Verso un 2050 100% rinnovabile: percorsi obbligati e nuovi problemi

Lo sviluppo di efficienza e FER in Italia in questi anni è stato discontinuo, con battute d'arresto e passi indietro. Un modello che certo non potrà replicarsi nella corsa verso gli obiettivi 2030. Un articolo di Zorzoli racconta le potenzialità, gli ostacoli e le possibili strategie per questi due settori.

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Leggi l’articolo sulla rivista QualEnergia

L’analisi è concentrata sull’Italia perché, in materia, ha alle spalle un percorso diverso da quello dei Paesi con cui di norma ci confrontiamo. Lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili non è avvenuto nell’ambito del una strategia a lungo termine, è stato discontinuo, con molte battute d’arresto e addirittura alcuni passi indietro.

Si tratta di un modus operandi che l’obiettivo europeo al 2030 non consente di replicare nei prossimi anni, come conferma il Position Paper contenente le proposte del coordinamento Free per realizzare gli obiettivi del Piano Nazionale Energia e Clima (Cnep), presentato a Rimini lo scorso 8 novembre (vedi anche QualEnergia.it, ndr).

Il Rapporto di Free mette in evidenza che, con una crescita del 57% nel risparmio incrementale annuo di energia rispetto a quello del 2011-2017, cui corrisponde la crescita del 23% dell’efficienza energetica da qui al 2030 e in presenza di un ragionevole incremento del Pil (+ 1,5%/anno), si riescono a mantenere i consumi energetici finali lordi nel 2030 uguali a quelli del 2016 (122 Mtep). La produzione energetica rinnovabile necessaria per coprirne il 32% sarebbe quindi pari a 39 Mtep.

Lo stesso rapporto indica come fattibile alla stessa data una produzione con Fer pari a circa 44 Mtep, ripartita per settori come indicato nella tabella:

Il contributo complessivo grosso modo raddoppia, quello elettrico cresce dell’90% circa, il termico del 50%, mentre il settore trasporti è chiamato a un passo in avanti straordinario, ma non irrealistico.

Poco più di metà dei consumi di rinnovabili nel trasporto sarà fornito dal biometano, che coprirà integralmente la quota di Gnl nel trasporto marittimo (50%) e in quello pesante su strada (30%), prevista dalla Sen.

I restanti consumi Fer risultano ripartiti in modo equilibrato tra rinnovabili nella mobilità elettrica e bioetanolo, biodiesel e biojet fuel.

La tabella sopra mette in evidenza che la possibile produzione con rinnovabili al 2030, stimata nel Position Paper di Free, sarebbe superiore di circa 5 Mtep al 32% della domanda alla stessa data, consentendo una copertura Fer dei consumi finali pari al 35,8%, cioè sostanzialmente in grado di realizzare l’obiettivo al 2030, anche nel caso di una revisione nel 2023 che faccia proprio il 35% approvato dal Parlamento europeo, e obblighi l’Italia ad aumentarlo di un punto.

Tuttavia, è più prudente considerare il divario di 5 Mtep come margine di sicurezza, per compensare eventuali scostamenti dai target relativi alla domanda energetica e/o alla produzione con rinnovabili.

Vanno tenuti presenti i fattori esogeni, che possono trasformare tali obiettivi, di per sé realistici, in potenziali:

  • un target nel 2030 superiore al 32%, come sarà presumibilmente richiesto a paesi come l’Italia (almeno 33%), per compensare le deroghe concesse ai paesi dell’Est europeo (non a caso la Sen aveva assunto come obiettivo il 28%, quando quello europeo era il 27%);
  • eventuali ritardi nel varare le norme e le misure richieste e le difficoltà in fase di permitting, di cui è ricca la cronaca energetica degli ultimi dieci anni.

Tenendo conto dell’effetto combinato di questi fattori, si assumono qui come base di partenza 39 Mtep per la produzione con rinnovabili nel 2030.

L’uso efficiente di tutte le risorse

Non è possibile coprire con produzione rinnovabile tutti i consumi energetici finali del 2050, mantenendo inalterata la domanda prevista per il 2030: se così fosse, la produzione dovrebbe passare da 39 a 122 Mtep.

Per esempio, se il 50% dei consumi fosse elettrificato, valore ­ come vedremo ­ superabile nel 2050, le rinnovabili dovrebbero produrre circa 712 TWh, 3,4 volte il volume del 2030, con un tasso medio di crescita annuo superiore al 6%.

Sempre a titolo di esempio, anche immaginando di installare impianti fotovoltaici in modo da saturare tutte le coperture industriali e civili con esposizioni ottimali alla radiazione e non schermate da ostacoli, esistenti in Italia, e incrementi nelle loro performance tali da consentire mediamente produzioni equivalenti a 2000h/anno a piena potenza, si arriverebbe a malapena a 340 TWh: meno della metà del necessario.

D’altronde, secondo il Position Paper di Free, lo stesso contenimento dei consumi energetici finali nel 2030 al valore del 2016 difficilmente potrà essere realizzato promuovendo solo gli interventi di efficientamento energetico.

A tal fine sarà necessario promuovere l’uso razionale di tutte le risorse, con l’applicazione su larga scala, e per tutti i settori, dei princìpi di economia circolare.

Il contributo che questa può dare a uno sviluppo non solo ambientalmente sostenibile è infatti rilevante, tenuto conto che attualmente non viene recuperato circa l’80% dei materiali utilizzati dall’industria produttrice di beni di consumo.

Secondo l’articolo Remaking the Industrial Economy (pubblicato sul primo McKinsey Quarterly del 2014), l’economia circolare, applicata al consumo di acciaio nelle industrie dell’automobile, degli altri mezzi di trasporto e del macchinario per lavorazioni meccaniche, nel 2025 farebbe risparmiare annualmente fra 110 e 170 milioni di tonnellate di minerali ferrosi.

L’apporto alla riduzione dei consumi da parte dell’economia circolare richiede che nei processi produttivi ogni bene materiale sia innanzi tutto progettato (Ecodesign) e prodotto in modo da rendere agevole a fine utilizzo lo smontaggio e il riuso o la trasformazione in altro prodotto dei materiali o dei componenti che lo costituiscono: «from cradle to cradle», dalla culla alla culla.

Occorre però stabilire rapporti innovativi tra il produttore e i fornitori di materie prime, di semilavorati e di componentistica, con gli ultimi due realizzati in modo tale da consentire modalità di recupero non dissimili da quelle messe in campo dall’impresa manifatturiera che li acquista.

Considerazioni analoghe valgono a valle, dove i tradizionali clienti vanno convinti ad accettare la fornitura di un servizio (per esempio, il servizio d’illuminazione invece della vendita di lampade), con il relativo hardware di proprietà venditore, che lo sostituisce o lo rinnova a tempo debito.

A causa delle difficoltà che si incontrano nel diffondere una cultura radicalmente nuova, particolarmente in un Paese dove dominano le Pmi, nel 2030 il passaggio dall’economia lineare a quella circolare sarà solo parziale, ma, se si vuole soddisfare al 100% con Fer la domanda energetica, nel 2050 essa dovrà diventare la modalità prevalente nella produzione e nei consumi.

In tal caso, si può assumere che in Italia la domanda finale di energia scenderà, collocandosi tra 80 e 90 Mtep, con il valore superiore considerato più realistico.

Il contributo delle rinnovabili

Nel valutare la ripartizione del contributo delle rinnovabili tra i tre settori della tabella nel 2050, va tenuto conto che:

  • il necessario incremento del trasporto ferroviario merci e passeggeri e del Tpl aumenterà la domanda elettrica;
  • si venderanno autovetture, trasporto merci leggero, autobus e taxi presumibilmente quasi tutti elettrificati e anche una parte non piccola del trasporto pesante su strada;
  • lo sviluppo della digitalizzazione aumenterà notevolmente la domanda elettrica in tutti i settori, anche nei consumi domestici, per l’applicazione estesa della domotica.

Dopo il 2030, una parte considerevole dell’attività nel settore delle rinnovabili elettriche sarà dedicata al miglioramento, tutt’altro che trascurabile per le prevedibili innovazioni tecnologiche, delle prestazioni degli impianti in esercizio, indubbiamente più rilevanti nel caso del fotovoltaico così da compensare anche il degrado fisiologico nell’efficienza dei moduli.

Al conseguente aumento della produzione in esercizio, si aggiungerà quella dovuta alla crescita, per quanto più limitata, di nuova capacità. È quindi difficile immaginare che in un ventennio l’incremento totale sia inferiore a quello conseguito nel 2019-2030 (~20 Mtep), che non dovrebbe creare particolari problemi nel governo del territorio, purché si punti fortemente sull’autoproduzione, sia di singoli soggetti (condomini imprese agricole, commerciali, industriali), sia di comunità energetiche locali.

Si arriverebbe così a circa 60 Mtep di produzione elettrica rinnovabile che, nell’ipotesi di 90 Mtep di consumi finali al 2050, considerata più realistica, ne coprirebbe i due terzi: una quota di poco superiore al 60% della previsione Eurelectric e al 62%, di WindEurope.

Più complessa sarà la soluzione del problema creato dalla stagionalità della produzione fotovoltaica, che è massima nei mesi estivi, per poi calare fino a raggiungere un valore minimo, di norma in dicembre, che, secondo la valutazione del position paper di Free, nel 2030 sarà affrontabile con sistemi di accumulo aventi capacità sufficiente ad assorbire il surplus estivo e a restituirlo nei mesi invernali, in funzione dell’andamento della domanda: prestazioni garantite dagli impianti di pompaggio che, se alimentati dal surplus della generazione fotovoltaica e di altre rinnovabili (soprattutto eolico), aggregate per ambiti territoriali, saranno economicamente convenienti, trattandosi di produzioni a costo proporzionale nullo.

Si dovranno però realizzare nuovi impianti di pompaggio, prevalentemente nel centro-sud, per una potenza complessiva di 5 GW.

Dopo il 2030, alla gestione del problema andranno associate altre tecnologie:

  • storage park di grandi dimensioni, ubicati in modo ottimale, opzione resa possibile dalla crescita accelerata delle prestazioni e dal parallelo calo dei costi degli accumuli elettrochimici, di cui è antesignana la recente installazione a Hornsdale, in Australia, di un sistema di 100MW/129MWh;
  • accumuli ad aria compressa, per i quali si stanno pro-vando sistemi per immagazzinare il calore prodotto durante la fase di compressione, che potrebbero portarne l’efficienza all’attuale 45-50% all’80%;
  • in prospettiva anche power to gas.Altrettanto complesse saranno le trasformazioni nelle reti e nella loro gestione.

Nel 2050 saranno compresenti la rete di trasmissione, quelle di distribuzione e un numero crescente di microreti, alle quali le prime due dovranno garantire il necessario back-up. L’energia prodotta, oggi per circa il 90% allacciato alla trasmissione, in misura crescente (ben oltre il 50%) sarà connesso alla distribuzione e alle microreti, obbligando a ripensare l’attuale sistema di dispacciamento centralizzato.

Inoltre, al crescere dei flussi energetici che circoleranno esclusivamente all’interno di sistemi di distribuzione chiusi, diminuiranno quelli nelle reti tradizionali, nella distribuzione solo in parte compensati dalla generazione distribuita ad esse direttamente collegata, mentre la maggiore complessità nella gestione del sistema elettrico aumenterà le funzioni svolte da entrambe le reti, con rimunerazioni ridotte dal calo dei flussi di energia mediamente ivi circolanti, se non si troverà per tempo una soluzione che eviti di penalizzare da un lato le reti, dall’altro l’autoproduzione.

Un problema analogo dovrà essere affrontato e risolto per il trasporto e la distribuzione del gas, con l’aggravante di una riduzione molto più drastica del flusso.

I restanti 30 Mtep non coperti dalla produzione elettrica saranno ripartiti tra produzione termica e consumi nei trasporti, con una crescita di circa 4 Mtep rispetto al 2030. D’altronde, nel 2050 il ruolo prevalente dell’economia circolare implicherà l‘abbandono dei prodotti petrolchimici a favore dei biomateriali, risultato ottenibile utilizzando gran parte del biometano e delle risorse lignocellulosiche disponibili (in prospettiva forse per intero) come materia prima per la biochimica, per cui il loro attuale ruolo energetico sarà sempre più rimpiazzato dalla produzione elettrica.

Evitare l’eterogenesi dei fini

Secondo un recente Paper dell’Ubs (Utilities 2030: what could abundant, clean, zero marginal cost power mean for Europe?), se i costi dell’eolico e del fotovoltaico continueranno a scendere seguendo la traiettoria attuale, diventeranno notevolmente inferiori a quelli di qualsiasi altra tecnologia per la produzione elettrica ed essendo a costo proporzionale nullo, non ci sarà alcun incentivo a contenere i consumi di kWh.

Secondo lo studio, non emettendo CO2, la domanda può crescere tranquillamente, senza provocare rischi climatici, per cui il concetto stesso di efficienza energetica diventerà anacronistico.

Innanzitutto, il potenziale di sfruttamento delle fonti rinnovabili in una determinata area è intrinsecamente limitato; per lo meno in Europa, la crescita di impianti a fonti rinnovabili sarebbe ostacolata, una volta raggiunta un’intrusività incompatibile con altri utilizzi del territorio (e, per l’offshore, del mare). E il conseguente potenziamento obbligato delle reti farebbe aumentare comunque i costi per i consumatori.

Inoltre, il paper dell’Ubs non prende in considerazione l‘intero ciclo di vita dei nuovi impianti a fonti rinnovabili, richiesti per far fronte a un aumento senza freni della domanda.

Per quanto si riesca a sviluppare l’economia circolare, si dovrebbero estrarre nuove materie prime, raffinarle, produrre almeno in parte nuovi componenti per impianti di cui, a fine vita, una se pur minima quantità andrà smaltita come rifiuto.

Infine, non va mai dimenticato il secondo principio della termodinamica: la produzione, il trasporto, l’utilizzo di qualsiasi forma di energia in ultima istanza si trasforma sempre in calore a temperatura ambiente, condizione che impedisce all’uomo di riutilizzarlo (a meno di non spendere altra energia).

Questo effetto è per ora trascurabile su scala planetaria, ma il continuo aumento della produzione, trasporto e consumo di energia in tutte le sue forme ha fatto sì che nel 1974 il suo valore fosse pari a circa 1/20.000 dell’energia proveniente dal sole, mentre nel 2014 ha raggiunto traguardo di 1/10.000: in quarant’anni il calore a temperatura ambiente, dovuto agli utilizzi energetici dell’umanità, è quindi raddoppiato. E si tratta di una media trilussiana tra valori che variano parecchio da zona a zona del globo.

Negli Stati Uniti sono mediamente a 1/2.250, e una ricerca condotta da un gruppo di meteorologi dell’università californiana di San Diego (Energy Consumption and the Unexplained Winter Warming Over Northern Asia and North America, pubblicata sul primo numero del 2013 di “Natu-re Climate Change”) concludeva che l’energia termica risultante dai consumi energetici nelle principali città dell’emisfero settentrionale causa un aumento di circa un grado della temperatura invernale alle latitudini caratterizzate da clima temperato o freddo.

Poiché il valore critico del rapporto è generalmente assunto pari a 1/100, continuando col tasso di crescita della domanda d’energia verificatosi negli ultimi decenni, si raggiungerebbe in circa due secoli e mezzo, perché anche la generazione con fonti rinnovabili alla fine produce calore. E duecentocinquant’anni sono poco più di un battito di ciglia, se misurato sulla scala temporale della storia dell’uomo.

Inoltre, la stessa economia circolare si affermerà innanzi tutto nei paesi più sviluppati, grandi consumatori di beni materiali, provocandovi il ritorno di molte attività manifatturiere oggi delocalizzate e riducendo drasticamente la domanda di materie prime.

Una crisi economico-sociale, ancora più acuta e molto più prolungata di quella che ha colpito l’Europa nello scorso decennio, investirebbe con conseguenze devastanti aree del mondo da poco uscite dal sottosviluppo o con economie principalmente basate sull’esportazione di materie prime.In entrambi i casi esaminati, l’eterogenesi dei fini può essere evitata se il processo di decarbonizzazione non si limita a realizzare una green economy, ma contestualmente ­ sfida notevolmente più ardua ­ crea una green society, dove differente è la cultura egemone, diversi sono quindi gli stili di vita, ed è diffusa la consapevolezza che solo l’inclusività consente di rendere il processo stabile e duraturo.

Se così non fosse, a impedire che i consumi energetici crescano in modo incontrollato alla fine interverranno regimi autoritari, con divieti e controlli che, come sempre, colpirebbero maggiormente i più deboli; regimi pronti altresì contrastare ancora più brutalmente di oggi la marea di disperati provenienti dai paesi colpiti dalla crisi.

L’articolo è stato originariamente pubblicato sul n.5/2018 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “Efficienza rinnovabile”

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