Secondo lo studio entro il 2020 l’Italia riuscirà ad abbattere le emissioni di CO2 al massimo del 13% rispetto allo scenario “business as usual”, del 9% rispetto ai livelli del 2005. A pesare di più è lo “sfavorevole” mix di fonti energetiche (l’Italia è a +16% rispetto alla media Ue per la percentuale di energia soddisfatta mediante combustibili fossili), contrapposto peraltro a un relativamente basso consumo energetico pro capite: ogni italiano consuma infatti il 22% in meno rispetto alla media europea e produce circa l’11% in meno di emissioni.
Gli interventi con maggiore potenziale a breve termine sono quelli sugli edifici (-25 milioni di tonnellate di CO2 al 2020) e i trasporti (-22 milioni di tonnellate), mentre fonti rinnovabili e migliorie tecnologiche nella generazione elettrica entro il 2020 riuscirebbero ridurre le emissioni solo di 9 milioni di tonnellate. “Troppo poco per raggiungere l’obiettivo di riduzione del 17% che l’Europa assegna all’Italia”, hanno riportato diverse agenzie e organi di stampa, riprendendo quanto scritto nello studio. E soprattutto rilanciandone la seconda parte in cui si afferma che rimandando al 2030, con la cattura della CO2 (CCS) e il nucleare si arriverebbe a diminuire le emissioni del settore elettrico di 103 Mt e quelle totali del 34% rispetto al business as usual.
In realtà però con gli obiettivi europei lo studio ha poco a che fare: è stato infatti commissionato prima dell’approvazione del pacchetto clima ed energia. Ecco perché parla di un obbligo, quello per l’Italia di ridurre le emissioni del 17% al 2020 rispetto al 2005 – che non esiste. L’obbligo invece è di ridurle del 13% e vale solo per i settori non compresi nell’Emission Trading Scheme (ETS). Le centrali elettriche CCS e nucleare anche se fossero già ora in funzione non potrebbero contribuirvi minimamente. Diversamente, i settori ETS a livello europeo dovranno ridurre le emissioni del 21% rispetto ai livelli del 2005, riduzione che sarà attuata appunto facendo pagare i permessi di emissione. Si parla invece del 17% per la quota minima di rinnovabili nel mix energetico che – secondo gli impegni presi – il nostro paese dovrebbe raggiungere entro il 2020. Anche qui nucleare e carbon capture non c’entrano nulla, anzi, per questo obiettivo sarebbero addirittura controproducenti.
“Lo studio – ci spiega Edoardo Zanchini, responsabile energia di Legambiente – è stato commissionato in un’ottica pre-pacchetto clima, e non tiene conto degli obiettivi definitivi, ma soprattutto non considera che si tratta di impegni già presi. Una sorta di lavoro a tesi, per tentare di negoziare sul pacchetto 20 20 20 e far sembrare necessario il nucleare. Ma ora non ha senso dunque parlare di quello che si può fare al 2030. La strategia intelligente e vincente è quella che si basa sulla comprensione delle grandi opportunità che l’appuntamento al 2020 offre a chi saprà sfruttarle, puntando sull’innovazione e sulla riconversione ecosostenibile della produzione e dell’economia.
GM