Quasi la metà delle aziende attive nel termoelettrico a carbone sta operando in maniera incompatibile con gli impegni globali in materia di clima, legando ancora di più i propri programmi di sviluppo a questo combustibile nei prossimi anni.
La stima è stata fatta in un nuovo rapporto dell’organizzazione ambientalista Urgewald, secondo cui “banche, assicurazioni e investitori dovrebbero evitare” di sostenere un migliaio di aziende del settore termoelettrico.
Lo studio, la cui sintesi è scaricabile dal link in fondo all’articolo, ha indicato in 935 le aziende che andrebbero inserite in una lista nera da parte della comunità finanziaria, perché rimangono legate al carbone quasi quattro anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo sul clima di Parigi. Fra queste, inoltre, ce ne sono diverse centinaia che addirittura programmano di aumentare la propria esposizione a questa fonte inquinante.
Sono 437, infatti, le aziende che prevedono di costruire nuovi impianti a carbone, aprire nuove miniere o altre infrastrutture negli anni a venire, secondo la 2020 Global Coal Exit List stilata da Urgewald, assieme ad altre 30 ONG.
Solo 25 aziende della lista hanno fissato una data per l’eliminazione graduale dell’uso del carbone, ha indicato il rapporto. Fra queste c’è anche Enel, che mira ad uscire dal carbone in Italia entro il 2025 e a livello globale entro il 2030.
Secondo Heffa Schücking, direttrice di Urgewald, i risultati dello studio dovrebbero fare da campanello d’allarme per gli investitori che intendono continuare a sostenere le aziende legate al carbone, in una fase in cui i governi del mondo spingono per una transizione verso energie più pulite.
“Quando parliamo con l’industria finanziaria, molti credono che sia importante continuare a sostenere queste aziende durante la transizione energetica. Ma la metà di queste aziende non è interessata alla transizione“, ha detto Schücking.
“Siamo in un’emergenza climatica e una rapida uscita dal carbone è più urgente che mai. Il nostro database identifica 935 aziende che l’industria finanziaria deve mettere in una lista nera se vuole seriamente raggiungere gli obiettivi di Parigi”.
La lista nera auspicata Urgewald comprende tutte le aziende energetiche che abbiano almeno una delle seguenti caratteristiche, e cioè che detengano più di 5 GW di capacità termoelettrica a carbone, che producano 10 tonnellate di carbone termico all’anno, o che si affidino al carbone per un quinto della loro produzione di energia o delle loro entrate.
Fra le aziende inserite nella lista di Urgewald ci sono anche tre italiane: Enel, indicata con una capacità installata a carbone di 9,63 GW, anche se ha una quota di generazione a carbone pari a meno del 20% del suo totale e un obiettivo di uscita dal settore; Coeclerici, che deriva più del 50% del suo fatturato dalle attività legate al carbone; ed Edison, controllata da Electricite de France SA (EDF Group).
L’elenco comprende anche un numero crescente di aziende al di fuori dell’industria energetica che stanno pianificando di investire nell’energia a carbone a fianco di operatori energetici affermati, o per soddisfare il loro futuro fabbisogno energetico.
Il continuo sostegno finanziario alle centrali a carbone ha fatto sì che la loro capacità nel mondo sia aumentata di 137 GW dall’entrata in vigore dell’accordo sul clima di Parigi, pari all’intero parco termoelettrico a carbone di Germania, Russia e Giappone messe assieme.
Attualmente, ci sono 522 GW di centrali elettriche a carbone sulla rampa di lancio, di cui si prevede che la metà sarà costruita in Cina, dove hanno sede quattro dei cinque principali sviluppatori di centrali a carbone del mondo.
China Energy prevede di costruire 43 GW di potenza a carbone, seguita da China Datang con 34 GW, China Huaneng con 29 GW e China Huadian con 15GW. Il quinto sviluppatore di centrali a carbone più prolifico al mondo è l’indiana NTPC, che ha in programma altri 14 GW di capacità di produzione da carbone.
“Aspettare la transizione delle compagnie carboniere è una ricetta per mutamenti climatici incontrollabili“, ha detto Schücking. “Se le istituzioni finanziarie non accelereranno la loro uscita dall’industria, falliremo il più elementare di tutti i test climatici: lasciarci il carbone alle spalle”.
Nel rapporto, sono anche citati esempi di involontario umorismo da parte di alcuni operatori fossili che nella loro disarmante onestà evidenziano inconsapevolmente perché il carbone, oltre a far male al clima, rischi di fare molto male anche alle banche che lo finanziano.
La società statunitense Longview Power, proprietaria di una centrale a carbone da 710 MW in West Virginia, è da poco fallita per la seconda volta in meno di 10 anni. Spiegando il tracollo, l’amministratore delegato di Longview Power ha detto: “È stato un inverno talmente caldo e insolito, che i prezzi per noi sono stati meno della metà di quelli che vediamo normalmente”.
Apparentemente, il top manager non ha colto l’ironia di una dichiarazione in cui si lamenta e imputa il crack finanziario della sua società di generazione carbonifera alle temperature più calde del solito…
In un altro esempio, la Japan Oil, Gas and Metals National Corporation, il cui business è quello di fornire supporto finanziario e tecnico per lo sviluppo delle miniere di carbone all’estero da parte delle aziende giapponesi, per la presentazione del suo profilo aziendale, ha invece ideato il brillante slogan: “Scavare il futuro“.
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