Soluzioni bio per l’aviazione: il carburante jet fatto con la cellulosa

Un chimico cinese sta mettendo a punto un biojetfuel partendo dalla cellulosa: potrebbe consentire di produrne enormi quantità, a basso costo e senza richiedere nuovi spazi coltivati. Ma ci sarebbe un ostacolo alla sua diffusione, ed è politico.

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Per l’elettricità ci penseranno le fonti rinnovabili, per la climatizzazione isolamento termico e pompe di calore, per i trasporti automobilistici, car sharing ed elettrificazione, per i trasporti pesanti integrazione con i treni e metano liquido di sintesi, lo stesso che potrà alimentare le navi di domani.

Ma c’è una parte dell’economia mondiale che sarà molto difficile decarbonizzare: i trasporti aerei. Un problema molto spinoso, che anche QualEnergia.it ha trattato recentemente

La ragione di questa difficoltà è molto semplice: un aereo di linea deve essere alimentato da un carburante ad altissimo contenuto di energia, per ridurre il peso trasportato (ciò, al momento, esclude la propulsione elettrica a batteria), che sia liquido a temperatura e pressione ordinarie, per evitare pesanti serbatoi a pressione (e questo esclude idrogeno o metano liquidi), ma al tempo stesso che resti fluido anche alle basse temperature dei 10mila metri di altezza.

Il fuel jet oggi più usato, il cherosene A-1, per esempio, contiene 35 megajoule di energia al litro, e solidifica solo a -47 °C.

Certo, ci sono biocarburanti ottenuti da oli vegetali, che simulano molto bene queste caratteristiche, e alcune compagnie aeree, come quella del Sud Africa, hanno già sperimentato miscele di jet fuel convenzionale e bio.

Ma oggi tutti i jet in volo ogni giorno si “bevono” 5 milioni di barili di petrolio (un ventesimo circa del totale dei consumi), producendo il 2% delle emissioni globali, cifre che sicuramente aumenteranno in futuro velocemente, con l’espandersi delle rotte nei paesi emergenti e delle low cost in quelli industrializzati.

Pensare di alimentare questi consumi con gli attuali biocarburanti è piuttosto ottimistico, anche se c’è chi, come l’Indonesia, ci conta parecchio: non solo alcune delle fonti di olio vegetale, come quello di palma, finiscono per emettere più CO2 di quelli fossili, se si considerano le emissioni legate alla coltivazione e alla deforestazione, ma possiamo affermare semplicemente che non c’è abbastanza terreno agricolo sul pianeta per alimentare noi e gli aerei.

Secondo un rapporto del Committee on Climate Change del governo inglese, per esempio, i biojetfuel non potranno sostituire più del 10% del totale dei consumi aerei al 2050, a meno che non si accetti di sottrarre nuovo terreno alle aree forestali e naturali, per trasformarlo in piantagioni.

Certo, molte ricerche promettono che, in un indistinto “prossimo futuro”, i biojetfuel si produrranno con le alghe, senza occupare terreno agricolo: la Exxon, per esempio, annuncia che produrrà così 10.000 barili al giorno di jet fuel nel 2025 (da comparare ai 2,4 milioni di barili di petrolio quotidiani che estrae).

Ma le coltivazioni di alghe, finora, o sono avvenute al chiuso, in piccole e costose quantità, o in grandi vasche all’aperto, il che però le espone all’invasione di specie parassite che rovinano interi raccolti.

E allora che si fa? Ci si rassegna a vedere gli aerei continuare a consumare sempre più petrolio? O magari torniamo a prendere il treno? Non è detto.

Il chimico Ning Li, del Dalian Institute of Chemical Physics in Cina, ha appena annunciato sulla rivista Joule (scarica pdf) di aver messo a punto un tipo di biojetfuel completamente diverso dai precedenti, che potrebbe consentire di produrne enormi quantità, a basso costo e senza richiedere nuovi spazi coltivati.

«Siamo riusciti, infatti, a ottenere un combustibile adatto ai motori jet, partendo dalla cellulosa, il materiale di base di cui sono fatte tutte le piante», spiega Ning.

La cellulosa è un polimero del glucosio, quindi un composto molto complesso, costituito da molecole fatte di carbonio, idrogeno e ossigeno, unite in una lunga catena

La prima fase della trasformazione fatta di Ling, è consistita nel trattare la cellulosa con acido cloridrico in presenza di un catalizzatore di palladio, che ha semplificato la molecola, trasformandola in una più semplice e lineare, il 2,5-esanedione, contenente molto meno ossigeno, quindi più energetica.

Ma in questa forma il combustibile ottenuto, non ha ancora le caratteristiche necessarie a un jetfuel.

«Serve un secondo step, più complesso, che comporta il passaggio del 2,5-esanedione, su un doppio catalizzatore, fatto di nichel, magnesio e rame. Questi, oltre a eliminare gli ultimi atomi di ossigeno rimasti, hanno lo strano effetto di richiudere la molecola lineare in tanti anelli, collegati fra loro, ottenendo un “policicloalcano”, fatto solo di carbonio e idrogeno. Questa trasformazione chimico-fisica, produce un liquido molto fluido e difficile da congelare, pur incrementandone la densità e il potere calorifico, fino ai livelli richiesti dall’aviazione».

Anzi, li supera: il jetfuel da cellulosa di Ning, infatti, ha un potere calorifico di 37 megajoule per litro e un punto di congelamento di -48°C, meglio del cherosene A-1.

«Questo vuol dire che con questo carburante i jet viaggerebbero un po’ più lontano a parità di carico di quanto possano fare con i combustibili attuali», spiega il chimico cinese.

Ma, a parte questo vantaggio energetico, il punto veramente importante è che di cellulosa al mondo ne abbiamo in quantità esorbitanti; basti pensare a sorgenti come la paglia, le canne, i bambù, gli scarti dei raccolti e dell’industria forestale o la carta da macero, per capire che il potenziale pozzo di questo biojetfuel è quasi infinito.

«Il vero problema, a questo punto, non è tanto tecnico, visto che il processo che abbiamo messo a punto ha già un buon rendimento, con la conversione del 73% di cellulosa in policicloalcani a ogni passaggio, ma è quello di far affermare questa alternativa ai combustibili fossili a livello finanziario, e quindi politico», conclude Ning

Il jet fuel, infatti, oggi ha un prezzo molto basso, circa 0,6 $/litro, e in genere, a differenza degli altri carburanti, non viene tassato, per tenere basso il costo dei voli aerei.

Costruire da zero un’industria che produca un biojetfuel competitivo, contro un concorrente così favorito e già prodotto in enormi quantità, è praticamente impossibile, a meno che la politica non intervenga spingendo le alternative, per esempio con una carbon tax che penalizzi il jet fuel fossile, a favore dei bio.

Senza questo incentivo iniziale il tavolo di gioco, al solito, è truccato in favore del carburante fossile, che non paga i danni indiretti che crea a clima e ambiente, e nessuna industria di carburanti alternativi, per quanto ingegnosa possa essere, potrà mai sperare di nascere e affermarsi.

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