Scorie nucleari e deposito: l’intervento del ministro e le critiche dai territori

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Pichetto Fratin illustra alle Commissioni VIII e X della Camera il piano del governo per il deposito unico nazionale. Tempi lunghi, scarsa chiarezza e molte incertezze tra cronoprogrammi e opposizioni locali e ambientaliste.

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Dopo l’annuncio, lo scorso 16 giugno, dell’adesione ufficiale dell’Italia all’Alleanza europea per il nucleare, il ministro Gilberto Pichetto Fratin è intervenuto ieri, 25 giugno, in audizione presso le Commissioni VIII e X della Camera dei deputati per affrontare due temi che ha definito “caldi”: lo smaltimento delle scorie nucleari e l’individuazione delle aree idonee allo sviluppo delle fonti rinnovabili (qui il testo completo dell’intervento – pdf).

Sulle aree idonee, riferito al provvedimento da riscrivere dopo la sentenza del Tar Lazio, il ministro sostanzialmente si è limitato a dire che “stiamo procedendo ad una revisione rapida del decreto che sottoporremo alla valutazione dei ministeri concertanti e delle regioni nel più breve tempo possibile”.

Focalizziamoci sulla questione scorie.

Il punto sul Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi

Secondo il ministro, la realizzazione del Deposito Nazionale rappresenta l’adempimento principale del programma nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi, un obbligo derivante dalla normativa europea.

La Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI), pubblicata a dicembre 2023, ha individuato 51 siti potenzialmente idonei, ma – come era prevedibile – nessuna autocandidatura è pervenuta da parte di enti locali o ministeri competenti.

Attualmente è in corso la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e si attende il parere della Commissione tecnica per procedere all’approvazione definitiva della CNAI.

Le tempistiche indicate da Pichetto Fratin prevedono:

  • 2029 per il rilascio dell’Autorizzazione Unica,
  • 2039 per la messa in esercizio del Deposito.

Dopo l’approvazione della CNAI, si prevede una manifestazione d’interesse da parte di regioni e comuni coinvolti, seguita da 15 mesi di indagini tecniche a cura di Sogin, l’elaborazione di un decreto di localizzazione da parte del Mase, una campagna informativa e infine l’iter autorizzativo completo (VIA e Autorizzazione Unica).

In caso di mancata intesa, si farà ricorso a Comitati interistituzionali Stato-Regioni o, in ultima istanza, a un decreto del Presidente della Repubblica.

Il Deposito sarà destinato a smaltire in via definitiva i rifiuti a bassa e molto bassa attività e sarà affiancato da un Parco Tecnologico per la ricerca e la formazione.

I rifiuti a media e alta attività saranno invece temporaneamente stoccati nel futuro Centro di Stoccaggio Alta Attività (CSA), in attesa di un deposito geologico, nazionale o europeo, previsto non prima del 2050.

Lo stato attuale e la distribuzione dei rifiuti

In Italia i rifiuti radioattivi sono già oggi distribuiti su tutto il territorio nazionale, conservati in ex centrali, centri di ricerca, impianti industriali, strutture sanitarie e militari.

Al 2023, si contano 32.663 metri cubi di rifiuti radioattivi (+5% rispetto al 2022).

Le regioni con maggior volume sono: Lazio (32%), Lombardia, Piemonte e Basilicata. Inoltre, il 99% del combustibile irraggiato delle centrali italiane è stato inviato in Francia e Regno Unito per il riprocessamento.

Le critiche delle associazioni ambientaliste

Le reazioni delle associazioni ambientaliste, sia a livello nazionale che territoriale, restano fortemente critiche sulle scelte del governo Meloni.

Scanziamo le Scorie, comitato già attivo nel 2003 contro il progetto di deposito a Scanzano Jonico, accusa il governo di mancanza di trasparenza e di una comunicazione poco accessibile sui piani di smaltimento e stoccaggio.

Legambiente denuncia l’assenza di un processo realmente partecipato e oggettivo nella selezione delle aree idonee. In particolare, lamenta che il Seminario Nazionale previsto dalla CNAPI non abbia assolto al suo ruolo di confronto pubblico, e segnala i numerosi ricorsi amministrativi presentati, ad esempio, da Comuni del Lazio, che contestano la scarsa accessibilità ai documenti tecnici e la metodologia utilizzata.

A tal proposito nella Tuscia (Viterbo), comitati locali esprimono forti dubbi tecnici sulla scelta di concentrare i rifiuti in un unico sito, sottolineando i rischi di contaminazione e la mancanza di dati certi su impatti sanitari, ambientali ed economici per i territori coinvolti.

Anche Greenpeace Italia è da sempre contraria alla strategia del deposito unico, definendola una scelta “nuclearizzante” che vincola a lungo termine un’area a funzioni pericolose e instabili.

Secondo l’associazione, i rifiuti ad alta attività rimarrebbero comunque in transito per decenni, creando insicurezza e incertezza.

Propone quindi l’analisi comparativa di scenari alternativi – come depositi multipli o uso controllato dei siti esistenti – attraverso una VAS più ampia e trasparente.

Una strategia ancora poco definita

In sintesi, mentre il governo rilancia il nucleare come opzione strategica e annuncia la partecipazione all’Alleanza Ue, rimangono ancora tante, troppe incertezze sul futuro delle perfino “poche” scorie radioattive nazionali.

Le critiche delle associazioni evidenziano un percorso complesso, ancora lontano dall’avere l’accettazione sociale e la solidità tecnica necessarie a procedere in modo condiviso e sostenibile.

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