L’energia in Africa: perché le rinnovabili potrebbero marginalizzare le fonti fossili

Uno studio dell'Università di Oxford prevede che tra 10 anni due terzi dell’elettricità continuerà ad arrivare da combustibili fossili. Non sono dello stesso avviso altri esperti che lavorano sul campo.

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A prima vista l’Africa sembra l’Eden potenziale delle energie rinnovabili: grandi spazi liberi inondati dal sole, coste ventose, tanti corsi d’acqua, grande produttività biologica, giacimenti geotermici.

La popolazione africana è poi ancora in gran parte rurale, dispersa in villaggi lontani dalle reti, che beneficerebbero quindi di una elettrificazione basata su minigrid reti locali alimentate da sole, vento e mini idro.

Inoltre, essendo il continente più svantaggiato da un punto di vista dei consumi (l’americano medio usa 12 MWh l’anno di elettricità, contro i 5 di un italiano, gli 1,5 di un egiziano e gli 0,08 di un etiope), è anche nella posizione di dare l’energia alla sua popolazione passando direttamente alle rinnovabili, proprio come ha fatto con la telefonia, saltando le reti fisse e passando direttamente a quelle cellulari.

Il tutto facilitato dal crollo dei prezzi delle tecnologie solari, eoliche, mini idro e degli accumuli, che oggi, in condizioni climatiche come quelle africane, forniscono energia competitiva di quella di nuove centrali a fonti fossili.

Per tutte queste ragioni IRENA, l’agenzia Onu per le rinnovabili, in un suo rapporto del 2019 stima realistico che al 2030 l’Africa produca la metà dell’elettricità con le fonti pulite, mentre oggi siamo a circa il 20%, con solo il 4% che arriva da sole e vento.

Su questa distesa di ottimismo, piomba però ora come una doccia fredda lo studio condotto da Galina Alova, esperta di sostenibilità dell’Università di Oxford, che con i colleghi Philipp Trotter e Alex Money ha voluto fare un “controllo di realtà” di queste rosee previsioni, usando una tecnica piuttosto originale: ha chiesto un parere a un sistema ad Intelligenza Artificiale.

Come riportato su Nature Energy, i ricercatori hanno raccolto dati su 3000 progetti passati di centrali energetiche nei 54 paesi africani, sia a fossili che rinnovabili: tipologia, dimensione, longevità, produttività, costo, connessione alla rete, ai profitti, fonte dell’investimento e ogni altro dato che è stato possibile reperire.

Il tutto è stato dato in pasto alla AI, con lo scopo di far sì che individuasse quale mix di fattori portasse al successo un progetto nel contesto africano, e quale mix, invece, lo facesse fallire.

Una volta analizzato il passato, è stato chiesto alla AI di prevedere quale di 2500 progetti in cantiere da qui al 2030 per nuove centrali elettriche, avesse più chance di concretizzarsi.

E l’Intelligenza Artificiale ha emesso il suo deludente verdetto: tra 10 anni solo il 13% dell’energia elettrica consumata in Africa arriverà da sole e vento, mentre l’idroelettrico salirà solo al 17%. I due terzi dell’elettricità continuerà ad arrivare da combustibili fossili.

«La ricerca ha mostrato che le politiche dei vari Stati verso le rinnovabili hanno poca influenza; sono soprattutto i fattori legati al progetto stesso a decidere se avrà successo», spiega Alova

«Nel caso delle rinnovabili sembrano avere più chance i piccoli progetti, piuttosto che i grandi, e soprattutto quando hanno dietro dei finanziatori pubblici come la World Bank, piuttosto che privati, perché questi ultimi tendono a ritirarsi davanti ai problemi, che in Africa non mancano mai. Tutto ciò rallenta di molto la crescita di potenza e produzione “verde” nel continente».

Così, concludono i ricercatori, «anche se assisteremo a un notevole espandersi degli impianti solari in Africa, trainati dal loro costo sempre più competitivo, alla fine il vero vincitore della corsa sarà il gas naturale, che quasi raddoppierà la sua produzione elettrica attuale».

Ma sarà proprio così?

Ne dubita l’economista Antonio Passero, manager per l’Africa sub sahariana della fondazione Res4Africa, che, finanziata da grandi player del mondo energetico, elabora studi e piani strategici per diffondere in Africa le rinnovabili.

Secondo l’organizzazione il crollo dei costi delle fonti “verdi”, sta provocando una rivoluzione difficile da invertire in molte parti del continente.

«Il caso più eclatante, oltre a quello, maggiormente noto del Marocco e delle sue grandi centrali solari, è quello del Sud Africa, che al momento, oltre a essere la terza economia africana dopo Nigeria ed Egitto, è anche uno dei principali emettitori di CO2 del continente, usando fortemente il carbone. Ebbene, ora che le centrali a fossili stanno arrivando a fine vita, il governo sudafricano ha deciso di rimpiazzarle via via con 40 GW di centrali solari, eoliche ed idroelettriche, rispettando così i suoi impegni nel trattato di Parigi».

«Interessante anche il caso dello Zambia, paese che dipende fortemente dall’energia idroelettrica, e che, viste le crescenti siccità- ci dice Passero – ha deciso di diversificare le fonti, puntando soprattutto al solare. Altri esempi simili si hanno in Ghana, Senegal, Algeria e altre nazioni africane».

Ma, se puntano su sole e vento, come pensano di risolvere il problema dell’intermittenza di queste fonti, soprattutto considerando che i paesi africani hanno reti piuttosto isolate fra loro, e quindi non possono contare molto su import ed export di elettricità?

«Affiancandole con fonti programmabili, come l’idroelettrico, solare termoelettrico, o, la geotermia, su cui investono, per esempio, Kenia ed Etiopia. Ma anche costruendo impianti dotati di batterie, i cui prezzi stanno crollando. I nostri studi mostrano anche come un adeguato mix di solare ed eolico, riesca a coprire i consumi quasi tutto l’anno».

Ma allora, se non sono i prezzi e l’intermittenza, quali sono i problemi dello sviluppo delle rinnovabili in Africa?

«Essenzialmente l’instabilità politica, la corruzione, i conflitti, che rendono rischiosi gli investimenti. Questo limita l’accesso ai capitali, ed è per questo che stiamo promuovendo una grande iniziativa europea per la garanzia dei rischi degli investimenti in Africa, che dovrebbe sbloccare molti finanziamenti per progetti di rinnovabili».

L’Africa però ha ancora 510 milioni di persone senza accesso alla rete, non pensate che siano meglio i piccoli progetti di microgrid alimentate da fonti locali, piuttosto che replicare il modello occidentale delle grandi centrali elettriche, sia pure a rinnovabili?

«Beh, le grandi centrali hanno l’enorme vantaggio dell’economia di scala: se vogliamo prezzi competitivi dell’energia verde, bisogna puntare ai grandi impianti. Inoltre, è vero che in Africa ci sono molti villaggi isolati, ma anche grandi città in tumultuosa crescita, con un’enorme fame di energia: per soddisfarla servono le grandi centrali. Questo non toglie che dove portare la rete costa tanto in costruzione e manutenzione, siano più adatte le minigrid. Le due modalità possono convivere, ma bisogna decidere razionalmente, valutando costi e benefici, non solo pensare a mettere la bandierina di un mini progetto a rinnovabili, che non cambia nulla del quadro generale».

In un modo o nell’altro l’Africa avrà comunque bisogno di produrre enormi quantità di energia per assicurare un decente livello di vita a una popolazione che raddoppierà entro 30 anni.

Secondo lo studio dei ricercatori di Oxford continuerà a puntare soprattutto sui fossili: come vi spiegate che le loro previsioni siano così diverse dalle vostre?

«Credo che il metodo che hanno usato, basandosi su previsioni del mix energetico e su dati degli impianti costruiti nei decenni passati, non tenga conto che siamo nel bel mezzo di una transizione tecnologica rivoluzionaria: oggi le rinnovabili, anche con gli accumuli, sono più competitive dei fossili e i progetti di solare o eolico attuali, sono ben più solidi e affidabili di quelli pionieristici del passato. Dando alla AI dati così “antiquati”, non potevano che ottenere da lei una previsione altrettanto “antiquata”. Ma vedrete che la realtà sarà ben diversa» conclude Passero.

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