Eni, una decarbonizzazione solo “di facciata”

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Nel giorno dell’assemblea degli azionisti, le dure critiche di Greenpeace ai piani della partecipata pubblica.

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Nonostante gli annunci, Eni sta rimandando la sua decarbonizzazione, mentre aumenterà le estrazioni di fossili e le emissioni almeno fino al 2024.

La controllata pubblica continua infatti ad avere gli idrocarburi come core business, sulle rinnovabili si dà obiettivi modesti e confida troppo in soluzioni controverse per ridurre il proprio impatto, come cattura della CO2, progetti di riforestazione, idrogeno blu e bioraffinerie.

Queste le motivazioni che, questa mattina all’alba, nel giorno dell’assemblea degli azionisti Eni, hanno spinto attiviste e attivisti di Greenpece ad arrampicarsi su un palazzo che si trova di fronte al quartier generale di Eni a Roma, per appendere uno striscione con il messaggio “Eni killer del clima” e la testa del Cane a sei zampe che brucia il Pianeta.

Un’azione che segue quella di ieri, quando nel laghetto antistante la sede del colosso petrolifero italiano è stata portata, sempre da Greenpeace, la riproduzione galleggiante di un iceberg che si scioglie, mentre sempre oggi per gli stessi motivi dalle 9 alle 13, in Piazza della Stazione Enrico Fermi si sta svolgendo un presidio organizzato da Fridays for Future, Extinction Rebellion Italia, Rise UP 4 for Climate Justice e NOalCCS – Il futuro non si sTocca.

Eni, ricordiamo è per circa il 30% di proprietà pubblica, tramite MEF e CDP, e per il 48% circa di investitori istituzionali, che dovrebbero avere un’attenzione particolari agli obiettivi climatici.

Le critiche degli ambientalisti nascono soprattutto dall’analisi del nuovo piano di investimenti 2021-24 e dell’aggiornamento del piano di decarbonizzazione pubblicati dall’azienda: si veda il report realizzato da Merian Research per Fondazione Finanza Etica, Greenpeace Italia e ReCommon che alleghiamo in basso.

Decarbonizzazione rimandata

L’obiettivo di emissioni nette zero al 2050 annunciato da Eni, si legge nell’analisi, è innanzitutto indebolito dal ricorso a compensazioni delle emissioni (anziché tagli reali), ad esempio attraverso progetti legati all’uso delle foreste o tramite tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS).

Altra dura critica è sui tempi: l’azienda prevede di abbattere solamente il 25% delle emissioni entro il 2030, lasciando il 75% della decarbonizzazione dopo tale anno. “In questo modo Eni ignora le indicazioni della comunità scientifica, che indica gli anni da qui al 2030 come decisivi”, commentano da Greenpeace.

Aumento delle estrazioni (e delle emissioni)

Nel breve periodo, emerge dal piano del Cane a sei zampe, Eni ha in programma addirittura di incrementare le estrazioni di gas e petrolio, con conseguente aumento delle emissioni: la produzione di idrocarburi per tutta la durata del piano, cioè dal 2021al 2024, crescerà a una media del 4% all’anno, superiore al 3,5% medio annuo previsto nel piano precedente, relativo al periodo 2019-2025.

La volontà dell’azienda di continuare a puntare su gas e petrolio emerge chiaramente anche dall’analisi del Capex (capitale di investimento) che, nel periodo 2021-24, verrà dedicato per il 65% all’estrazione di idrocarburi, e per appena il 20% a investimenti definiti come “green”, tra cui vengono però inclusi anche il comparto retail gas & power, e impianti potenzialmente problematici da un punto di vista ambientale e climatico come le bioraffinerie.

In totale il capex 2021-2024 sarà pari a circa 28 miliardi, di cui dunque 18 andranno a gas e petrolio.

Poche rinnovabili e troppi carbon sink

Eni – mostra l’analisi del piano – prevede di installare entro il 2024 appena 4 GW di rinnovabili che dovrebbero divenire 15 GW entro il 2030. Per fare un paragone con altre grandi aziende del settore del petrolio e del gas: British Petroleum ha un obiettivo di 50 GW entro il 2030, mentre – facendo riferimento alla stessa data – la francese Total ha dichiarato di puntare a quota 100 GW.

Dove la partecipata pubblica accelera è invece nei cosiddetti carbon sink o pozzi per l’assorbimento della CO2, cioè soluzioni, spesso di dubbia efficacia per ridurre i gas serra solo dopo averli rilasciati: la CCS dovrebbe passare passa dalle 5 MTPA (milioni di tonnellate annue) previste nel piano precedente a 50 MTPA l’anno nel 2050, anche se non ci sono prove dell’affidabilità tecnica, degli impatti ambientali e della sostenibilità economica di tale tecnologia.

Cresce poi, da “oltre 30” MTPA del piani precedente a 40 MTPA al 2050, anche l’affidamento che si fa sull’assorbimento dei gas serra tramite investimenti in progetti REDD+, cioè progetti di gestione delle foreste, che in generale spesso si sono dimostrati poco trasparenti.

In generale i “carbon sink“, che nel piano del 2020 pesavano per circa il 9% dell’abbattimento dell’80% di emissioni in termini assoluti al 2050 (su valori 2018), peserebbero ora per circa il 20% sull’abbattimento totale delle emissioni al 2050: “il ricorso ai carbon sink permette all’azienda di poter parlare di un obiettivo di emissioni nette zero al 2050, quando in realtà prevede per tale anno di emettere ancora almeno 90 milioni di tonnellate di gas serra”, osservano da Greenpeace.

Idrogeno blu e bioraffinerie

Suscitano perplessità poi anche i programmi di Eni di produrre idrogeno blu, ottenuto da gas e che richiede la cattura della CO2 emessa nel processo, mentre nemmeno la trasformazione delle raffinerie in bioraffinerie, usando materiali come oli vegetali o scarti per produrre carburante, convince gli analisti.

Eni prevede entro il 2023 di sostituire l’olio di palma usando l’80% rifiuti e residui entro il 2024. Per alcuni dei prodotti che si vogliono usare, in particolare l’UCO (Used Cooking Oil) e il POME (Palm Oil Mill Effluent) ci sono però “notevoli rischi di carattere ambientale”, fanno notare da Greenpeace, ricordando ad esempio il “falso” UCO che in realtà è di olio di palma o di soia grezzo, importato in Italia dalla Cina.

  • L’analisi del piano Eni di Merian Research per Fondazione Finanza Etica, Greenpeace Italia e ReCommon (pdf qui):

5be9eb50-20210506_analisi_finale_eni

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