Settore elettrico. Le tecnologie corrono, ma chi deve decidere è in ritardo

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Il profondo cambiamento che si sta verificando nel mercato elettrico è dimostrato dall’adozione di nuovi neologismi che seguono la rapida evoluzione tecnologica in campo energetico. Nuove opportunità per consumatori e produttori ancora però solo potenziali.

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Una misura della velocità con cui sta cambiando il sistema elettrico, è data dal numero di neologismi entrati nel nostro lessico.

Abbiamo incominciato con prosumer e smart grid, proseguito con demand response, aggregatore/aggregazione, sistemi di distribuzione chiusi (SDC) e comunità energetiche locali.

Ultimo arrivato, il prosumager, neologismo introdotto per definire il prosumer in grado di gestire in modo ottimale l’energia che produce, avendo dotato il proprio impianto di una batteria e che, ad esempio, decide di destinarne una parte alla vendita peer to peer (altro neologismo): attività che sarà agevolata (e maggiormente garantita) dalla disponibilità di blockchain a ridotto consumo energetico (alzi la mano chi due anni fa sapeva spiegare il significato di quest’altro neologismo).

Le tecnologie corrono, e con loro le opportunità a disposizione di consumatori, produttori/consumatori, produttori/consumatori/manager; opportunità che in Italia rimangono però in larga misura potenziali.

Esemplare è il caso dell’aggregazione dell’offerta e della domanda.

Per la prima, il capitolo 4 del codice di rete di Terna fissa i criteri di raggruppamento per la definizione delle Unità di produzione (UP), che per le rinnovabili è ammesso “purché la relativa produzione sia riferibile ad un’unica fonte primaria di energia, della medesima tipologia (programmabile/non programmabile) e ad un unico punto di immissione”. Tanto che il Regolamento di Terna per la partecipazione delle UVA, unità virtuali abilitate, (ennesimo neologismo) al mercato dei servizi di dispacciamento ha dovuto definire appositi “perimetri di aggregazione”, peraltro di dimensioni contenute, entro i quali gli impianti si possono associare in un’UVA.

Per le UVA siamo comunque ancora nella fase di sperimentazione, malgrado si tratti dell’applicazione di una Direttiva europea del 2012, in Italia recepita soltanto a luglio 2014, quando è stato emanato il decreto legislativo 102, che all’articolo 11 norma le UVA, ma, per diventare esecutivo, necessita di una delibera dell’Autorità per l’energia.

Ebbene, soltanto il 5 maggio 2017, cioè quasi tre anni dopo il decreto legislativo 102, con la delibera 300/2017/R/eel l’Autorità ha definito i criteri per consentire “alla domanda, alle unità di produzione non già abilitate (quali quelle alimentate da rinnovabili non programmabili, la generazione distribuita) e ai sistemi di accumulo di partecipare al mercato dei servizi di dispacciamento”, però nell’ambito di progetti pilota, tuttora in corso.

Considerazioni analoghe si potrebbero fare per i sistemi di distribuzione chiusi, mentre, non appena la Regione Piemonte ha varato una legge per agevolare la costituzione di le comunità energetiche locali, non si sono fatte attendere autorevoli critiche al provvedimento.

Speriamo che all’interno dell’imminente piano nazionale energia-ambiente siano contenute misure per porre fine al preoccupante divario tra le opportunità d’innovazione per il sistema elettrico esistenti e la possibilità di sfruttarle.

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