Usa, un pilastro della politica climatica di Biden rischia di crollare

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L’opposizione di un senatore democratico sta costringendo la Casa Bianca a riscrivere in fretta e furia la sua agenda climatica in vista della COP26 di Glasgow.

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La promessa del presidente americano Joe Biden di dimezzare le emissioni statunitensi di gas serra entro il 2030 rischia di andare tradita.

È infatti ormai quasi certo che uno dei pilastri dell’agenda climatica di Biden, il Clean Electricity Performance Program (CEPP), destinato ad accelerare la sostituzione delle centrali elettriche a carbone e a gas naturale con la generazione eolica, fotovoltaica e nucleare, non sarà incluso nella legge di bilancio che il Congresso si appresta a votare.

Il probabile stralcio dell’intero programma è dovuto alla strenua opposizione del senatore Joe Manchin, un democratico della West Virginia il cui voto è cruciale per l’approvazione della manovra “Build Back Better” di Biden. La camera alta Usa è infatti spaccata a metà fra democratici e repubblicani, e tra i democratici c’è anche una senatrice dell’Arizona, Kyrsten Sinema, a dirsi scettica sul programma.

Il CEPP, una misura da 150 miliardi di dollari, premierebbe le compagnie elettriche che passano dai combustibili fossili alle rinnovabili, penalizzando invece quelle che non lo fanno.

Secondo il senatore dissidente Manchin, che si definisce un “democratico moderato”, non c’è bisogno di questa misura, visto che le aziende energetiche stanno già attuando da sole la transizione verso le rinnovabili, che la manovra intenderebbe invece accelerare con incentivi e disincentivi ad hoc.

Rimane il fatto che, secondo la sua più recente dichiarazione dei redditi, Manchin ha guadagnato 492.000 dollari l’anno scorso grazie alla quota azionaria detenuta in Enersystems, una società che fornisce carbone di scarto ad una centrale elettrica nel nord dello Stato americano rappresentato da Manchin, a fronte dei 174.000 dollari che Manchin riceve come senatore, ha fatto notare Jim Kotcon, presidente del Sierra Club in West Virginia.

Il Clean Electricity Performance Program doveva servire agli Stati Uniti per recuperare terreno nei confronti degli altri paesi industrializzati quanto ad impegno e ambizione nel rallentare il riscaldamento globale.

La battuta d’arresto che si profila per il CEPP al Congresso rischia di mettere fortemente in imbarazzo gli Stati Uniti sulla scena mondiale proprio alla vigilia dei cruciali negoziati climatici internazionali della COP26, in programma a Glasgow, in Scozia, fra meno di 10 giorni.

Qualsiasi passo falso a Glasgow “arrecherebbe un danno reputazionale pari a quello dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump che si ritira dall’accordo di Parigi, di nuovo”, ha detto l’inviato degli Stati Uniti per il clima, John Kerry, all’Associated Press.

Gli Stati Uniti farebbero una figura ridicola se si presentassero a mani vuote” a Glasgow, ha detto al Guardian il senatore democratico Sheldon Whitehouse. “Sarebbe un male per la leadership degli Stati Uniti, un male per i colloqui e semplicemente disastroso per il clima”, ha aggiunto.

Quali alternative

Intanto, lo stato maggiore democratico americano è freneticamente impegnato in queste ore a trovare delle possibili alternative al CEPP, compito che si presenta però proibitivo.

Le misure rimanenti della manovra, infatti, non permetteranno al presidente Biden di dimezzare le emissioni degli Stati Uniti entro il 2030, e nessun altro provvedimento sembra in grado di sostituire efficacemente, da solo, il CEPP.

Secondo indiscrezioni di stampa, la cosa più probabile è che i democratici e la Casa Bianca mettano assieme un po’ all’ultimo momento un mix di misure minori, nel tentativo di rafforzare un altro dei pilastri del programma energetico e ambientale di Biden, quello incentrato sui crediti d’imposta per l’energia pulita, che è la parte della manovra che dà maggiori certezze dal punto di vista dell’approvazione al Congresso.

Nessuna cosa potrà sostituire il CEPP” in tempi così brevi, ha detto Leah Stokes, professore di politica climatica ed energetica dell’Università della California a Santa Barbara, che ha partecipato alla scrittura di quel programma. “Non credo che sia possibile o quello che si sta cercando di fare”, ha aggiunto.

Il deputato democratico della California Jared Huffman si è detto d’accordo sulla possibilità che si ricorra a più opzioni, piuttosto che a una sola.

“Le riduzioni delle emissioni del CEPP sono insostituibili”, ha detto Huffman al Washington Examiner. “Non voglio dire che non ci sarebbe spazio per una combinazione di iniziative minori, ma non può essere solo una cosa di facciata”.

Fra le altre misure considerate ci sono maggiori investimenti in linee di trasmissione e il taglio delle emissioni da fonti industriali.

La Casa Bianca sta anche avviando un programma volontario cap-and-trade per lo scambio di certificati di emissione rivolto ai produttori di alluminio, acciaio, cemento e sostanze chimiche, che però prevede un ritardo di cinque anni prima di imporre qualsiasi limite alle emissioni.

“Non possiamo semplicemente buttare soldi in un sistema di scambio volontario e fingere che raggiunga le stesse riduzioni di emissioni [del CEPP]”, ha detto Huffman: “non facciamo finta che possa essere la svolta”.

Più possibilista invece la direttrice degli affari governativi del World Resources Institute (WRI), Christina Deconcini, secondo cui “il CEPP non è l’unico strumento necessario per raggiungere gli obiettivi di riduzione di Biden. Siamo fiduciosi che il pacchetto passerà con disposizioni significative sul clima. Ciò che è incerto è la tempistica. Il processo legislativo può richiedere del tempo”, ha detto a Climate Home News.

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