evidenze empiriche e scientifiche.

Patuanelli si è infatti recentemente detto sostanzialmente contrario alla convivenza di agricoltura e fotovoltaico.

“Credo che si debba abbandonare il percorso del fotovoltaico a terra che incide troppo sulla produzione agricola”, ha detto durante un recente convegno organizzato da Legambiente.

“Attraverso il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, ndr), si stanno studiando soluzioni per gli impianti fotovoltaici sospesi, al di sotto dei quali è possibile coltivare alcune colture che traggano anche beneficio dall’ombra portata dagli impianti. Ma è una tecnologia ancora molto onerosa e che bisogna sviluppare”, ha aggiunto.

Tale orientamento di Patuanelli è in contraddizione con la necessità di rafforzare il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), recentemente sottolineata anche dallo stesso ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, come raccontato in un precedente articolo.

Il contributo che l’agricoltura come settore può dare da questo punto di vista è legato “all’istituzione delle coperture e alla realizzazione di impianti fotovoltaici sulle coperture degli stabilimenti che ci sono”, e dunque non a terra, ha detto l’ex titolare del MiSE.

Tale visione non trova giustificazione né nella realtà produttiva ed economica, né nei principi teorici e tecnici che presiedono al dispiegamento del fotovoltaico in agricoltura e sui terreni agricoli.

Tanto per fare un paio di esempi, in Francia, una serra fotovoltaica ha prodotto contestualmente 3,1 GWh di energia e 4 tonnellate per ettaro di asparagi. Si tratta di una serra solare costruita dallo sviluppatore francese Tenergie nel 2017, nel sud del paese, con una potenza installata di 2,1 MW.

“Quattro anni dopo la messa in funzione di questa serra di 33.000 m², il nostro feedback è positivo, con una resa di quattro tonnellate/ettaro per questo primo anno di coltivazione di asparagi verdi della Provenza, dopo un periodo di coltivazione diversificata, tra cui zucchine, rape, [e] patate dolci durante i primi tre anni e una produzione di 3,1 GWh di elettricità verde, che è l’equivalente del consumo di 700 famiglie, escluso il riscaldamento”, ha scritto in una relazione la società, secondo cui, nel 2022, la resa agricola dovrebbe aumentare a nove tonnellate per ettaro.

Tra i vantaggi di questo concetto di serra, l’installazione di moduli fotovoltaici permette di ridurre l’ombra proiettata sul terreno (36% contro 52% per una serra tradizionale).

La luce viene sfruttata meglio grazie all’uso di policarbonato filtrante e diffondente, migliorando così l’uniformità della luce sul terreno. La ventilazione basata su un sistema di apertura del tetto, accoppiato a un’apertura motorizzata su tutto il lato, controllata in base al clima interno e alle condizioni meteorologiche esterne, permettono un controllo accurato del clima.

Tornando in Italia, l’azienda energetica tedesca Steag vuole costruire tre impianti fotovoltaici per un totale di 244 MW in diversi uliveti della Puglia. Si tratta di progetti agrovoltaici non incentivati che mirano a vendere elettricità attraverso accordi privati di compravendita, i cosiddetti “Power purchase agreement” (PPA). La distanza tra i filari dell’uliveto e l’impianto fotovoltaico è stata concepita sia per evitare l’ombra che per consentire il passaggio dei macchinari necessari per la coltivazione degli ulivi.

La sfida principale nella costruzione di questo tipo di progetti agrovoltaici sarà mantenere la massima efficienza di entrambi i sistemi di produzione, ha detto l’addetto stampa di Steag, Daniel Mühlenfeld, a PV Magazine. “Ci sono costi aggiuntivi per integrare il fotovoltaico negli uliveti, ma ci sono anche entrate aggiuntive”, ha detto.

L’approvazione finale per i tre impianti dovrebbe essere ottenuta tra il terzo o il quarto trimestre di quest’anno, con la costruzione prevista alla fine dell’anno, sempre che non ci siano ricorsi dell’ultimo minuto alla giustizia amministrativa o al Presidente della Repubblica, da parte di associazioni o altri soggetti convinti che qualunque tentativo di installare un impianto energetico rinnovabile di grandi dimensioni sia di per sé uno sfregio alla patrie bellezze.

L’idea che per raggiungere gli obiettivi climatici europei siano sufficienti tetti e coperture, senza dover toccare i terreni agricoli, è infatti falsa e fuorviante, secondo Legambiente, come detto anche in un precedente articolo.

Secondo le stime di Legambiente, Greenpeace, Italia Solare e Wwf, per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del fotovoltaico dell’Italia servono 80 GW di installazioni: almeno il 30% circa da realizzare su tetti e terreni industriali o contaminati; la parte restante su 50-70.000 ettari di terreni agricoli, che rappresentano solamente lo 0,4-0,6% della superficie agricola utile (SAU) italiana; qualcosa di sideralmente lontano dagli scempi e cannibalizzazione di territori paventati da chi si affida a idee preconcette e non ai dati.

“Il raggiungimento degli obiettivi climatici – commenta Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – passerà dalla quantità di fonti rinnovabili che riusciremo a installare nei territori. Il maggior contributo deve arrivare proprio da solare e eolico, con tassi di installazione decisamente superiori a quelli attuali. Molti studi dimostrano come tetti, coperture e superfici marginali non siano assolutamente sufficienti al raggiungimento di tali numeri entro scadenze coerenti con i target europei. Per questo sarà necessario utilizzare anche altre superfici, come quelle agricole, coniugando così il lavoro agricolo con quello energetico”.

Lo stesso concetto è stato espresso da Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, una delle maggiori associazioni imprenditoriali di settore. Rispondendo via Twitter all’affermazione di Patuanelli, secondo cui “il fotovoltaico a terra, incide troppo”, Re Rebaudengo ha replicato che “non è così”, poiché “35 GW di fotovoltaico a terra impiegherebbero solo 0,3% di superficie agricola totale oppure soltanto 1,4% di superficie agricola non utilizzata”.

È tempo, insomma, di abbandonare le fantasie.

Come sottolineato anche da Legambiente e La Nuova Ecologia nella loro campagna “Unfakenews”, è assolutamente urgente che il governo approvi al più presto norme adeguate e uniformi, che permettano una realizzazione degli impianti corretta e trasparente. Anche alla luce delle esperienze passate, in parte negative, riguardo all’installazione del fotovoltaico.

Le norme devono garantire la buona conduzione dell’agricoltura negli ambiti interessati da installazioni agrovoltaiche, per prevenire approcci speculativi che potrebbero mettere a rischio la continuità dell’attività agricola.

È necessario, infine, che governo, regioni e comuni nel loro insieme superino il riflesso condizionato che spesso fa erroneamente percepire il fotovoltaico e l’eolico di grande taglia come qualcosa di intrinsecamente contrario al paesaggio.

Se si vogliono evitare la crisi climatica e il depauperamento ambientale ed economico delle campagne nei decenni a venire, si deve poterne utilizzarne adesso l’1-2% per grandi impianti a energie rinnovabili.

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