Carne da laboratorio, stiamo per rinunciare a una filiera amica del clima?

Il governo italiano si appresta a vietare la produzione di carne “coltivata”. Eppure una rassegna della letteratura scientifica mostra che potrebbe dare notevoli benefici per ambiente e clima.

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Sono tante le valutazioni che andrebbero fatte sul divieto di produrre carne sintetica che il governo vuole introdurre: da quelle di ordine economico e sociale sull’impatto che questo settore, al momento di nicchia, potrebbe avere sull’agricoltura, a quelle etiche e ambientali, fino a quelle sugli effetti per il clima e i consumi di energia.

Limitandoci alle ultime, abbiamo provato a vedere cosa ci dice la letteratura scientifica, arrivando a questa conclusione: la carne “convenzionale” è un grosso problema per il clima,  quella sintetica, prodotta in laboratorio a partire da colture cellulari, potrebbe essere un modo per ridurre l’impatto climatico di questa filiera, anche se la strada di gran lunga più efficace e sicura per ridurre le emissioni è sostituire il più possibile i consumi di carne con quelli di vegetali.

Per chi se lo fosse perso, l’aggancio all’attualità è che, nel consiglio dei ministri di ieri sera, 28 marzo, il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, ha annunciato un disegno di legge che appunto vieterebbe la produzione di carne sintetica in Italia.

Per chi produce, vende, distribuisce o somministra alimenti, bevande e mangimi realizzati in laboratorio partendo da cellule animali, il ddl prevede, oltre alla chiusura dell’attività, sanzioni da 10 a 60mila euro, oppure fino al 10% del fatturato totale annuo, oltre al divieto di accedere ad agevolazioni pubbliche (mentre i divieti non si applicheranno ai prodotti fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell’Unione europea).

Rischiamo di perdere un’opportunità di sviluppare una filiera, al momento allo stato embrionale, che ridurrebbe l’impatto su energia e clima della produzione di carne?

Che il modo tradizionale di produrre carne, sia in allevamenti intensivi che in pascoli, sia disastroso per il cambiamento climatico è risaputo.

Secondo uno studio pubblicato su Nature nel 2021 (Xiaming, Shatma et al. 2021 – pdf), ad esempio, la produzione di cibo a livello globale è responsabile di un terzo di tutti i gas serra dovuti all’attività umana e di questo il 57% è dovuto alla filiera della carne, contro il 29% delle colture vegetali.

La sola carne bovina rappresenta un quarto delle emissioni prodotte dall’allevamento e dalla coltivazione del cibo: per produrre 1 kg di grano vengono emessi 2,5 kg di gas serra, mentre un solo chilo di manzo crea 70 kg di CO2 equivalente.

Come noto, l’allevamento, oltre a causare deforestazione per i pascoli e le coltivazioni di foraggio, ad assorbire tantissima acqua e, specialmente per gli allevamenti intensivi, a causare pesanti inquinamenti, è responsabile di circa un terzo delle emissioni di metano da attività umane. E il metano ha un potere climalterante 85 volte superiore a quello della CO2 su un arco di 20 anni, anche se la CO2 ha un tempo di permanenza in atmosfera anche di migliaia di anni, mentre il metano “scompare” in circa 10-15 anni (secondo dati Ispra – pdf).

La carne sintetica o “coltivata” è meglio per il clima? Sì, anche se, essendo questa industria agli esordi, c’è una forte incertezza sul quanto questa soluzione possa migliorare l’impatto del consumo di carne.

Una risposta comprensiva viene da un report dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea), che esamina la questione da vari punti di vista, facendo una rassegna della letteratura scientifica in materia (documento in basso).

Uno studio del 2011 di Tuomisto e de Mattos è stato particolarmente influente nel far considerare come più sostenibile la carne da laboratorio, dato che secondo questa analisi del ciclo di vita (LCA), rispetto alla carne europea prodotta in modo convenzionale, quella “in provetta” implica circa il 7-45% in meno di consumo energetico (solo il pollame ha un consumo energetico inferiore), il 78-96% in meno di gas serra, un utilizzo del suolo inferiore del 99% e un consumo idrico inferiore dell’82-96% a seconda del prodotto confrontato.

Uno studio più recente (Lynch e Pierrehumbert, 2019) è invece arrivato a conclusioni diverse, analizzando le implicazioni climatiche a lungo termine (fino a 1.000 anni), cosa che riduce l’impatto delle emissioni di metano.

Secondo questa analisi, la produzione di carne artificiale è più energivora, quindi potrebbe essere peggio per il clima se l’energia consumata venisse da combustibili fossili: la riduzione dell’impatto climatico della carne da laboratorio dipenderà dalla quota di utilizzo delle rinnovabili.

Poiché l’allevamento del bestiame necessita di un’enorme quantità di terra e acqua per caloria di cibo, uno spostamento verso la produzione artificiale potrebbe ridurre il consumo di acqua, le emissioni di gas serra e il potenziale di eutrofizzazione e uso del suolo rispetto alla tradizionale produzione di carne da allevamenti, mostra invece un altro studio citato (Stephens et al. 2018).

Un’altra ricerca (Smetana et al., 2015) evidenzia che la carne artificiale potrebbe avere un minore impatto ambientale rispetto alla carne bovina e suina, ma avrebbe un peso sul pianeta maggiore a quello della carne bianca e delle proteine vegetali.

Il problema di questi studi sugli LCA, sottolinea la stessa Agenzia europea per l’ambiente, è che sono basati su modelli ipotetici perché ancora non è chiara la forma che prenderà la produzione di carne sintetica, al momento limitata a pochissime realtà.

I centri di produzione di carne artificiale, infatti, potrebbero essere collocati in aree in cui l’acqua può essere gestita in modo sostenibile. Più terra “sottratta” all’allevamento potrebbe essere utilizzata in modo sostenibile o addirittura restituita alla natura, contribuendo ad aumentare la biodiversità e proteggere le specie in via di estinzione (Bhat et al., 2014).

D’altra parte, osserva la Eea, “ci sono aree che beneficiano dal punto di vista ambientale delle forme tradizionali di allevamento bovino e ovino, come quello montano con pascoli durante l’estate, specialmente nelle Alpi, nei Pirenei o nei Carpazi”. Più generalmente, “voltare le spalle all’allevamento potrebbe avere implicazioni importanti per le aree rurali e gli ecosistemi locali, che rimangono difficili da prevedere”.

Nel complesso, conclude l’Agenzia, “la produzione di carne artificiale può potenzialmente supportare il raggiungimento di molti obiettivi sociali, economici e ambientali sottolineati nel Settimo programma d’azione per l’ambiente della Ue, come la protezione del capitale naturale e la strategia della bioeconomia, ad esempio con il rallentamento del degrado del suolo, oltre agli Obiettivi di sviluppo sostenibile, ad esempio migliorare la sicurezza alimentare, nonché promuovere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio”.

“I responsabili delle politiche ambientali – raccomanda la Eea – dovrebbero essere coinvolti in questo processo di sviluppo tecnologico per garantire che i futuri processi di produzione di carne artificiale siano sostenibili”.

L’Agenzia dunque non raccomanda affatto di vietare, ma di guidare e monitorare, avvertendo che “se la tecnologia si sviluppa adeguatamente, politiche come la politica agricola comune sarebbero direttamente colpite, rendendo necessario il sostegno agli agricoltori mentre si allontanano dall’allevamento di bestiame”.

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