L’Istat ha rivisto al rialzo il rapporto deficit/Pil dell’Italia per gli anni 2020 e 2021, rispettivamente di 0,2 punti percentuali al 9,7% e di 1,8 punti percentuali al 9%, “a seguito del cambiamento introdotto nel trattamento contabile dei crediti di imposta”, come quelli riguardanti il Superbonus e il bonus facciate.
Viste le premesse fissate da Eurostat circa la classificazione dei crediti fiscali come “pagabili”, da contabilizzare nei conti pubblici immediatamente nel momento della loro creazione e per intero, invece che da spalmare in importi di minore entità su un periodo di cinque anni, non sorprende che Istat abbia rivisto al rialzo le stime del debito pubblico italiano per quegli anni.
E non sorprende che in queste ore alcuni dei maggiori quotidiani e agenzie di stampa italiane escano con titoli come (neretti nostri) “L’ Istat: il rapporto tra deficit e Pil peggio del previsto per colpa del Superbonus”, “L’effetto Superbonus spiegato dall’Istat, spinge il Pil ma sfascia i conti”, “Nel 2022 deficit all’8%, «colpa» dei bonus edilizi. Il Mef: misure non replicabili”.
“Metadone” e Confindustria
“Avevano creato un caos. I bonus edilizi avevano creato un effetto allucinogeno. È come quando uno dipende da una droga: ne chiederà sempre di più. Allora devi interromperla e semmai gli dai il metadone”, ha commentato, da parte sua, il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, al Corriere della Sera.
Vedremo in cosa consisterà il “metadone” che il governo somministrerà ad un’Italia “drogata” e dipendente dal Superbonus. Alcuni indizi in merito li ha forniti qualche giorno fa in un’audizione al Senato Enrico Zanetti, consigliere dello stesso ministro Giorgetti
Si tratterebbe soprattutto di perimetrare meglio gli interventi ammessi, chi ne può usufruire e le regole per circoscrivere le responsabilità degli acquirenti dei crediti fiscali, in modo da sbloccare i crediti incagliati (vedere Cessione del credito, quel “possibile ritorno in pista” secondo il Mef).
Riguardo a ciò, Confindustria si è detta disposta a mettere a disposizione “piattaforme affidabili e certificate, nelle operazioni di acquisto di crediti delle imprese fornitrici prive di adeguata capienza fiscale”, in modo da alleviare la crisi di liquidità e mantenere l’operatività del settore edilizio.
Con e senza il Superbonus
Premesso che il Superbonus è una misura migliorabile in vari suoi aspetti, vale però la pena sottolineare alcune cose.
Lo Stato non ha avuto esborsi diretti effettivi, malgrado la collocazione formale delle detrazioni fiscali, “pagabili” tramite gli sconti in fattura e le cessioni dei crediti, nelle caselle contabili delle maggiori passività pubbliche immediate.
La realtà è che lo Stato sta rinunciando a entrate che non si sarebbero mai materializzate se non fosse stato avviato il meccanismo del Superbonus. Oppure che si sarebbero concretizzate in misura molto minore. In che misura non si sarebbero concretizzate lo ha stimato proprio lo stesso consigliere di Giorgetti nella sua audizione al Senato.
Zanetti ha fatto un confronto fra le dichiarazioni dei redditi relative al 2020, quando ancora il Superbonus non era stato varato o concretamente messo a terra, e quelle relative al 2021 e 2022, quando la misura era più a regime.
Nel 2020, la spesa “per interventi edilizi agevolati con il bonus ristrutturazioni, con l’ecobonus, col sismabonus nel complesso ammontava su base annua a circa 25 miliardi… [Per il 2021 e 2022] è facile prevedere che si arriverà a un totale di 120 miliardi, cioè circa 60 miliardi sul 2021 e 60 sul 2022. Ebbene, questo importo… ponderato per le percentuali di detrazione per arrivare al dato di spesa, ci porta a una stima di circa 75 miliardi su base annua di spese agevolate con i bonus edilizi”, ha detto Zanetti.
Senza Superbonus: 25 miliardi di spese agevolate; con il Superbonus: 75 miliardi di spese agevolate. Senza il Superbonus, le attività produttive che hanno generato 50 miliardi di spese agevolate, pari a due terzi del totale, non ci sarebbero state, né ci sarebbero state le relative detrazioni.
Premesse sbagliate?
Da una parte, lo Stato ha “rinunciato” a entrate su spese di 50 miliardi di euro che non ci sarebbero state comunque, cioè non ha rinunciato effettivamente a niente, e quindi due terzi del maggiore “indebitamento” è concretamente un “nulla fiscale”, che non dovrebbe pesare come viene fatto pesare sul debito.
Dall’altra parte, l’Istat ha indicato che il valore aggiunto nel settore costruzioni è aumentato del 10,2% nel 2022 e del 20,7% nel 2021, rispetto ad una contrazione del 5,8% nel 2020 pre-Superbonus; che, sempre nelle costruzioni, gli investimenti sono saliti dell’8,6%, i posti di lavoro del 7,6% e le retribuzioni del 5,2%, con creazione concreta, non solo virtuale a livello di contabilità, di nuove entrate per lo Stato tramite Irpef, Ires, Iva del settore e dell’indotto.
Nella stessa nota in cui evidenzia l’aumento del rapporto deficit/Pil, l’Istat ha indicato che (neretti nostri) “nel 2022 le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche sono cresciute del 7,9% rispetto all’anno precedente… Le entrate correnti hanno registrato un aumento del 7,1%, attestandosi al 47,9% del Pil. In particolare, le imposte dirette sono cresciute dell’8,5%”, trainate in buona misura proprio dal settore delle costruzioni e dalle attività legate al Superbonus.
In altre parole, maggiori passività virtuali di natura puramente contabile finiscono per avere un peso maggiore di attività economiche ed entrate fiscali che sono invece del tutto reali.
Forse c’è qualcosa che non va nelle premesse e nei meccanismi della contabilità statale più che nelle premesse e nei meccanismi del Superbonus e delle detrazioni fiscali, pur con tutti i loro difetti (si veda, Il polverone Superbonus e blocco dei crediti: strumentalizzazioni e vie di uscita)
“Effetto allucinogeno”
Nel suo discorso di insediamento alla Camera, quattro mesi fa, la premier Giorgia Meloni coniò il motto del nuovo governo: “non disturbare chi vuole fare”.
Sarebbe il caso che il governo seguisse più da vicino il suo stesso motto, realizzasse che l’”effetto allucinogeno” non è quello del Superbonus, ma quello introdotto da Eurostat e Istat, e perorasse di più la realtà secondo cui quelle per il Superbonus sono spesa produttiva, da trattare come investimento, in maniera diversa da un deficit per finanziare altre spese non produttive.
Molte critiche rivolte all’Europa da Giorgia Meloni, soprattutto prima che diventasse premier, sono sbagliate. Adesso che ci sarebbe un fronte meritevole su cui battersi per l’Italia e imprese prettamente nazionali, dove è la premier?