Le batterie al magnesio ci riprovano

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I problemi delle batterie al magnesio potrebbero essere stati superati in parte dai ricercatori della Hong Kong University. Intanto il rivale, il litio, continua a dominare il settore, con nuovi sviluppi e miglioramenti.

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Uno dei settori più interessanti della transizione energetica è quello delle batterie, elemento indispensabile sia per liberare i trasporti dalla dipendenza dei combustibili fossili che per rendere programmabili l’energia solare ed eolica.

Ogni giorno ci sono notizie su nuovi tipi di batterie, risultati di una sorta di “Gioco delle Coppie” chimico, in onda ogni giorno in migliaia di laboratori in giro per il mondo.

In questo gioco la caratteristica di base della coppia perfetta è la differenza di elettronegatività (EN), cioè la capacità di un elemento di strappare elettroni a un altro.

I due partner nella batteria devono avere una EN molto diversa fra loro per funzionare, così uno cederà gli elettroni all’altro, o spontaneamente, durante le fasi di scarica, o forzatamente durante quelle di ricarica.

Per questo motivo il leggerissimo litio, con la sua bassa EN, è il re delle batterie: può essere accoppiato a tanti elementi diversi, dal cobalto al ferro, dall’ossigeno allo zolfo, tutti con EN maggiori del suo.

Ma se bastasse solo la EN, il gioco sarebbe troppo semplice: tutte le batterie sarebbero a fluoro-francio, che sono i due elementi con la massima e minima EN. Peccato che il gassoso fluoro sia uno dei composti più corrosivi e pericolosi del mondo, e il francio uno dei più rari (25 grammi in tutta la Terra).

Ma anche tante altre coppie promettenti vengono scartate, perché, per esempio, uno dei partner costa troppo o perché velenoso o corrosivo, oppure perché troppo pesante per l’automotive, ma anche perché i due insieme tendono a formare composti che rovinano gli elettrodi e per tante altre ragioni chimico-fisico-merceologiche.

Queste ragioni fanno sì che accoppiate “vincenti”, come le litio-zolfo, o le litio-aria (cioè litio-ossigeno), o le zinco-aria, che in teoria farebbero impallidire le prestazione degli attuali accumulatori, per ora restino solo promesse su cui si sta alacremente lavorando nei laboratori, cercando di venire a capo dei problemi che ne limitano prestazioni, sicurezza o vita utile.

La promessa delle batterie al magnesio

Fra queste eterne promesse, ci sono anche le batterie al magnesio, che in Italia seguiamo con particolare interesse perché alcuni anni fa sembravano poter diventare un prodotto innovativo, inventato all’Università di Padova e realizzabile industrialmente nel nostro paese.

Il magnesio, in teoria, sembra il rivale ideale del litio: molto leggero, trasporta due cariche elettriche invece di una, è stabile, comunissimo (i mari ne sono pieni) e con una EN piuttosto bassa, che lo rende accoppiabile con tanti materiali, come sodio o ferro.

In teoria, batterie con anodo di magnesio metallico sarebbero molto superiori a quelle attuali al litio, ma anche batterie agli ioni di magnesio, molto più facili da fare, ne eguaglierebbero le prestazioni, a un costo molto più basso e con molto minore impatto ambientale.

Ma, al solito, il diavolo della chimica fa le pentole, ma non i coperchi: nelle batterie al magnesio metallico si verifica il fenomeno della “passivazione”, cioè la ricopertura del metallo all’anodo con uno strato non reattivo, che azzera ben presto la capacità dell’accumulatore di funzionare.

In quelle agli ioni di magnesio, invece, il problema è l’elettrolita: lo ione magnesio si muove benissimo in elettroliti acquosi (hanno anche il vantaggio di non essere infiammabili), ma male in quelli non acquosi, dove invece sguazza benissimo il litio.

Perché non usare quelli acquosi per le magnesio-ioni? Perché l’acqua che contengono, se si aumenta troppo il voltaggio fra i due elettrodi, comincia ad andare incontro ad elettrolisi, cioè a scomporsi in ossigeno e idrogeno, che creano il caos nella batteria, intasano gli elettrodi e minacciano di farla esplodere.

Se si usano elettroliti acquosi bisogna così mantenere il voltaggio sotto gli 1,27 volt, per evitare l’elettrolisi; ciò vuol dire però scarsa potenza dell’accumulatore e quindi molto peso e molto ingombro, e tanti saluti ai vantaggi rispetto al litio.

Elettrodi non acquosi risolverebbero il problema, ma, come detto, il magnesio si muove male al loro interno, e la batteria avrebbe di nuovo bassa potenza e sarebbe lentissima a ricaricarsi.

Proprio su questi scogli si sono infrante le speranze italiane, e di altri paesi, sugli sviluppi della batteria al magnesio.

Problemi superati?

Adesso però ricercatori della Hong Kong University, hanno annunciato di nuovo su Science Advances di aver superato i problemi di questi accumulatori e che presto li vedremo commercializzati (studio: Next-generation magnesium-ion batteries: The quasi-solid-state approach to multivalent metal ion storage).

L’idea è stata quella di realizzare un elettrolita a metà strada fra quelli acquosi e non acquosi: in pratica è a base di acqua, ma un polimero disciolto in esso lo rende gelatinoso e impedisce l’elettrolisi fino a un voltaggio di 2,4 volt, più vicino a quello di 3,5 volt delle litio-ioni.

Secondo i ricercatori con quel voltaggio una batteria al magnesio ioni, per la sua capacità di portare due cariche alla volta, invece della singola del litio, potrebbe raggiungere una densità energetica di 264 Wh/kg, praticamente la stessa di quella delle attuali batterie litio-ioni. 

La nostra batteria con elettrolita quasi-solido con cloruro di magnesio disciolto in acqua, con ioni di magnesio all’anodo e rame-ferro al catodo, combina il meglio dei due mondi, offrendo l’alto voltaggio degli elettrodi non acquosi e la sicurezza e l’economicità di quelli acquosi. È un importante passo avanti nello sviluppo di batterie agli ioni di magnesio ad alte prestazioni”, ha dichiarato Sarah Leong, prima firmataria della ricerca.

La batteria inventata ad Hong Kong sembra essere anche molto resistente: il team ha constatato che mantiene il 90% della sua capacità dopo 900 cicli di carica-scarica anche a temperature di -20 °C.

Ma non basta, questa idea dell’elettrolita semisolido, può essere applicato ad altri elementi che si muovono meglio negli elettroliti acquosi, come quelle agli ioni di zinco e di alluminio, anch’essi elementi comuni e in grado di trasportare più cariche elettriche per ione.

“Riteniamo che i nostri risultati apriranno la strada alla prossima generazione di accumulatori che non saranno solo efficienti, ma anche economici, rispettosi dell’ambiente e meno dipendenti da materiali rari”, ha detto Leong.

Ma il litio è sempre al top

Sperando che stavolta sia la volta buona per il magnesio, tocca constatare però che intanto il litio continua a dominare, dimostrando di essere ancora capace di notevoli miglioramenti.

Come quelli annunciati dalla israeliana StoreDot, che ha promesso entro il 2025 batterie al litio in grado di ricaricarsi in 5 minuti, abbastanza da far fare all’auto 160 km. L’auto in questione sarà la Polestar 5GT, ultimo modello della casa automobilistica cinese e il primo a montare le nuove batterie.

Il “trucco” usato in questi accumulatori consiste non tanto nell’accoppiata di elementi, che sono sempre litio e metalli del gruppo del ferro, ma nell’anodo, l’elettrodo che ospita gli ioni litio, che non sarà più in grafite (cioè, in carbonio), ma in silicio.

Era da tanti anni che si inseguiva l’idea di fare anodi in silicio per le batterie agli ioni di litio, essendo questo un elemento in grado di ospitarne molti di più della grafite a parità di volume, aumentando la capacità delle batterie e di farli entrare e uscire più agevolmente, e quindi per avere una ricarica più veloce. 

Ma il silicio usato come elettrodo aveva la sgradevole abitudine di disgregarsi in poco tempo, gonfiandosi e sgonfiandosi con i movimenti degli ioni nei suoi cristalli.

Ora StoreDot, accoppiando il silicio a speciali polimeri che lo rendono elastico, pare abbia risolto questo problema, e le Polestar 5GT potranno così “abbeverarsi” a colonnine di ricarica ad alta potenza, ripartendo con tempi non troppo maggiori di quelli delle colleghe a benzina.

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