Come gestire in modo corretto e “sostenibile” i suoli e le foreste? Come includere assorbimenti e rilasci di anidride carbonica da parte dei bacini naturali (natural sink) nella politica europea per il clima?
Le risposte stanno arrivando dal dibattito intorno alla proposta legislativa della Commissione UE riassunta nell’acronimo LULUCF (Land Use, Land Use Change and Forestry), con cui regolare, per la prima volta nell’agenda climatica di Bruxelles, il bilancio complessivo della CO2 della silvicoltura.
L’Europarlamento in questi giorni ha approvato una serie di emendamenti al testo iniziale di Bruxelles, presentato a luglio 2016 nell’ambito del “pacchetto energia” per il periodo 2020-2030.
Per capire meglio l’importanza di suoli e foreste nei calcoli sulle emissioni di CO2, facciamo un esempio sull’impiego delle biomasse legnose, che è stato al centro delle discussioni parlamentari.
Le foreste sono polmoni verdi che assorbono l’anidride carbonica, parliamo di 400 milioni di tonnellate/anno in Europa secondo le stime, pari al 10% circa delle emissioni totali. Tuttavia, se a ogni albero tagliato non corrisponde un nuovo albero piantato, si finisce col ridurre progressivamente la capacità naturale di rimuovere la CO2 dall’atmosfera.
Il problema è più complesso di quanto appare a un primo sguardo. La Commissione UE aveva indicato una sorta di “obiettivo-zero” (zero target o anche no-debit rule), in cui, in estrema sintesi, gli Stati membri dovrebbero compensare la deforestazione con una riforestazione equivalente o una gestione più accorta dei boschi e delle colture esistenti.
Così le foreste avrebbero un impatto in sostanza “neutrale” sull’ambiente, lasciando ad altri settori economici – trasporti, edilizia, industrie – il compito di tagliare le emissioni.
Che cosa succede, però, se si utilizza biomassa importata dagli Stati Uniti, ad esempio, per produrre energia elettrica, grazie anche agli incentivi europei per le rinnovabili?
Il punto, evidenziato da un’approfondita analisi sul sito EurActiv, è che il regolamento LULUCF originario contiene alcune scappatoie (loophole); nel caso del pellet americano bruciato nel nostro continente, Bruxelles rischia di sottostimare il reale impatto ecologico dell’operazione.
Da una prospettiva globale, segare alberi negli Stati Uniti comporta ugualmente una minore capacità di assorbire anidride carbonica, anche se questa perdita non figura nei documenti europei.
Così i deputati UE hanno introdotto il concetto di emissioni negative: riassumendo molto, gli Stati membri non dovranno limitarsi a perseguire un bilancio neutro quanto al “dare” e al “trattenere” la CO2, bensì dovranno aumentare gradualmente l’assorbimento di anidride carbonica nei bacini naturali.
In altre parole: l’anidride carbonica trattenuta dovrà essere maggiore di quella emessa, considerando l’uso complessivo di terreni, alberi, piante, biomasse vegetali e legname (L’uso energetico delle biomasse legnose fa bene o male al clima?).
Come precisa una nota ufficiale dell’Europarlamento, il testo emendato prevede che se la capacità di assorbimento di CO2 supera le emissioni derivanti dall’uso del terreno nel primo quinquennio (2021-2025), tale “credito” può essere utilizzato successivamente, per rientrare negli obiettivi del quinquennio successivo.
Per quanto riguarda, infine, il metodo scelto per valutare i risultati dei singoli paesi, gli europarlamentari hanno fissato come “livello di riferimento della gestione forestale” il periodo 2000-2012 (l’esecutivo UE aveva proposto 1990-2009).
In questo modo, ogni incremento di deforestazione rispetto ai valori medi di quel periodo, equivarrà a una perdita di assorbimento naturale di CO2, con conseguente conteggio di emissioni nette aggiuntive.
Vedremo, nei prossimi mesi, come si evolveranno i negoziati tra Parlamento, Commissione e Consiglio per l’adozione del testo definitivo sul regolamento LULUCF.
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