Scrivi

A Biden rimangono poche mosse nella partita a scacchi al Senato sul clima

Il presidente Usa è sotto pressione affinché dichiari un’emergenza climatica, vista da molti come l’unica mossa possibile per sbloccare l’impasse al Senato sulla sua agenda per le rinnovabili, prima delle elezioni di medio termine.

ADV
image_pdfimage_print

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sta considerando la possibilità di dichiarare un’emergenza climatica.

Lo ha detto alla BBC l’inviato Usa per il clima, John Kerry, secondo cui un tale atto darebbe al presidente Usa ulteriori poteri per far avanzare il proprio programma sulle energie rinnovabili, che langue ormai da mesi al Senato.

Quella fra la Casa Bianca e il Senato è una estenuante partita a scacchi in corso ormai dallo scorso novembre. La possibile dichiarazione dello stato di emergenza climatica potrebbe rappresentare una mossa del cavallo da parte di Biden. Lo scopo sarebbe quello di aggirare almeno in parte la strenua opposizione di un avversario che uno non si aspetterebbe – quella cioè di un “compagno” di partito.

Continua a essere il senatore democratico della Virginia Occidentale, Joe Manchin, la vera spina nel fianco dell’agenda di Biden sulle rinnovabili – anzi, molto più di una spina nel fianco, un vero e proprio bastone fra le ruote capace di bloccare tutto.

Manchin, rappresentante del secondo Stato Usa per produzione di carbone e generosamente finanziato dall’industria delle fossili,  fece naufragare a Natale il Build Back Better Act, cioè il pacchetto da 1,75 trilioni di dollari contenente le principali priorità legislative del presidente Biden, fra cui quelle a favore delle rinnovabili, per cui il piano prevedeva una spesa di 555 miliardi di dollari.

Manchin aveva quindi indicato che avrebbe appoggiato un disegno di legge più limitato, che includesse crediti d’imposta per l’energia verde e tasse più alte sui ricchi.

Ma un paio di settimane fa, dopo mesi di negoziati con i suoi stessi leader di partito, senza preavviso, Manchin ha fatto di nuovo marcia indietro, adducendo come motivo l’alta inflazione, e affermando che non aveva intenzione di mettere mano ai tagli alle tasse del governo Trump, così assestando un ennesimo duro colpo a ciò che restava della legge di Joe Biden.

Vele la pena ricordare che il Senato americano è attualmente diviso esattamente a metà fra democratici e repubblicani. Normalmente, in caso di parità, si ricorrerebbe al voto del vice presidente Usa per sbloccare l’impasse – in questa amministrazione a favore dei democratici, ma con l’opposizione di Manchin il partito di Biden non è comunque in grado di fare passare alcun provvedimento.

Il fatto che il Congresso non sia “pienamente a favore” dell’agenda Biden è “meno che ideale“, ha dichiarato Kerry alla BBC, aggiungendo che la recente sentenze della Corte Suprema sulla limitazione dei poteri dell’Agenzia per la protezione ambientale (Epa) Usa non ha aiutato, come accennato in un precedente articolo.

Dal canto suo, mercoledì 20 luglio, Biden ha annunciato uno stanziamento di 2,3 miliardi di dollari per contribuire alla costruzione di infrastrutture in grado di resistere a condizioni meteorologiche estreme e disastri naturali. L’amministrazione Usa prevede inoltre di fornire un ulteriore sostegno allo sviluppo dell’energia eolica offshore nel Golfo del Messico.

Nell’illustrare la nuova misura, Biden ha dichiarato che tratterà le condizioni climatiche estreme come “un’emergenza”, ma non ha dichiarato formalmente un’emergenza federale.

Il presidente americano è sottoposto a crescenti pressioni da parte dei colleghi democratici e dei gruppi ambientalisti, affinché dichiari un’emergenza climatica e riesca a muoversi più liberamente rispetto alle prerogative del Congresso.

Qualunque mossa che possa modificare il delicato sistema di pesi e contrappesi proprio dei sistemi democratici nel medio-lungo termine non è cosa da prendere a cuor leggero. Ma dopo la decisione della Corte suprema sull’Epa, ritenuta da molti un atto “politico”, e visto lo stallo al Senato, questa settimana Biden ha dichiarato che, poiché il Congresso “non sta agendo come dovrebbe“, intende annunciare a breve ulteriori azioni esecutive.

Il mondo sta imparando che l’energia verde riduce l’inflazione, abbassa i costi energetici, crea posti di lavoro e migliora la salute e la sicurezza, ha detto Kerry, aggiungendo che il presidente è pronto a usare “ogni strumento a sua disposizione” per affrontare il cambiamento climatico, compresi gli ordini esecutivi.

Ciò nonostante, anche se le possibilità sembrano molto ridotte, la Casa Bianca continua a sperare in un accordo dell’ultimo minuto prima che Biden decida di procedere con un ordine esecutivo di ampia portata, secondo alcuni osservatori.

“Voglio essere chiaro: il cambiamento climatico è un’emergenza. Nelle prossime settimane, userò il mio potere per trasformare queste parole in azioni formali e ufficiali del governo. Quando si tratta di combattere il cambiamento climatico, non accetterò un ‘no’ come risposta”, ha detto Biden.

Il fattore-tempo è insomma sempre più cruciale.

Lo è per Biden per cercare di evitare nuovi possibili strappi politici e istituzionali, e trovare una via d’uscita climaticamente accettabile prima delle elezioni di medio termine, che a fine anno potrebbero consegnare al mondo un Congresso Usa più repubblicano e presumibilmente ancora meno interessato all’azione sul clima del presidente Usa, anche alla Camera.

Lo è per l’Epa, che ha annunciato di aver rimandato da questo mese al prossimo marzo la scadenza per preparare una nuova bozza sulla regolamentazione climatica delle centrali elettriche, nel tentativo di assecondare le indicazioni della Corte Suprema senza snaturare il proprio mandato di protezione dell’ambiente.

E lo per le sorti della decarbonizzazione, perché il cambiamento climatico non aspetta l’esito delle infinite circonvoluzioni della politica e continua ad accelerare.

ADV
×