Gli Stati Uniti hanno causato più di 1.900 miliardi di dollari di danni climatici ad altri Paesi dal 1990 al 2014. Allo stesso tempo, le emissioni di gas serra legate all’attività economica Usa hanno portato agli Stati Uniti un beneficio di oltre 183 miliardi di dollari.
È da decenni che un variegato gruppo composto da attivisti ambientali, funzionari governativi e scienziati sostiene che i Paesi ricchi dovrebbero farsi carico del grosso delle misure di mitigazione e adattamento ai mutamenti climatici dei Paesi poveri, visto che storicamente sono le nazioni industrializzate ad avere emesso la maggior parte dei gas serra.
Adesso, un nuovo studio condotto da due scienziati del Dartmouth College, negli Usa, ha calcolato l’impatto economico che le emissioni delle nazioni ricche hanno causato ad altre nazioni.
Facendo alcuni esempi, le emissioni statunitensi avrebbero provocato danni climatici di 310 miliardi di dollari al Brasile, 257 miliardi di dollari all’India, 124 miliardi di dollari all’Indonesia, 104 miliardi di dollari al Venezuela e 74 miliardi di dollari alla Nigeria.
Tali cifre potrebbero essere utilizzate nelle aule di tribunale e nei negoziati internazionali sul clima in merito ai pagamenti ai Paesi poveri danneggiati dalle emissioni da parte delle nazioni ricche che bruciano più carbone, petrolio e gas, secondo lo studio pubblicato sulla rivista Climatic Change, intitolato National attribution of historical climate damages, visionabile dal link in fondo a questo articolo.
“Tutti i Paesi guardano agli Stati Uniti per ottenere un risarcimento? Forse. Gli Stati Uniti hanno causato un’enorme quantità di danni economici con le loro emissioni, ed è qualcosa che abbiamo i dati per dimostrare“, ha dichiarato il coautore dello studio, Justin Mankin, scienziato del clima del Dartmouth College.
I Paesi in via di sviluppo hanno convinto le nazioni ricche a promettere di aiutarli finanziariamente a ridurre le emissioni di carbonio per il futuro, ma non sono stati in grado di ottenere un risarcimento per i danni già causati, ciò che viene identificato come loss & damage, cioè”perdita e danno”, nei negoziati globali sul clima.
Sollevare il velo
In questi negoziati, i maggiori emettitori di CO2, come gli Stati Uniti e la Cina, si sono nascosti dietro un “velo di negazione” sul fatto che le loro azioni avessero causato danni specifici, ha detto l’autore principale dello studio Christopher Callahan, ricercatore sugli impatti climatici a Dartmouth.
Questo studio solleva quel velo, ha detto Callahan.
“Studi scientifici come questo lavoro innovativo dimostrano che i grandi emettitori non hanno più scuse per evitare i loro obblighi di affrontare le perdite e i danni”, ha detto la scienziata climatica delle Bahamas Adelle Thomas di Climate Analytics, che non ha fatto parte dello studio.
Studi recenti “dimostrano in modo crescente e schiacciante che le perdite e i danni stanno già paralizzando i Paesi in via di sviluppo”, ha proseguito la ricercatrice.
Sebbene le emissioni di CO2 siano state monitorate per decenni a livello nazionale e i loro danni calcolati, questo è il primo studio che collega i Paesi che producono le emissioni ai Paesi che ne sono colpiti, hanno detto Callahan e Mankin.
Lo studio riconduce i benefici economici delle emissioni nocive soprattutto ai Paesi del Nord del Mondo, come il Canada e la Russia, e alle nazioni ricche, come gli Stati Uniti e la Germania.
Cinque Paesi – Stati Uniti, Cina, Russia, India e Brasile – sono in testa alla classifica mondiale degli impatti economici causati dal riscaldamento associato alle loro emissioni di gas serra.
“Sono i Paesi che hanno emesso di meno quelli che tendono a essere danneggiati dall’aumento del riscaldamento globale. Questa doppia iniquità è un dato centrale che voglio sottolineare”, ha detto Callahan.
Collegare gli inquinatori agli inquinati
Per realizzare lo studio, i ricercatori hanno esaminato innanzitutto la quantità di carbonio emessa da ciascuna nazione e il suo impatto sulle temperature globali, utilizzando modelli climatici di grandi dimensioni e simulando un mondo con le emissioni di carbonio pari a quelle di quel Paese, una versione della tecnica di attribuzione scientificamente accettata utilizzata per gli eventi meteorologici estremi.
Gli studiosi hanno poi collegato il tutto a studi economici che hanno esaminato il rapporto tra l’aumento della temperatura e i danni in ciascun Paese.
“Possiamo identificare e quantificare la responsabilità degli Stati Uniti sui risultati economici dell’Angola”, ha detto Mankin.
Dopo gli Stati Uniti, come accennato, i Paesi che hanno causato il maggior numero di danni dal 1990 – data scelta dai ricercatori perché, secondo loro, è stato allora che si è formato un consenso scientifico e le nazioni non avevano più scuse per dire che non sapevano del riscaldamento globale – sono la Cina (1.800 miliardi di dollari), la Russia (986 miliardi di dollari), l’India (809 miliardi di dollari) e il Brasile (528 miliardi di dollari), secondo gli autori dello studio. Gli Stati Uniti e la Cina insieme hanno causato circa un terzo dei danni climatici mondiali.
Le cinque nazioni più colpite in termini di dollari complessivi sono state il Brasile, l’India, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Indonesia. Da notare che India e Brasile sono presenti sia nella top 5 dei Paesi responsabili che dei Paesi danneggiati, anche perché avevano le economie più grandi fra le nazioni nella zona calda più vulnerabile. È anche per questo doppio ruolo di inquinatori e inquinati che i due Paesi non hanno intentato cause di risarcimento per i danni climatici, visto che in parte almeno sono auto-inflitti.
Ma i Paesi che hanno subito l’impatto maggiore in base al Pil sono gli Emirati Arabi Uniti, la Mauritania, l’Arabia Saudita, l’Oman e il Mali, ha detto Callahan.
Bisogna continuare a fare pressione
“Lo studio rafforza le argomentazioni relative alle perdite e ai danni che si stanno affermando nella Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”, ha dichiarato all’Associated Press Nikki Reisch, direttore del programma sul clima e l’energia del Center for International Environmental Law.
Mankin ha detto di sperare che lo studio dia più forza “ai Paesi deboli di fronte al cambiamento climatico globale”.
Altri esponenti della comunità che si batte per la tutela del clima ritengono però che sia necessario qualcosa di più di queste informazioni per garantire che coloro che sono più colpiti dal cambiamento climatico siano compensati per le loro perdite.
Le informazioni e i dati contenuti nello studio sono preziosi, hanno detto, ma sarà necessario fare pressione su coloro che sono responsabili della definizione delle politiche climatiche per far sì che le nazioni più ricche paghino effettivamente per i danni che hanno causato alle nazioni più povere.
“Dimostrare il nesso di causalità è molto utile”, ha detto Basav Sen, direttore del progetto sulla giustizia climatica dell’Institute for Policy Studies, un think tank progressista.
Ma “è solo un tassello della campagna di pressione necessaria per tradurre queste informazioni in flussi finanziari effettivi dai Paesi più ricchi e con maggiori emissioni per compensare i Paesi a basso reddito che subiscono impatti climatici più negativi”, ha concluso.
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