“Disinvestire dall’ENI”, l’appello dei Verdi Europei

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La partecipata pubblica italiana - si denuncia - non solo sta espandendo un modello di business che danneggia il clima, ma rischia anche di rovinare i suoi stessi investitori, in quanto il tempo di bruciare e vendere petrolio senza alcun ostacolo scadrà non appena l’Accordo sul clima di Parigi sarà completamente attuato.

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Mettere alla berlina i grandi inquinatori europei, ovvero le grandi aziende europee di combustibili fossili, che emettendo una grande parte della CO2 sono responsabili della distruzione del nostro clima.

Questo l’obiettivo che l’European Green Party sta portando avanti a livello continentale la campagna “Fossil Fuel Divestment”, coadiuvato a livello italiano anche da Green Italia (vedi video sotto).

“In Italia – spiega un nota – il grande inquinatore è l’Eni”, per questo i co-presidenti del Partito Verde Europeo Monica Frassoni e Reinhard Bütikofer hanno scritto ai vertici dell’azienda.

In allegato in basso potete trovare la lettera, mentre qui ripubblichiamo il comunicato che la accompagna:

Nello stesso giorno in cui il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva annunciato il ritiro del proprio Paese dall’Accordo sul clima di Parigi, tre capi di governo europei rilasciarono una dichiarazione criticando pesantemente Trump ed esprimendo il loro sostegno all’Accordo di Parigi: Angela Merkel, Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni.

Mentre è ovviamente giusto criticare la decisione di Trump, si cela tuttavia una certa ipocrisia dietro il fatto che questi tre leader hanno assunto le vesti di campioni della lotta ai cambiamenti climatici.

Tra di loro il Primo Ministro italiano Paolo Gentiloni: lo Stato italiano possiede un terzo dell’ENI, la più grande azienda italiana e uno dei più grandi produttori di CO2 al mondo, essendo la quarta compagnia petrolifera europea più grande in termini di riserve di petrolio e di gas.

Così, mentre critica duramente Trump per le sue politiche climatiche, il Governo italiano è al contempo responsabile di una delle più grandi aziende di idrocarburi del mondo – e non pare che abbia utilizzato la propria influenza per traghettare l’azienda verso un futuro a basse emissioni.

Piuttosto è vero il contrario: per via del continuo basso costo del petrolio nell’ultimo biennio, molte compagnie petrolifere hanno ridotto al minimo le loro ricerche di petrolio. Ma non l’ENI: mentre nel periodo 2008 – 2015 le compagnie petrolifere europee hanno scoperto in media riserve pari allo 0,3 volte la propria produzione , l’ENI ne ha scoperte di pari allo 2.4!

Questa azienda di proprietà statale non solo sta espandendo con rapidità un modello di business che danneggia il clima, ma rischia anche di rovinare i suoi stessi investitori, in quanto il tempo di bruciare e vendere petrolio senza alcun ostacolo scadrà non appena l’Accordo sul clima di Parigi sarà completamente attuato.

I dati economici sono già piuttosto negativi: nel 2016 la compagnia ha chiuso con una perdita netta di 1,46 miliardi di euro, nel 2015 la perdita addirittura è stata di 8,77 miliardi di euro.

E il prezzo di una singola azione è caduto dai 20 euro nel 2014 ai soli 15 euro odierni – una perdita del 25% in appena 3 anni.

È difficile capire perché si investa ancora nella compagnia. E questo vale anche per lo Stato italiano: quando la bolla della CO2 esploderà, saranno i cittadini italiani con le loro tasse a dover compensare le perdite azionarie della compagnia di stato.

Fornire capitali all’ENI, perciò, è una scelta sbagliata non solo dal punto di vista finanziario, ma anche dal punto di vista morale: proprio qualche giorno fa, il 21 giugno 2017, si è avuta notizia di un accordo siglato con la Compagnia petrolifera nazionale iraniana su ricerche per verificare la fattibilità di aprire campi di gas e petrolio nel sud del paese.

ENI sarà il principale stakeholder in tre nuove aree di esplorazione in Messico.

Inoltre, all’inizio di aprile 2017, la compagnia ha firmato contratti di esplorazione con il governo di Cipro per l’estrazione di idrocarburi al largo della costa meridionale dell’isola.

Nel marzo del 2016 la compagnia ha aperto una nuova, enorme piattaforma petrolifera nel Mare di Barents al largo della Norvegia.

Nel settembre del 2015 si è aggiudicata l’offerta per l’esplorazione al largo delle coste del Messico.

Per questi motivi noi Verdi Europei facciamo parte del movimento per il disinvestimento che chiede a investitori e istituzioni di non investire più in compagnie petrolifere come l’ENI.

Con questo vogliamo inviare un forte segnale che la società non appoggia più un modello di business che rovina il nostro futuro.”

 

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