Anniversario referendum: un fosco futuro per l’atomo mentre le rinnovabili corrono

Sono passati due anni dalla schiacciante vittoria del referendum sul nucleare. Il tempo giusto per riavvolgere il nastro, ricordare le bizzarre proposte dei fautori dell'atomo e capire cosa è successo a questa tecnologia nel mondo e, al contempo, come si stanno sviluppando le fonti rinnovabili. In sei anni solare ed eolico hanno più che compensato il calo della generazione da nucleare. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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A due anni dal referendum, quando il 95% dei votanti (oltre 25 milioni di voti) ha definitivamente seppellito l’opzione nucleare, è interessante fare delle considerazioni sull’Italia e, più in generale, sul quadro internazionale.

I fautori nostrani dell’atomo possono solo ringraziare la consultazione perché si troverebbero oggi in grandissima difficoltà, costretti loro stessi a rinviare il programma dopo aver speso inutilmente molti soldi.  Il calo della domanda elettrica (18% in meno tra il 2008 e quest’anno) e la potenza termoelettrica in forte eccesso (80 GW contro una potenza di punta di 56 GW) avrebbero infatti scoraggiato anche l’investitore più volenteroso. E poi, a rendere impraticabile ogni espansione, c’è stata l’esplosione delle rinnovabili che quest’anno consentirà di coprire il 32% dei consumi elettrici e il 36% della produzione nazionale.

Ricordiamo le farneticazioni di Scajola che parlava di 25% di elettricità nucleare e di 25% di rinnovabili al 2030, una data in cui l’elettricità verde si avvicinerà al 50%. Certo, si dirà, la scelta nucleare avrebbe comportato una decisa frenata nei confronti dell’elettricità verde negli ultimi due anni. Ma, come sappiamo, il treno era già lanciato e la stretta si è avuta comunque.

Sulla scena internazionale l’incidente di Fukushima ha provocato un rallentamento generalizzato dei programmi per la revisione dei sistemi e delle procedure di sicurezza e per alcune importanti decisioni di abbandono della tecnologia. Oltre all’Italia, anche la Germania, la Svizzera e il Belgio hanno deciso di uscire dal nucleare e nella stessa Francia si è aperto un dibattito volto a ridurre la dipendenza dall’atomo. Molto incerta la situazione del Giappone dove solo 2 dei 54 reattori sono stati riattivati. Il nuovo governo di Shinzo Abe è propenso ad una progressiva riapertura dei reattori, ma il dissenso nella popolazione cresce. In un sondaggio dei primi di giugno solo il 28% dei cittadini si è detto a favore della rimessa in moto delle centrali nucleari. Significativamente, invece, il programma del fotovoltaico sta andando benissimo e probabilmente il Giappone con oltre 7 GW installati potrebbe quest’anno divenire il numero 1 mondiale sorpassando Cina e Germania.

Abbiamo poi chi vuole rottamare i vecchi impianti per costruirne dei nuovi. È il caso del Regno Unito la cui politica incontra però forti difficoltà per l’imprevisto impatto economico di questa scelta. Esemplare il caso della centrale di Hinkley Point da 3,26 GW. Visti gli elevatissimi costi – 16,5 miliardi € – previsti per realizzare l’impianto, la francese EDF ha richiesto al governo un riconoscimento garantito di 117 €/MWh a fronte di una proposta governativa di 94 €/MWh. Parliamo cioè di prezzi doppi rispetto a quelli di mercato, un extracosto da scaricare sulle bollette dei cittadini. Ma, per tornare ai sogni italiani, il nucleare non si doveva realizzare per ridurre il prezzo delle bollette?

Situazione critica anche negli Stati Uniti, dove quest’anno verranno chiusi 4 reattori: due in California (per il cui smantellamento sono previsti 3 miliardi $), uno in Wisconsin e l’ultimo in North Carolina. Ma è tutta l’industria nucleare statunitense, obsoleta, a soffrire per il basso prezzo del gas e la concorrenza delle rinnovabili.

Qualcosa si costruisce ancora nel mondo. Attualmente, sono 69 i reattori avviati (18 in attesa da molti anni), con il 63% della potenza concentrata in Cina, Russia e India. Difficilmente la loro connessione in rete riuscirà, però, a compensare le chiusure di un parco centrali che sta progressivamente invecchiando (vedi grafico).

Un calo già visibile in termini di generazione. Complessivamente su scala mondiale, la produzione elettrica nucleare è infatti calata del 12% tra il 2006 e il 2012 (vedi grafico).

Infine è interessare paragonare l’evoluzione del nucleare con quella delle rinnovabili. Nel periodo 2005-12 la variazione netta di potenza del solare e dell’eolico (tralasciando biomasse, idro e geotermia) è stata 60 volte superiore rispetto a quella del nucleare.

Per quanto riguarda la produzione di elettricità, la nuova potenza solare ed eolica ha generato in questi 7 anni cumulativamente 550 TWh, mentre il nucleare nello stesso periodo è calato di -440 TWh (-280 TWh escludendo il blocco delle centrali giapponesi). Sole e vento hanno cioè più che compensato il calo nucleare.

Insomma, non c’è storia, le rinnovabili si apprestano ad avere un ruolo centrale sulla scena mondiale. Secondo un recente rapporto di Bloomberg il 70% della potenza elettrica globale che verrà installata entro il 2030 sarà verde, mentre la quota del nucleare sarà solo del 5%. Considerate le centrali che nel frattempo verranno chiuse, il futuro atomico è piuttosto fosco. L’unica certezza è l’eredità di scorie radioattive che dovremo subire per migliaia di anni.

E l’Italia, che seppure in modo scomposto, ha acquisito una leadership nell’elettricità verde e che vede un altissimo consenso dei cittadini sul solare (recente sondaggio di Mannheimer per Confindustria), dovrebbe gestire con intelligenza la delicata transizione energetica verso un futuro in cui efficienza e rinnovabili  garantiranno oltre che indipendenza anche vantaggi economici per il paese.

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