Oggi EDF ha aggiornato le stime su tempi e costi del nuovo reattore EPR in costruzione in Francia, a Flamanville: doveva costare 3 miliardi di euro, invece ne costerà 10,5. Doveva essere pronto nel 2012, invece non entrerà in funzione prima del 2018 (vedi comunicato in basso).
Quello di Flamanville è uno degli unici due impianti nucleari in costruzione in Europa. Nell’altro cantiere europeo, a Olkiluoto, in Finlandia, le cose non sono andate meglio in quanto a sforamenti di tempi e budget: l’impianto, salvo nuovi imprevisti, entrerà in funzione nel 2018, anziché nel 2009 così come si prevedeva quando si è aperto il cantiere nel 2005 e con costi quasi triplicati rispetto a quanto preventivato: circa 8,8 miliardi di euro, contro i 3 miliardi dell’originario business plan.
Come riportato da uno studio della danese Aarhus University sui rischi di progetto delle varie tecnologie per la produzione elettrica, il nucleare è un vero disastro in quanto a costi che lievitano e a ritardi. Dei 180 impianti nucleari censiti dallo studio, per 117,6 GW di potenza, a fronte di investimenti per 459 miliardi di dollari si sono avuti sforamenti per 231 miliardi e per 9 centrali su 10 si è speso più di quanto preventivato.
Il budget overrun medio dell’atomo è del 117,3% dei costi, da paragonarsi al 7,3% dell’eolico e all’1,3% del solare (e peraltro facendo la media solo tra i progetti che hanno ‘sforato’).
Chissà come sarebbe andata in Italia se il risultato del referendum del 2011 (secondo i nuclearisti “dovuto ad un fattore emotivo conseguente all’incidente di Fukushima”) non avesse posto uno stop definitivo al programma, al tempo condiviso da molti, governo, Assoelettrica e Confindustria in primis, di costruire 4 nuove centrali nucleari, per “coprire il 25% del fabbisogno elettrico” del nostro Paese, che come sappiamo è già in una marcata situazione di overcapacity, cioè di eccesso di potenza rispetto alla domanda elettrica.
Inoltre, va ricordato che oggi, anno 2015, in Italia oltre il 40% della produzione nazionale (e oltre il 36% della domanda) è coperta da fonti rinnovabili, mentre i nostri “strateghi” dell’atomo avrebbero voluto che queste fonti potessero soddisfare al 2020 il 25% della domanda elettrica; l’altro 25% era appunto da nucleare e il restante 50% da termoelettrico.
Ogni tanto vale la pena ricordare i fatti e le parole (ancora piuttosto freschi) di coloro che ancora oggi si professano custodi delle ricette energetiche per il paese. Appena quattro anni fa la risposta gliela diedero in massa gli italiani.