Il fascino perduto del nucleare

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In Italia si torna a parlare di nucleare, anche per alcune poco felici dichiarazioni del ministro Cingolani. Qualche dato serve per fare chiarezza su questa tecnologia in lento ma costante declino.

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Improvvisamente si torna a parlare in Italia, anche per alcune poco felici dichiarazioni del ministro Cingolani, di energia atomica.

È bene fare chiarezza su questo tema. Intanto, un dato. La quota di elettricità nucleare nel mondo è in continua riduzione, dal 17,5% nel 1996 al 10,1% nel 2020.

Le nuove centrali atomiche sono infatti diventate sempre più care e in alcuni paesi gli impianti esistenti faticano a reggere la concorrenza delle rinnovabili e del metano.

Questo è il caso degli Stati Uniti, il paese leader con 94 reattori in funzione, dove ben 39 impianti hanno già chiuso. E, malgrado nel 2021 siano stati stanziati 6 miliardi di dollari per evitare altre dismissioni, alcune società ritengono questo supporto ancora insufficiente.

Dati che confermano ulteriormente il fallimento del programma nucleare degli Stati Uniti, considerato da alcuni il più grande disastro manageriale nella storia degli affari (senza peraltro, incredibilmente, aver affrontato il tema di un deposito delle scorie nucleari).

Mentre nel mondo ci sono attualmente 415 reattori – sette unità in più rispetto alla metà del 2020, principalmente a causa della costruzione di nuovi impianti in Cina – si prevede che 5-10 impianti verranno ritirati ogni anno nei prossimi 30 anni, mentre, nella migliore delle ipotesi, potrebbero essere costruiti quattro nuovi impianti ogni anno, il che indica un declino lento ma costante.

Peraltro, va sottolineata una variabile strategica in una fase di crisi climatica, quella dei tempi e del contributo concreto delle diverse tecnologie.

Nella stessa Cina, la crescita della potenza di energia solare ed eolica nell’ultimo decennio sono risultate decisamente più significative rispetto al contributo del nuovo nucleare.

Per quanto riguarda i reattori in costruzione in Europa e negli Usa i risultati sono impietosi, con molti anni di ritardo e costi triplicati. Quando nel 2010 è stato annunciato il progetto della centrale nucleare di Hinkley Point nel Regno Unito, il prezzo del kWh nucleare era inferiore di un terzo rispetto a quello dell’eolico offshore. Ora questa differenza è stata invertita, con l’energia eolica offshore nel Regno Unito con costi dimezzati rispetto a quelli previsti per il reattore nucleare.

Il fatto è che il costo per la costruzione e la manutenzione degli impianti atomici è aumentato del 33% nell’ultimo decennio, mentre il costo comparabile per le infrastrutture per l’energia solare è diminuito del 90% in quel periodo e l’eolico del 70%.

Questo spiega come i nuovi investimenti in elettricità rinnovabile hanno superato i 256 miliardi di euro nel 2020, un valore 17 volte superiore agli impegni di investimento globali del nucleare.

E, guardando alla UE, nel 2020 per la prima volta le fonti rinnovabili hanno sorpassato sia la produzione nucleare che quella termoelettrica.

La situazione è molto complicata anche per i reattori di quarta generazione. I programmi sono stati avviati all’inizio del secolo, con continui differimenti e difficili prospettive.  Lo stesso Amministratore dell’Enel, Francesco Starace, ingegnere nucleare, ha considerato irrealistico un ritorno all’atomo, incluse le nuove soluzioni in fase di ricerca.

I sostenitori dei piccoli reattori affermano che la modularità e la produzione in fabbrica consentirebbe l’utilizzo di linee di assemblaggio riducendo così i costi (riduzione al momento del tutto teorica). Ma questo approccio presenta notevoli criticità. Se un errore in un reattore prodotto in serie dovesse causare problemi di sicurezza, potrebbe essere necessario richiamare l’intero lotto, come nel caso dei jet di linea Boeing 737 Max e 787 Dreamliner.

L’articolo è tratto dall’editoriale del numero 4/2021 della rivista bimestrale QualEnergia che sarà pubblicata a breve.

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