Il piano casa, le Regioni e Kyoto

  • 6 Aprile 2009

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L'ampliamento volumetrico che il piano casa del Governo prevede rischia di far aumentare le emissioni di CO2. Spetta alle Regioni emanare norme attuative che, oltre attivare severi criteri anti-sismici che la tragedia abruzzese dovrebbe far accelerare, siano anche capaci di neutralizzare le eventuali emissioni aggiuntive.

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Sulle implicazioni negative del Piano governativo di ampliamento dell’edilizia esistente i commenti delle istituzioni locali, degli urbanisti e degli ambientalisti sono stati molteplici e hanno portato, durante la trattativa con le Regioni, ad una profonda modifica della proposta originaria.
Nei prossimi 90 giorni le stesse Regioni dovranno emanare le norme specifiche di attuazione del Piano. L’intesa raggiunta prevede aumenti volumetrici del 20% per le abitazioni e del 35% nei casi di demolizione e ricostruzione, purché compiuti con tecniche di bio-edilizia (che andranno definite).
In realtà, come dimostra la tragedia in Abruzzo di queste ore, un intervento organico sull’edilizia non può prescindere dalla verifica sui criteri antisismici adottati e dall’analisi sull’impatto energetico.

In questa sede vogliamo concentrare l’attenzione su quest’ultimo aspetto. Le conseguenze sull’aumento delle emissioni di CO2, non sono infatti state adeguatamente considerate nelle discussioni di queste settimane. Nel momento in cui si stanno definendo gli impegni del post Kyoto e in presenza di obbiettivi legalmente vincolanti della UE al 2020, è infatti importante mettere a fuoco anche l’aspetto energetico e quello delle emissioni di anidride carbonica.

Questa attenzione è peraltro presente nelle politiche edilizie di molti paesi. Per fare un esempio, la Gran Bretagna che ha fissato riduzioni significative della CO2 fino al 2050 (in linea con il taglio dell’80% delle emissioni previsto da Obama) oltre a programmare interventi sul fronte delle costruzioni esistenti ha deciso di azzerare il peso climatico delle nuove case. Così, dal 2016 tutte le costruzioni residenziali dovranno essere “carbon neutral”, in modo che il milione di appartamenti che verranno realizzati tra il 2016 e il 2020, e tutti quelli che verranno costruiti successivamente, non provochi alcun incremento delle emissioni (vedi articolo Qualenergia.it).

Considerando che l’applicabilità del piano italiano è limitata all’edilizia mono e bifamiliare (11,8 milioni di appartamenti) e facendo riferimento alla stima del Cresme di un 10% di proprietari coinvolgibili, l’incremento annuo delle emissioni sarebbe, cautelativamente, di 1 Mt CO2. A queste si aggiungerebbero 7 Mt CO2 connesse con la lavorazione dei materiali utilizzati per la costruzione degli ampliamenti: 1, 4 Mt CO2 come media annua nel quinquennio di Kyoto.
Questa stima, peraltro, esclude gli effetti sulle emissioni dell’ampliamento volumetrico del 35% legato a ristrutturazioni “ecosostenibili”. Si tratterebbe dunque di un aggravamento del gap che ci separa dall’obbiettivo di Kyoto (64 Mt/a CO2eq), proprio quando tutti gli sforzi dovrebbero essere invece rivolti alla sua riduzione.

Cosa dovrebbero fare dunque le Regioni nella definizione delle norme di attuazione?
Una prima misura, imprescindibile, dovrebbe essere la richiesta del possesso della certificazione energetica per poter procedere all’ampliamento dell’edificio. Come è noto, questo importante strumento di informazione ai cittadini e di stimolo per le politiche di risparmio è stato totalmente depotenziato con l’art. 35 della Legge 133/2008 che ha eliminato l’obbligo di allegarlo all’atto della compravendita di unità immobiliari e, nel caso delle locazioni, di mettere a disposizione del conduttore l’attestato di certificazione.
Un secondo passo dovrebbe essere quello di richiedere una riqualificazione energetica dell’appartamento che si vuole espandere. Lo Stato, a fronte di un bonus volumetrico, dovrebbe prevedere un impegno sul versante dell’efficienza energetica che consenta di non incrementare i consumi complessivi. Il proprietario potrebbe utilizzare le detrazioni fiscali del 55% e ridurre i consumi almeno del 20%, compensando quindi il maggiore fabbisogno derivante dall’ampliamento del 20% della volumetria. Alla fine dell’intervento, il proprietario si troverebbe un appartamento più grande con gli stessi consumi energetici. Una procedura premiale del resto è già operativa nel calcolo del Conto Energia del fotovoltaico proprio per avvantaggiare chi riqualifica l’edificio sul quale è inserito l’impianto solare.
Un terzo elemento infine riguarda le condizioni per ottenere l’aumento di cubatura del 35%. Queste dovrebbero prevedere miglioramenti energetici significativi (consumi inferiori almeno del 35% rispetto alla normativa esistente) e l’obbligo dell’utilizzo delle fonti rinnovabili.

Gianni Silvestrini

6 aprile 2009

 

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