Sui rischi finanziari le grandi aziende oil & gas non sono oneste

Carbon Tracker propone un nuovo modello per divulgare correttamente i dati economici dei colossi petroliferi, evidenziando la loro incompatibilità con la transizione verso le fonti rinnovabili.

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I programmi finanziari delle grandi aziende petrolifere sono spesso lacunosi, poco trasparenti e così mettono sempre più a rischio i soldi degli investitori: un rapporto dell’organizzazione indipendente Carbon Tracker torna a parlare di “financial disclosure”, la corretta divulgazione dei dati economici da parte delle multinazionali che operano nel settore oil & gas.

Nel documento Reporting for a Secure Climate: A model disclosure for upstream oil and gas (scaricabile qui previa registrazione gratuita) gli autori propongono un nuovo modello per presentare in modo chiaro, completo ed esaustivo le informazioni finanziarie delle compagnie attive nell’esplorazione e produzione degli idrocarburi.

Il problema, evidenzia Carbon Tracker, è che la maggior parte delle società di Big Oil continua a puntare sulla scoperta di nuovi giacimenti di petrolio e gas per incrementare la produzione futura di combustibili fossili, prevedendo investimenti multimiliardari nei rispettivi piani industriali.

Tuttavia, si legge nel rapporto, queste future risorse oil & gas rischiano seriamente di diventare stranded asset: risorse inutili, troppo costose da sviluppare, messe fuori gioco da una serie di fattori tra cui la concorrenza delle energie rinnovabili, regole ambientali più severe, sistemi di carbon pricing per tassare la CO2 (vedi anche qui).

Di conseguenza, osservano gli analisti di Carbon Tracker, è molto rischioso investire massicciamente in nuovi progetti per estrarre idrocarburi; si parla di “transition risk”, rischio associato al mancato adattamento delle strategie aziendali alle dinamiche finanziarie della transizione energetica verso le tecnologie rinnovabili.

Ricordiamo che nelle scorse settimane, l’organizzazione indipendente Global Witness ha diffuso uno studio in cui sostiene che i colossi petroliferi mondiali sono pronti a investire quasi cinquemila miliardi di dollari nei prossimi decenni, per esplorare nuovi maxi giacimenti di oro nero e gas in tutti i continenti.

Sarebbe uno sforzo economico del tutto incompatibile con l’obiettivo di limitare a +1,5-2 gradi centigradi il surriscaldamento globale entro fine secolo; inoltre, questi dati mostrano quanto ancora siano contradditorie le posizioni di aziende come Shell, che da un lato afferma di sostenere la neutralità carbonica puntando all’azzeramento delle emissioni inquinanti, dall’altro non smette di finanziare la messa in produzione di altri pozzi di petrolio (vedi qui).

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