Vedere l’entusiasmo del nostro governo per il “grande contributo” dato alla difesa di quelle vecchie e inefficienti caldaie che sono le nostre automobili e leggere i commenti infervorati di cittadini a favore di “diesel e benzina for ever” mette a disagio, ma ci racconta di come viaggia la comunicazione su questi temi.
Web e social media, lo sappiamo, sono anche fonti di disinformazione. Anche i nostri leader politici spesso diffondono inesattezze, falsità, bugie e negano le verità appurate dalla scienza. E molti scelgono di crederci, magari per confermare quello che è il proprio bias cognitivo, cioè per il desiderio di vedere confermate le proprie convinzioni, a volte basate sul sentito dire.
Eppure, per capire e affrontare la sfida della decarbonizzazione e dei cambiamenti climatici dovremmo solo ricercare i fatti e la verità scientifica.
Come scrivevano Christiana Figueres e Tom Rivett-Carnac nel libro “The future we choose”, il ruolo della politica è essenziale davanti al bivio della Storia in cui ci troviamo. Allinearsi con gli scienziati del clima, al di là di ogni loro appartenenza di partito, dovrebbe essere la scelta più sensata.
I politici, a tutti i livelli, hanno quindi un’enorme responsabilità, che però ignorano: possono scegliere di affrontare attivamente e razionalmente insieme al tessuto produttivo e ai cittadini la crisi climatica ed energetica, oppure non fare nulla e peggiorare la vita delle generazioni future.
In quest’ultimo caso si renderebbero colpevoli di un crimine contro l’umanità, non solo per non aver provato a mitigare la crisi climatica, ma anche per aver creato le condizioni per crescenti forme di oppressione, disuguaglianze, guerre e tirannie.
La Figueres, che ha ricoperto il ruolo di Segretario esecutivo dell’UNFCCC dal 2010 al 2016, e Rivett-Carnac, suo consulente in qualità di diplomatico internazionale (entrambi hanno portato alla firma degli accordi di Parigi), raccontano come gli interessi corporativi delle fonti fossili e dell’industria tradizionale abbiano riversato somme incredibili alla politica proprio per influenzarli sulle scelte.
E i politici (eletti da noi), ricordano, hanno ricambiato; sovvenzionandoli a vario titolo e proteggendo i loro business più dannosi per il clima e la salute.
Ad esempio, solo l’industria mondiale delle energie fossili riceve in media ogni anno circa 600 miliardi di dollari. A queste risorse si aggiunga che la maggior parte delle smisurate spese militari mondiali vengono investite proprio per proteggere pozzi e infrastrutture di petrolio e gas. “La follia delle armi e della guerra”, come ha detto più volte Papa Bergoglio.
Per non parlare poi degli enormi profitti che queste corporation ottengono anche nei peggiori momenti di crisi, quando il peso economico e sociale viene scaricato sulle popolazioni e soprattutto sulle fasce più deboli. Come non fare riferimento al caro energia e all’inflazione da questo prodotta dopo un anno di guerra e agli extra profitti impressionanti tutti a loro vantaggio.
La grande stampa, spesso legata a filo doppio con queste multinazionali, è di solito la cassa di risonanza dei loro messaggi, esaltando quella disinformazione dell’opinione pubblica e infondendo dubbi sulla reale emergenza della transizione energetica e sulle possibili soluzioni.
Interessi economici, politica e media, un’alleanza potentissima da sempre, come dimostrano i continui ostacoli a ogni sorta di tentativo radicale di uscire dal modello novecentesco di generazione energetica centralizzata e come confermano le recenti reazioni di fronte alla decisione europea di sospendere la vendita di veicoli a motore endotermico tra ben 13 anni, cioè una mezza generazione.
Nessuno nega la complessità di decisioni economiche e scelte tecnologiche che devono puntare ad azzerare le emissioni in meno di 30 anni e che siano al contempo eque per tutti. Un processo tutto da elaborare. Ma ignorare i rischi guardando al passato che ci ha portato fin qui è da schizofrenici.
Come possiamo reagire? Servirebbe una maggiore presa di coscienza e poi una reazione da parte dei cittadini con proteste non violente, una bella dose di ottimismo (forse la parte più difficile) e, soprattutto, una maggiore collaborazione e condivisione di progetti e iniziative dal basso per la diffusione di fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica e per la battaglia contro i mutamenti del clima. Forse non basterà, ma sarà comunque essenziale.
Quella “moltitudine inarrestabile” (e nascosta), di cui scriveva Paul Hawken nel suo libro del 2009, cioè quei milioni di uomini e donne che già oggi agiscono nella convinzione che le ferite alla natura siano ferite inferte a ciascuno di noi, va portata allo scoperto e amplificata.
L’obiettivo è dare forza e voce ad esempi replicabili, non certo ad approcci meramente “ideologici”, come qualcuno spudoratamente continua a blaterare per difendere l’indifendibile, ma per una causa più alta: la difesa della specie umana.
Il tempo a nostra disposizione è sempre più scarso e dobbiamo uscire in fretta dall’era degli stupidi (The Age of Stupid, il documentario).
Questa vicenda del rinvio del voto sul phase out dei motori a combustione interna è il risultato di una vastissima azione di lobby, messa in campo a livello EU e contemporaneamente di molti importanti paesi membri.
Chiaramente l’industria automobilistica tradizionale e quella dei combustibili ci vedono un grandissimo pericolo. E ci credo, perchè è una falla enorme nel vascello del business as usual.
Si tratta di un’offensiva mediatica e politica a tutto campo senza precedenti. Ma è anche un gesto di disperazione. Di disperata resistenza al cambiamento.
Sappiamo che le hanno provate tutte: negare, distrarre, bloccare, ritardare. Sempre però sotto traccia. Venire allo scoperto così è una novità. Usare governi eletti democraticamente come un utensile qualunque, disseminare bugie indifendibili con ogni canale, è un’ultima ratio, che rischia di mettere in imbarazzo istituzioni troppo grandi per essere gestite.
Almeno questo è quello che speriamo.
Si tratta a questo punto di esporre con chiarezza queste istituzioni davanti ai cittadini, per mostrare a chi devono rispetto, se ai loro elettori o a gruppi ristretti di influenza economica.
Mi chiedo anche, a questo punto, se questi decision maker, questi CEOs, questi gestori di fondi che investono nelle aziende automotive e fuel, abbiano chiaro il loro mandato e abbiano un minimo di visione, o se invece reagiscano con un riflesso condizionato, di opporsi comunque a qualunque cambiamento di business model.
Cambiare tutto in 12 anni, nel 2035, è un tempo ragionevole e consente uno sviluppo organico dell’intera industria e dell’infrastruttura che l’accompagna. I CEO di oggi, non saranno quelli del 2035. Opporsi a prescindere non li aiuterà a restare sulla cresta dell’onda. Non aiuterà i propri azionisti, non ridurrà i rischi dell’industria.
Per chi lavora questa gente? Con quale processo di selezione sono arrivati nelle loro posizioni di forza?
Ma queste sono domande per un’altra storia…
Io penso che ci si debba spettare niente dalla politica (p minuscola), la Storia insegna che i governanti (re, regine, imperatori, politici, ecc) raramente hanno cambiato il corso delle cose, il fascino del mantenimento dei propri privilegi e interessi è troppo forte per poterci rinunciare. Non possiamo aspettarci un cambio di direzione da aziende come Enel, Eni, Snam che hanno invece solo l’interesse ad acquisire commesse e denaro per autoalimentarsi. Ecco perché c’è tutta questa corsa frenetica verso l’idrogeno: solo grosse aziende con investimenti enormi, meglio se pubblici, possono sviluppare queste tecnologie.
Io penso che tutto debba partire, come è sempre stato nella Storia, dal basso, da noi cittadini. Non farei neanche un discorso troppo legato ai cambiamenti climatici perché si rischia di politicizzare la questione, ma invece parlerei di indipendenza energetica e quindi economica di ciascuno di noi e delle nostre aziende. Oggi giorno il 95% dei fabbisogni energetici possono essere coperti con le tecnologie attuali (fotovoltaico, solare, eolico, idroelettrico, ecc) non ha alcun senso spendere risorse per sviluppare altre forme di produzione energetica (come il nucleare per esempio). Ma ripeto, la rivoluzione è solo a nostro carico, aspettare le decisioni politiche è un alibi per non fare niente e purtroppo in Italia questa è una pratica diffusa.