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Storage in Italia, un potenziale da 28 miliardi di euro

Gli accumuli elettrochimici al momento ancora non sono convenienti, ma nei prossimi 7 anni potrebbero attirare 28 miliardi di euro, soprattutto grazie alla generazione distribuita e alle rinnovabili non programmabili. Lo afferma lo 'Smart Grid Report' dell'Energy & Strategy Group. Servirebbero incentivi e cambiamenti normativi per superare l'impasse attuale.

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I sistemi di accumulo elettrochimico al momento ancora non sono economicamente convenienti. Servirebbero incentivi e cambiamenti normativi che li accompagnassero per qualche anno, oltre l’impasse attuale, verso un futuro prossimo in cui possono fare moltissimo: da qui al 2020 potrebbero attirare da 10 a 28 miliardi di euro di investimenti, creando 15-20.000 posti di lavoro.

A fare il punto della situazione è un nuovo report dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano. Uno studio che sarà presentato martedì 9 a Milano, ma che QualEnergia.it ha potuto sfogliare in anteprima: “Smart Grid Energy Report: sistemi di storage ed auto elettrica. Qual è il vero potenziale di mercato?”. Tralasciando la parte sull’auto elettrica, di cui parleremo in un altro articolo, vi si trovano alcune risposte alle molte domande che il mondo delle rinnovabili si sta ponendo. Un settore che peraltro sta guardando con grande interesse e speranza ai sistemi di accumulo. Innazittutto, quanto conviene lo storage ora e per quali utilizzi?

Il rapporto, dopo aver analizzato le varie tecnologie sul mercato, cerca di rispondere alla domanda focalizzandosi sugli accumuli elettrochimici, la soluzione più versatile e in pieno sviluppo. Per farlo guarda alle possibili applicazioni a cui si presta e ai soggetti interessati: dal prosumer (cioè il consumatore-produttore) che voglia massimizzare l’autoconsumo dell’energia dal fotovoltaico su tetto, al produttore che lo usi per azzerare gli oneri di sbilanciamento a carico dell’impianto a rinnovabili non programmabili, fino ai soggetti che forniscano servizi di regolazione alla rete.

Il responso è piuttosto sconfortante: su 14 scenari ipotizzati, solo in due casi, entrambi riferiti al gestore di rete di distribuzione, si riscontrano IRR positivi e superiori alla “soglia” attesa, l’8% per questo soggetto. Scenari inoltre non realizzabili senza una modifica del quadro normativo-regolatorio attuale, che limita i soggetti in grado di fornire servizi di regolazione.

In altri tre casi, si ottiene un IRR positivo, anche se inferiore alla soglia attesa (per i prosumer 4% e per le microgrid 6%): tra questi oltre all’utilizzo da parte del gestore degli accumuli, al fine di migliorare l’integrazione delle rinnovabili nella rete, c’è l’ipotesi in cui in una microgrid si usi lo storage per massimizzare l’autoconsumo, ridurre gli oneri di sbilanciamento, migliorare la power quality e fornire servizi di regolazione di rete, applicazione, quest’ultima, al momento non consentita dalle norme.

L’attuale quadro normativo-regolatorio, infatti, non prevede la possibilità di implementare oltre il 42% delle funzionalità potenziali che i sistemi di storage sono in grado di fornire ai diversi soggetti del sistema elettrico, fanno notare dall’Energy & Strategy Group. Insomma, per far decollare il mercato servirebbero interventi di sostegno e modifiche delle regole. Al momento, invece, gli unici incentivi sono concentrati sui progetti pilota del gestore della rete di trasmissione (i 51 MW di Terna cui vengono garantiti tassi di remunerazione degli investimenti garantiti fino all’8,4%), mentre ancora nessun provvedimento ha interessato le fasi di generazione e di utenza.

Un paradosso, dato che, secondo quanto rileva lo studio, il potenziale maggiore sta proprio tra questi soggetti. Se interventi regolatori e calo dei costi arrivassero in tempi brevi, come gli operatori sono convinti accadrà, il mercato italiano dello storage potrebbe fiorire: nei prossimi 7 anni, come detto, potrebbero essere installati sistemi di storage per l’equivalente di più di 7 GWh di energia e quasi 10 miliardi di euro di investimenti (in media 1,3 miliardi all’anno). Gran parte dello sviluppo previsto è appunto associato a prosumer (39%), micro-grid (28%) e impianti da rinnovabili non programmabili (22%).

Il potenziale complessivo di mercato potrebbe poi addirittura essere più alto con la possibile adozione di sistemi di accumulo presso impianti esistenti, ossia il cosiddetto retrofit. Considerando questa eventualità, che a detta di taluni operatori non pare essere poi così remota, il potenziale teorico arriverebbe a quasi 28 miliardi, ossia circa 4 miliardi all’anno. Un valore – osservano gli autori del report – che si avvicina di molto ai costi complessivi (mancata produzione da impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili, perdite di rete, sviluppo rete, interrompibilità, ricorso al Mercato dei Servizi di Dispacciamento e bassa qualità del servizio di trasmissione e distribuzione) che il sistema elettrico italiano paga per il suo non essere sufficientemente ‘smart’.

Le prospettive non mancano, ma resta da superare l’impasse della fase attuale. Come? Potrebbe non essere “scandaloso” – suggeriscono dall’Energy & Strategy Group – considerare l’opportunità, in un breve orizzonte temporale di 3-4 anni (ossia per la metà del tempo che ci separa al 2020), di introdurre sistemi di incentivazione mirati, sulla scorta ad esempio da quanto fatto dalla Germania con il programma da 50 milioni di euro in 2 anni operativo da maggio 2013.

 

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