Per far arrivare realmente in bolletta i vantaggi delle rinnovabili, serve una governance chiara e meccanismi di mercato efficienti. Invece, stiamo assistendo a una politica energetica apparentemente sconnessa.
Le Fer sono frenate e rese meno convenienti di quel che potrebbero essere da restrizioni e incertezza. Canali per portare il risparmio delle rinnovabili ai consumatori, come i prezzi zonali e la partecipazione alla flessibilità, non sono sfruttati come si potrebbe.
Si continua invece a investire sulla fonte che più ci condanna a pagare caro il chilowattora, cioè il gas, e si annuncia un programma nucleare che sembra essere più una distrazione per rallentare l’abbandono del metano che non una prospettiva concreta.
Questo, in sintesi, il messaggio che si può estrarre dall’incontro organizzato il 22 maggio a Roma dal think tank Ecco Climate nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile di Asvis, in cui esperti e rappresentanti delle grandi aziende energetiche hanno provato a rispondere alla domanda-chiave: “Le rinnovabili costano tanto o poco? E se costano poco, perché non vediamo ancora benefici concreti in bolletta?” (video in basso).
Il peso degli investimenti in gas
Gli investimenti che ci incatenano al gas sono uno dei temi più seguiti da Ecco, e l’analista Francesca Andreolli, in un dialogo con Michele Governatori, responsabile relazioni esterne ed esponente del think tank, ha aperto il convegno con qualche dato: nonostante una riduzione strutturale della domanda di gas di circa il 19-20% rispetto alla media 2017–2021, sia a livello europeo che nazionale, l’Europa continua a “sovradimensionare” le infrastrutture, rigassificatori in primis.
“Abbiamo oggi circa 40-45 miliardi di metri cubi di capacità Gnl installata e altri 50 miliardi in costruzione entro il 2028”, ha sottolineato Andreolli, osservando che il load factor è crollato da oltre il 60% al 40%, con enormi costi fissi che ricadono sulle famiglie italiane (load factor è un indicatore che misura quanto un sistema elettrico viene utilizzato in un certo lasso di tempo, rispetto alla sua capacità massima).
Guardando ai trend futuri e ai piani di sviluppo degli operatori, i costi di trasporto del metano, spalmati su una domanda prevista ancora in calo, potrebbero aumentare “di circa il 30% già al 2030 e, se la domanda di gas si riduce ulteriormente e si realizzeranno tutti i progetti l’aumento sarebbe anche del 100% al 2050, un valore impressionante”, ha osservato.
Occupazione, carbone e “Governo Descalzi”
Simona Fabiani della Cgil ha denunciato il “ricatto occupazionale” di chi vuole rallentare l’abbandono di gas e carbone. “Ogni posto di lavoro perso nel fossile viene rimpiazzato da più di due posti nel settore delle rinnovabili”, ha osservato citando dati Iea.
Senza misure di “giusta transizione” e un’adeguata politica industriale, l’Italia rischia di non sfruttare appieno i benefici per il mondo del lavoro che la transizione può portare, ha avvertito.
Fabiani ha citato anche l’opposizione del sindacato alla conversione da carbone a gas della centrale di Civitavecchia, che avrebbe mantenuto l’impatto ambientale, facendo perdere molti posti di lavoro: “Abbiamo invece proposto un piano basato su rinnovabili ed economia circolare”.
Sulla decisione del Mase di non smantellare, ma mantenere in stand-by le centrali a carbone è intervenuta Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia, che ha parlato di una scelta “suggerita da Eni, cui anche Enel si è accodata per convenienza economica”.
“È il governo Descalzi”, ha ironizzato, evocando la figura dell’amministratore delegato di Eni come vero artefice delle scelte sull’energia.
Midulla ha citato il decreto sulle Aree idonee che ora il Tar ha imposto di riscrivere. Per la responsabile Wwf, il decreto è nato da “una logica pilatesca, lasciando ogni regione libera di decidere senza criteri univoci e aprendo la porta a speculazioni sui terreni più che a piani di sviluppo”.
L’illusione nucleare
Anche il programma nucleare, per Midulla è “lungi dall’essere visto dagli stessi proponenti come una prospettiva realizzabile: ha lo scopo non dichiarato di ritardare la transizione, tenendoci ancorati al gas”.
Le ha fatto eco Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento Free, che oltre a ricordare i noti problemi delle Fer – come la rinnovata incertezza sulle aree idonee e la questione delle reti – ha detto: “Ci stanno abituando a ragionare senza scientificità”, citando la stima, ancora senza fonti, di quanto l’atomo ci farebbe risparmiare che è contenuta nel Pniec.
Sull’atomo, Luigi Moccia del Cnr ha definito “fantascientifica” l’idea che le centrali nucleari di nuova generazione possano convivere con le Fer: anche ipotizzando costi d’investimento di 4.500 €/kW – stimati dalla Iea in un’ipotesi ottimistica che non tiene conto di ritardi e sforamenti di budget – con impianti usati a pieno carico, il livello di costo dell’energia raggiungerebbe i valori, comunque poco competitivi, di 90-100 €/MWh.
Usare in maniera flessibile i reattori, per convivere con le Fer, farebbe aumentare i costi anche di un ordine di grandezza, ha spiegato.
Bocciate dall’esperto anche soluzioni come dare flessibilità al nucleare producendo idrogeno, visti i “costi assolutamente insostenibili”, o calore, “una soluzione che si scontra con i problemi di sicurezza legati alla localizzazione delle centrali, che per questo solo nell’ex Unione Sovietica si è sperimentata”.
Rinnovabili e flessibilità in bolletta
La discussione si è poi spostata sul mercato dell’energia retail.
L’avvocato Lorenzo Parola dell’omonimo studio associato ha spiegato gli ostacoli da superare affinché siano i consumatori domestici a finanziare direttamente nuovi impianti Fer con “Ppa domestici”: in primis l’impossibilità di chiedere un impegno a lungo termine al consumatore.
Esponenti di Octopus, Ènostra ed A2A hanno invece mostrato quello che si sta già facendo con gli strumenti attuali.
Paolo Bellotti, responsabile marketing di A2A, ha illustrato “Noi due”, l’offerta lanciata nel 2023 per il mass market che garantisce il 70% della fornitura da quattro impianti dedicati – due FV e due eolici (di cui uno ancora in costruzione) a prezzo fisso per 10 anni, senza penali in caso di recesso anticipato (mentre il restante 30% del consumo segue un prezzo variabile indicizzato).
A2A, ha anticipato Bellotti, sta per introdurre anche una tariffa oraria per i membri delle comunità energetiche, con costi più bassi nella fascia di produzione del FV, in modo da incentivare l’autoconsumo.
Simona Burchill, a capo dei prodotti di flessibilità in Octopus, ha illustrato i programmi di flessibilità con demand response dell’utility, sia nel Regno Unito che in Italia, compresa “Intelligent Octopus”, la piattaforma che gestisce automaticamente la domanda di auto elettriche, batterie domestiche e pompe di calore sulla base dei prezzi di mercato, lasciando al cliente la sola indicazione di orario e livello di carica desiderato.
Giacomo Prennushi ha descritto il modello cooperativo di Ènostra, attiva dal 2021 con un’offerta a prezzo fisso basata su 16 impianti propri (3 eolici in Umbria e Sardegna e 13 FV distribuiti fra Piemonte, Lombardia, Umbria e Puglia) che tracciano l’energia dalla fonte al cliente-socio.
Ha poi presentato due novità: una tariffa oraria per i soci delle comunità energetiche e, soprattutto, una sperimentazione peer-to-peer che acquista l’eccedenza di tutti i micro-impianti (<20 kW) e la mette in comune, compensando i prosumer mensilmente senza appesantire la fatturazione bimestrale.
Infine, Ènostra ha raccontato la partecipazione al progetto Romeflex sulla flessibilità locale a Roma: invitando i propri 18.500 soci, ha ottenuto un tasso di adesione del 60-70% e, nella fase 2, coinvolto 60 utenze domestiche e una decina di negozi, con premi di 5-10 € al mese per ogni kW di riduzione garantita, “ma i ritorni economici per ora sono molto bassi e siamo in una fase esplorativa”, ha spiegato Prennushi.