Tassa sulla CO2 alla frontiera, come e quando arriverà?

Ipotesi al vaglio della Commissione europea per finanziare una parte del Recovery Fund. Necessario però eliminare le quote gratuite di CO2 sul mercato ETS.

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La Commissione europea sta pensando a nuovi modi di far pagare le emissioni inquinanti, in linea con gli obiettivi del Green Deal (ridurre le emissioni di CO2 fino ad azzerarle nel 2050).

E con i futuri introiti derivanti dalla CO2, Bruxelles punta anche a finanziare una parte del Recovery Fund, il mega-piano di aiuti economici con al centro le politiche “verdi” e la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.

In ballo c’è soprattutto l’adozione di una carbon-border tax, cioè una tassa alla frontiera calcolata sul contenuto di CO2 dei beni importati in Europa (vedi anche qui).

In altre parole, la commissione Ue punta a tassare determinate merci con una sorta di dazio ambientale, in modo da colpire prodotti e materie prime provenienti da paesi dove sono in vigore standard antinquinamento più deboli in confronto a quelli europei.

Non si sa ancora esattamente quale forma prenderà questa tassa: si parla, in generale, di un carbon-border adjustment mechanism quindi in sostanza un meccanismo fiscale basato sul principio “chi inquina di più paga”.

C’è però un problema, rimarcato dal vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, durante un suo intervento a un webinar organizzato da BusinessEurope.

Per adottare una nuova tassa alla frontiera, bisogna contestualmente eliminare le quote gratuite assegnate alle industrie europee nel mercato ETS (Emissions Trading Scheme).

Ricordiamo in breve che sul mercato europeo ETS, è previsto che le industrie più inquinanti ricevano ogni anno un certo numero di free CO2 allowances, cioè quote gratuite di CO2 che permettono loro di proseguire le attività senza dover pagare per l’inquinamento che stanno producendo.

Lo scopo di tale misura è prevenire il cosiddetto carbon leakage, cioè l’eventuale delocalizzazione di quelle industrie in paesi extraeuropei con minori restrizioni ambientali.

Tuttavia, ha spiegato Dombrovskis, citato dall’agenzia EurActiv, (traduzione nostra dall’inglese, con neretti), “non possiamo creare una situazione in cui diamo alle nostre aziende dei permessi gratuiti, in sostanza permettendo loro di inquinare, mentre poi le importazioni di quegli stessi beni sono soggette a dei pagamenti addizionali, basati sul fatto che siano inquinanti”.

Insomma, il carbon border mechanism dovrà essere alternativo all’elargizione di quote gratuite sull’ETS, in modo da tassare la CO2 e riuscire sempre a proteggere le industrie europee dalla concorrenza delle industrie che, invece, in altri continenti, producono merci/materie prime con regole ambientali più “rilassate” in confronto a quelle Ue.

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