Climate Change Performance Index: nessun Paese promosso e l’Italia perde una posizione

Il rapporto.

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Quando si tratta di passare dalle parole ai fatti riguardo le azioni di contrasto alla crisi del clima, nessun paese al mondo si comporta ancora bene abbastanza da ottenere un giudizio complessivo molto alto nell’apposito indice Climate Change Performance Index (CCPI) – e pertanto, ancora una volta le prime tre posizioni di questa speciale classifica sono rimaste vuote, come si può vedere nella tabella.

Sulla base di criteri standardizzati, il CCPI valuta e confronta le prestazioni di protezione del clima di 58 paesi, prendendo in considerazioni quattro macroaree di attività e assegnando loro un peso diverso nella ponderazione del risultato finale: le emissioni di gas serra (40% del punteggio), le energie rinnovabili (20% del punteggio), l’uso dell’energia (20% del punteggio) e la politica climatica (20% del punteggio). I paesi considerati sono responsabili assieme di oltre il 90% del totale delle emissioni di gas a effetto serra, con i risultati geograficamente illustrati in figura.

Il rapporto per il 2021, compilato congiuntamente da Germanwatch, Climate Action Network International (CAN) e il NewClimate Institute (e realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia), ha rilevato ancora un passo indietro per il nostro Paese, sceso al 27° posto rispetto al 26° dello scorso anno, rimanendo nella fascia dei paesi che si sforzano in misura media di contrastare i mutamenti climatici.

Il risultato è “dovuto al rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili [per cui l’Italia è solo 31° in classifica] e a una politica climatica nazionale inadeguata agli obiettivi di Parigi, peraltro non raggiunti da nessun paese: infatti, il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) consente un taglio delle emissioni entro il 2030 del solo 37%, con una riduzione media annua di appena l’1,7% a partire dal 2020, obiettivo fortemente inadeguato”, spiegano da Legambiente.

Sette paesi dell’UE (escluso il Regno Unito) e l’UE nel suo complesso risultano fra i migliori, o fra i meno peggio, con l’UE che quest’anno è avanzata di sei posizioni, secondo lo studio, scaricabile dal link in fondo all’articolo.

Nel resto della Unione, Ungheria e Slovenia sostituiscono quest’anno la Polonia come paesi dell’Unione con i peggiori risultati. Tutti e tre rimangono comunque nella parte più bassa della classifica.

Dai paesi del G20, quest’anno, solo l’Ue nel suo insieme, assieme al Regno Unito e all’India, si collocano tra i meno peggio, mentre sei paesi del G20 si collocano fra i peggiori – soprattutto Stati Uniti e Arabia Saudita, le cui posizioni rimangono invariate, rispettivamente, all’ultimo e penultimo posto.

Fra gli altri paesi maggiormente responsabili delle emissioni nocive, la Cina scende al 33° posto, con un voto nella fascia bassa. Fra i grandi paesi del mondo, invece, l’India, pur calando al decimo posto, rimane nel drappello di paesi con i voti più alti.

Gli autori del rapporto fanno notare che “più della metà degli indicatori utilizzati nel CCPI sono qualificati in termini relativi (migliore/peggiore) piuttosto che assoluti. Pertanto, anche i paesi più in alto in classifica non hanno motivo di sedersi e rilassarsi. Al contrario, i risultati dimostrano che, anche se tutti i paesi ci mettessero lo stesso impegno degli attuali apripista, tali sforzi non sarebbero ancora sufficienti per prevenire pericolosi cambiamenti climatici”.

Climate Change Performance Index CCPI 2021

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